Non è mai cosa semplice fissare i limiti di un periodo storico. Parlando di Giudaismo possiamo intendere un periodo molto ampio che parte dalla questione maccabaica del III secolo a.C. ed arriva fino al III secolo d.C. per divenire ormai Giudaismo Rabbinico con gli inizi della cristallizzazione della Mishnah.

I secoli dal II a.C. al III d.C. sono quelli che interessano la nostra ricerca e costituiscono gli albori del Giudaismo stesso. Nelle trattazioni scientifiche questo arco di Giudaismo nascente assume varie definizioni a partire dall’originale inglese Early Judaism. Le traduzioni italiane possibili che si ritrovano sui vari testi sono “Protogiudaismo”, “Nascente Giudaismo”, “Periodo Interbiblico”, “Periodo Intertestamentario”, “Giudaismo del Secondo Tempio”.1

Le campagne d’Africa di Napoleone Bonaparte operate nel Medio Oriente ed in Egitto, provocarono l’accesso degli studiosi ad un mondo fino ad allora appena conosciuto. L’apertura alle antiche culture di quei paesi accese immediatamente l’interesse di molti storici ed archeologi che si interessarono di quelle civiltà e dei loro protagonisti come fu Gesù di Nazareth.

La successiva indagine storica su Gesù conosciuta come Old Quest portò presto ma erroneamente a determinare l’assoluta originalità di Gesù rispetto al Giudaismo del Secondo Tempio. Ciò determinò un’imprudente denigrazione della letteratura e dell’eucologia giudaiche staccandole completamente dal Gesù storico che, di contro, visse e respirò profondamente quella spiritualità. L’autore di maggior rilievo su questa tesi fu Emil Shurer.2

Consideriamo in questa sezione il ribaltamento operato dalla ricerca attuale che vede il Giudaismo come bacino di utenza da cui lo stesso Gesù di Nazareth attinse elementi preziosi per il suo messaggio cristiano.

 

1 Cfr. CHARLESWORTH J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo alla luce delle più recenti scoperte,

“Piccola Biblioteca Teologica” n.30, Claudiana, 19982, pp.13-14.

2 Cfr. SCHURER E., A History of the Jewish People in the Time of Jesus Christ, Edimburgo 1898, 2 voll.

(trad.it. Storia del Mondo Giudaico al Tempo di Gesù, “Biblioteca di Storia e Storiografia dei Tempi Biblici”,

nn.1,2, Paideia, Brescia vol.I 1985, vol.II 1987).

 

di Fabio Ferrario

 

APOCRIFI VETEROTESTAMENTARI

La definizione “apocrifi” è tipica dell’esegesi cattolica, mentre in campo protestante si usa il termine “pseudoepigrafi”. Con essi si intendono quei libri religiosi giudaici scritti approssimativamente fra il 250 a.C. ed il 200 d.C. In modo particolare quelli composti prima del 70 d.C. quando in seguito alla distruzione del Secondo Tempio ed alla dominazione romana in Palestina, l’opera agiografica dovette controllarsi molto fino a diventare clandestina.1

Il tentativo di catalogare le centinaia di documenti risalenti al Protogiudaismo distinguendo gli scritti giudaici da quelli cristiani, presenta tuttora notevoli difficoltà allo studioso che si accinge a questa impresa. Tra le raccolte che più fanno discutere ricordiamo in particolare le Odi di Salomone, i Testamenti dei Dodici Patriarchi e gli Inni Sinagogali.

Sostiene James H.Charlesworth, storico, archeologo e tra i massimi esperti di letteratura apocrifa: “Per quattro decenni - dal 30 al 70 d.C.- il movimento palestinese di Gesù è stato un gruppo giudaico che ha utilizzato le tradizioni giudaiche per dare espressione alla propria fedeltà a Gesù di Nazareth, un ebreo della Galilea. Questo movimento si è sviluppato dando luogo a quello che viene comunemente chiamato cristianesimo primitivo”.2

Questo lascia intravedere l’importanza estrema di considerare gli apocrifi del Protogiudaismo non solo come contesto letterario della predicazione di Gesù ma anche come autentica spiritualità a cui Egli si ispirò per diversi dei suoi insegnamenti.

Gli apocrifi protogiudaici sono per noi di estrema importanza in quanto ci permettono non solo di recuperare l’ambito sociale e culturale dell’ebreo Gesù ma ci restituiscono la matrice religiosa quale albero di innesto per gli albori del Cristianesimo.

Lo annuncio cristiano è fondamentalmente collocato sulla religiosità giudaica al punto che lo stesso cuore sacramentale dell’Eucaristia, è strutturato sull’antico rituale che il Nascente Giudaismo ereditò dalle antiche tradizioni veterotestamentarie.

Consideriamo come esemplificazione i tre ambiti principali degli apocrifi in esame per osservare l’influenza che essi ebbero nel pensiero di Gesù: l’apocalittica, l’escatologia e la dialettica peccato-perdono.

 

1 Cfr. ibid., p.49.

2 Ibid., p.51.

 

- L’APOCALITTICA

Il tentativo di affrontare lo studio della letteratura apocalittica ha incontrato nel corso degli anni non poche difficoltà ed errate comprensioni da parte dei vari studiosi che si sono addentrati in questa campo minato. È ad esempio il limite che dobbiamo riconoscere a E.Kasemann che nel 1969 pretendeva di ridurre la maternità della stessa teologia cristiana all’ “apocalittica”.1 La sua analisi restringeva il campo alla sola letteratura apocalittica canonica, escludendo la corrente apocrifa parallela.

“Il tentativo di definire l’apocalittica o i documenti apocalittici si deve fondare sullo studio completo di tutte le apocalissi giudaiche pervenuteci e dalla letteratura apocalittica”.2 Mentre ai tempi di E.Kasemann si era agli inizi di uno studio così complesso, oggi l’apocalittica è una delle aree di maggior ricerca scientifica che come primo e condiviso risultato ha distinto l’apocalittica come fenomeno teologico che a sua volta dà origine al fenomeno letterario dell’apocalisse. Dobbiamo all’illustre Gerd Von Rad la prima intuizione di tale distinzione.3 L’apocalittica è oggi accettata come sfondo sociale e teologico in cui il presente vive un rimando agli ultimi tempi sulla base protologica dei tempi di fondamento. Il lamento costante sul presente fa operare una sorta di trasferimento del soggetto ad altre dimensioni, lontane da un’attualità catastrofica in cui la presenza di Dio non è più riconoscibile nella storia. Tale trasferimento avviene tramite visioni e rapimenti estatici che portano a ridefinire in chiave simbolica i concetti sociologici essenziali del presente, quali il potere e la realtà storica.

Possiamo dire in sintesi che “la pretesa soprannaturale degli apocalittici è che l’uomo ritorni a casa propria”.4

 Un elenco indicativo della letteratura apocalittica apocrifa può enumerare I Enoch e II Enoch, rispettivamente apocalisse etiopica e apocalisse slava. II Baruc e III Baruc, rispettivamente apocalisse siriana e apocalisse greca. Il IV Libro di Ezra, l’Apocalisse di Abramo e l’Apocalisse di Elia, il Testamento dei Dodici Patriarchi e il Testamento di Mosè.

Gesù non fu certamente un apocalittico stricto senso in quanto contrariamente agli apocalittici non lasciò scritti personali, non denigrava questo mondo, affermava che solo Dio conosce la fine dei tempi e sottolineava l’estrema vicinanza di Dio e la presenza del suo Regno già in mezzo a noi.

Le influenze apocalittiche sul pensiero di Gesù determinarono tuttavia la sua appartenenza lato senso. Come gli apocalittici, in particolare I e II Enoch, Gesù si schiera dalla parte degli oppressi ed attacca duramente i ricchi.5 Allo stesso modo sia Gesù sia gli apocalittici proponevano un profondo dualismo tra l’eone presente e quello futuro. Entrambi sottolineavano il trasferimento ad altra realtà e la ridefinizione della realtà presente. Sia Gesù sia II Baruc sostenevano il ribaltamento di prospettiva tra primi ed ultimi della scala sociale.6 I e II Enoch e Gesù esortavano alla correttezza morale ed alla purezza di cuore7 ed entrambi hanno pronunciato beatitudini.8 Infine gli stessi titoli cristologici riportati nei vangeli, sembrano essere mediati dalle Parabole di Enoch.9 In esse si parla dell’intermediario divino come “Figlio dell’uomo celeste”, “Messia”, “Eletto”, “Giusto”.

La somiglianza così ravvicinata tra le Parabole di Enoch e le definizioni di Gesù è tale che si pensava che esse costituissero un’interpolazione cristiana databile alla fine del III secolo d.C. Riporta a riguardo J.T.Milik: “Per concludere, daterei la composizione del libro delle Parabole circa all’anno 270 d.C. o poco dopo”.10 Ad oggi tuttavia ormai più nessuno condivide l’opinione di J.T.Milik e la convergenza scientifica si orienta a ritenere le Parabole di Enoch una composizione interamente giudaica.11

Ciò porta a concludere che non fu la Chiesa primitiva ad elaborare i titoli messianici ma assunse questi dalla letteratura apocalittica e li applicò a Gesù Cristo.12

 

1 Cfr. KASEMANN E., The Beginning of the Christian Theology, in “New Testament Question of Today”,

SCM Press, Londra 1969.

2 CHARLESWORT J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo…, p.53.

3 Cfr. Von RAD G., Teologia dell’Antico Testamento, vol.II, “Biblioteca Teologica” n.7, Paideia, Brescia 1974,

pp.356-375.

4 CHARLESWORT J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo…, p.58.

5 Per l’apocalittica cfr. I Enoch 102-104; II Enoch 63; 94,8-9; 96,4-8; 97,8-10.

Per l’influenza su Gesù cfr. Mc 10,23-25.

6 Per l’apocalittica cfr. II Baruc 51,13. Per l’influenza su Gesù cfr. Mc 10,31.

7 Per l’apocalittica cfr. I Enoch 104,6; II Enoch 45;61. Per l’influenza su Gesù cfr. Mc 7,14-23.

8 Per l’apocalittica cfr.II Enoch 42;52. Per l’influenza su Gesù cfr.Mt 5.

9 I Enoch 37-71.

10 MILIK J.T., The Books of Enoch: Aramaic Fragments of Qumran Cave 4, Oxford, New York 1976, p.96.

11 Cfr. CHARLESWORTH J.H., Gli pseudoepigrafi dell’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, Paideia,

Brescia 1990, pp.230-236.

12 Cfr. CHARLESWORT J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo…, pp.64-65.

 

- L’ESCATOLOGIA

La consapevolezza che il tempo attuale fosse la fine dell’eone presente e l’inizio del successivo era presente nella coscienza dei vari ambienti del Giudaismo del Secondo Tempio. La storia concepita nella sua linearità, ebbe origine “nel principio” e proseguiva verso la fine, l’eschatos.

Occorre non confondere escatologia con apocalittica anche se quest’ultima ha quasi sempre un orientamento escatologico. Mentre l’apocalittica è il totale rimando o trasferimento di ogni attesa messianica all’eone futuro, l’escatologia a sua volta vede l’eone futuro già anticipato nel presente tramite la libera risposta dell’uomo, nonostante il suo peccato, all’alleanza divina.

In questa prospettiva si colloca la predicazione di Gesù la quale media dall’apocalittica il tema del giudizio di Dio1 e del perdono di Dio.2 Tuttavia mentre i profeti escatologici proponevano l’equilibrio divino tra giustizia e misericordia, Gesù sbilanciava l’azione di Dio nettamente sulla misericordia ed il perdono.

Mentre l’escatologia attendeva il manifestarsi delle nemesi storica di un Dio vendicativo che avrebbe fatto giustizia, Gesù proponeva l’immagine di Dio Padre pronto al perdono in seguito al pentimento o addirittura anticipando e suscitando il pentimento stesso. Mentre l’escatologia raccomandava ai soli giusti la fedeltà alla Torah per la loro salvezza, Gesù esortava tutto il popolo a confidare in Dio e cambiare condotta.3

 

1 Cfr. I Baruc; IV Ezra.

2 Cfr. Preghiera di Manasse.

3 Cfr. CHARLESWORT J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo…, pp.65-68.

 

- LA DIALETTICA PECCATO-PERDONO

Per quanto la letteratura apocalittica costituisca un’ampia sezione all’interno della letteratura apocrifa, essa rimane tuttavia una delle varie sezioni. Gesù entrò in dialogo con la religiosità del suo tempo anche incontrando uomini giusti e di grande fede ebraica che certamente lo colpirono ed influirono sul suo messaggio. La questione antifarisaica è solo una interpolazione cristiana aggiunta dopo il 70 d.C. in piena conflittualità tra farisei e cristiani. Essa portò gradualmente all’acceso disprezzo verso il mondo ebraico che si sopì solamente con il Concilio Vaticano II.

Consideriamo all’interno della letteratura protogiudaica una tematica che permette non solo di verificare ulteriormente il principio di incarnazione del Figlio di Dio che assume la carne in tutte le sue componenti antropologiche, eccetto il peccato, ma anche di rivalutare una spiritualità ricchissima che costituì la stessa scuola religiosa della formazione di Gesù.

La tematica del peccato e perdono particolarmente presente in molte preghiere del salterio e che fortemente determinò l’insegnamento di Gesù, possiamo ritrovarla in molte preghiere del pio israelita. Riportiamo in modo esemplificativo un passo della Preghiera di Manasse: “Ed ora ecco io sto piegando le ginocchia del mio cuore dinanzi a Te e sto supplicando la tua magnanimità. Io ho peccato, Signore, ho peccato ma non v’è dubbio, io riconosco il mio peccato…Perdonami, Signore, perdonami!… Perché tu sei il Signore di coloro che si pentono”.1

Per la sua carica spirituale altissima questa preghiera fu ritenuta cristiana per molti anni. Oggi tutti gli specialisti ormai la datano attorno al I secolo a.C. attribuendo ad essa una chiara origine protogiudaica. Se volessimo erroneamente sottrarre il Giudaismo al Cristianesimo, ci troveremmo di fronte all’impossibilità di riconoscere le origini ebraiche di Gesù e degli apostoli.

Allo stesso modo la richiesta cristiana di rimettere i peccati presente nella preghiera del Padre Nostro trova un interessante parallelo nella tradizione orale del Qaddish in cui si prega dicendo “rimettici i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

I richiami protogiudaici che abbiamo considerato nell’insegnamento di Gesù costituiscono solo l’inizio di un’attenta analisi comparativa di tutto il materiale del Giudaismo del Secondo Tempio che attende ancora di essere affrontata. Auspichiamo che gli studiosi intraprendano quest’opera ardita che contribuirebbe in modo determinante al dialogo giudeo-cristiano in quanto “sta diventando sempre più chiaro che questi scritti siano importanti per la comprensione del Giudaismo anteriore al 70 d.C. e per la conoscenza di Gesù stesso”.2

 

1 CHECCHINI A.D. (a.c.), Il Vergier de cunsollacion e altri scritti, “Antichi testi valdesi” 1, Claudiana, Torino

1979, p.79.

2 Cfr. CHARLESWORT J.H., Gesù nel Giudaismo del Suo Tempo…, p76.

 

PAPIROLOGIA 

Alle origini dell'attuale dibattito inerente al ritrovamento di frammenti neotestamentari tra i rotoli di Qumran, vi è l'ipotesi avanzata dal papirologo spagnolo José O'Callagan nel 1972. A suo parere la grotta 7 del sito più famoso della ricerca archeologia biblica, avrebbe contenuto i papiri cristiani della prime stesura del Nuovo Testamento.1

I risultati della sua ricerca vennero pubblicati nello stesso anno e suscitarono subito un vespaio polemico all'interno della comunità scientifica, in particolare riguardo al frammento 7Q5 che secondo O'Callagan è riportabile ad un passaggio del Vangelo di Marco, esattamente Mc 6,52-53: “…perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret”.

L'ipotesi dello studioso spagnolo fu presto contrastata sulla base scientifica dell'identificazione papirologica con il passo ipotizzato e rimase nell'oblio fino al 1992 quando il filologo e paleografo berlinese Carsten Peter Thiede ne riscopre l'importanza e ne rivaluta l'attendibilità scientifica.2 A partire da questo anno, Thiede si dedicherà allo studio del 7Q5 e alla giustificazione storico-archeologia della presenza di rotoli neotestamentari nelle grotte di Qumran.

La constatazione iniziale da cui egli muove riguarda la datazione dei papiri sulla base storica dell'invasione romana nella zona di Qumran, avvenuta nel 68 d.C. ad opera della decima legione romana Fretensis. Si deduce pertanto che gli scritti di Qumran sono tutti anteriori a questa data, quindi estremamente vicini ai fatti storici riportati dai vangeli. Ciò provocò la reazione dei ricercatori che non erano pronti ad accettare la datazione dei testi evangelici prima dell'anno 68.

La questione di maggiore rilievo sorse tuttavia attorno alla singolarità della grotta 7 rispetto alle altre. Essa conteneva infatti frammenti di papiri con materiale sia veterotestamentario sia neotestamentario e questo imponeva, a livello almeno ipotetico, di considerare un eventuale contatto tra la primissima comunità cristiana, forse la stessa comunità post-pasquale, e la comunità religiosa degli Esseni. Anche su questa ipotesi C.Thiede lavorò fino ad avanzare interessanti opinioni iniziando ad escludere la considerazione della grotta 7 come deposito di materiali, ipotesi ad oggi non del tutto debellata. C.Thiede rileva il ritrovamento nella stessa grotta di documenti come il 7Q2 che riportano materiale apocrifo non presente in altre grotte, quindi non poteva essere materiale in eccesso tale da essere collocato in un deposito.3

Se l'identificazione del 7Q5 costituisce la più suggestiva delle recenti scoperte papirologiche neotestamentarie, tuttavia il papiro che rimane più significativo come testimonianza del Nuovo Testamento è il P52, reso noto nel 1935 dal papirologo britannico Colin H.Roberts.4 Il P52 venne ritrovato in Egitto, datato al 125 e identificato da questo studioso con Gv 18,31-33.37-38.5 Tale identificazione anticipò di oltre mezzo secolo la datazione del quarto vangelo, ritenuta fino allora risalente alla fine del secondo secolo. Fu grazie alla metodologia usata da C.Roberts ed alla cautela nella datazione che anni più tardi J.O'Callagan elaborò la sua teoria sul 7Q5 arrivando ad identificarlo con Mc 6,52-53.

Dall'importanza del P52 nella sua identificazione e datazione e considerando l'anno 68 come limite di ogni ritrovamento papirologico di Qumran, C.Thiede passò alla riproposizione della teoria di J.O'Callagan avanzando l'ipotesi del 7Q5 come il più antico frammento del Nuovo Testamento. Parlando di esso egli afferma nella sua opera in esame: “Nessun frammento di papiro è un fenomeno completamente isolato: deve essere esaminato nel contesto di altri papiri che presentino caratteristiche simili. Diventa perciò essenziale fare confronti impliciti ed espliciti fra questo frammento e il P52” 6.

C.Roberts analizzò il P52 e riuscì a stabilire che lo stile calligrafico del 7Q5 fu usato fino all'anno 50, pertanto il frammento di cui parliamo potrebbe essere collocato prima di questo anno, quindi accettabile come un racconto di cronaca contemporanea alla storia di Gesù. È evidente l'estrema importanza attribuibile al 7Q5 sul piano storico e teologico.

Rilevata l'importanza fondamentale del contributo di C.Thiede, rimane ora da chiarire il motivo della presenza a Qumran di materiale neotestamentario. Oltre al 7Q5 O'Challagan tratta altri frammenti identificati dai lui stesso come elementi del Nuovo Testamento: il 7Q6 identificato con Mc 4,28; il 7Q8 con Gc 1,23-24; il 7Q4 con 1Tim 3,16; 4,3; il 7Q6 con At 27,38; il 7Q7 con Mc 12,17; il 7Q9 con Rm 5,11-12; il 7Q10 con 2Pt 1,15; il 7Q15 con Mc 6,48 7.

A partire da queste identificazioni, Thiede rileva un’ulteriore importante ritrovamento nella grotta 7 di Qumran, consistente in un ostrakon riportante le lettere ebraiche traslitterate con rmw che corrisponderebbe alla dicitura ebraica di Roma. L’ipotesi è che quei papiri appartenessero alla comunità cristiana di Roma ed erano stati inviati alla comunità cristiana di Gerusalemme che le avrebbe contrassegnate con la lingua ormai soltanto liturgica che era l’ebraico, in quanto destinate ad un utilizzo rituale 8.

Rimane da chiarire la loro presenza nelle grotte essene ed a questo proposito C.Thiede fornisce le prove di vari contatti che la comunità cristiana di Gerusalemme ebbe con la comunità Esseni.9 Tra le due comunità avvenne una sorta di significativo scambio culturale “che si potrebbe chiamare una fertilizzazione incrociata: gli esseni diventavano cristiani ed i cristiani adottavano alcune delle regole della vita comunitaria degli esseni”.10 L’ipotesi più suggestiva avanzata dallo studioso parte dallo spostamento a Pella della comunità cristiana di Gerusalemme avvenuto nell’anno 66 dC in piena rivolta contro la dominazione romana e con la Decima Legione ormai alle porte. Per motivi di sicurezza tali cristiani avrebbero affidato ai vicini esseni la custodia dei loro papiri anche con l’intenzione di costituire un’unica biblioteca tra Antico e Nuovo Testamento. Un’ulteriore suggestione è data dal probabile scambio di materiale religioso tra cristiani ed esseni al punto che i cristiani avrebbero posseduto una copia della Regola della Comunità e gli esseni una del Nuovo Testamento.

Circa le somiglianze strette tra la religiosità qumranica e quella cristiana si esprime la ricerca archeologica condotta daAlessandro Nangeroni che sottolinea in particolare la stessa attesa messianica dei cristiani già vissuta dagli esseni come una duplice figura di un discendente davidico ed uno aronitico, per incarnare la figura del Messia re e sacerdote. I vangeli raccolgono la sintesi essena di questa duplice attesa nell’unica persona di Gesù che porta i tratti davidici-regali contemporaneamente a quelli aronitici-sacerdotali. Afferma l’autore in merito: “Il pensiero dei Vangeli coincide con il pensiero della comunità di Qumran su un punto fondamentale: Il Messia doveva essere di discendenza davidica e aronita. Non solo, ma i vangeli sposano il punto più alto dell’elaborazione di Qumran sul Messia: mentre in un primo tempo i messia dovevano essere due, successivamente compare la figura del Messia unico, sul modello di Melchisedek, re-sacerdote. Così per i vangeli il Messia è uno solo ma con entrambe i titoli: nel vangelo di Luca Gesù è figlio di Davide per la linea di Giuseppe, ma è anche figlio di Aronne per via di Madre, dato che Maria è cognata di Elisabetta, che è delle figlie di Aronne”. 11

In merito alla stessa comparazione tra comunità cristiana e comunità essena, quindi tra Gesù e Qumran, riportiamo le affinità ma anche le differenze segnalate da Angelo Amato. Entrambe le comunità vivevano sullo stesso territorio, ciò permette di cogliere una somiglianza di tipo teologico ed una seconda di tipo etico. Sul piano teologico gli elementi comuni sono dati dal riferimento alla Torah, dal tipo di escatologia, dalla angelologia e demonologia, dalla salvezza degli ultimi, dall’attesa messianica e dalla considerazione del Tempio. Sul piano etico troviamo valori come l’umiltà, la misericordia divina, il perdono, la preghiera, la simbolica dell’acqua e della luce ed il riferimento carismatico al leader della comunità: Gesù per i cristiani, il Maestro di Giustizia per gli esseni.

A.Amato rileva tuttavia vistose differenze sia di tipo sociologico sia di tipo teologico. Le prime si riferiscono alla comunità aperta formata da Gesù e non esoterica come la comunità essena, la predicazione gesuana dell’ amore ai nemici, la sua accoglienza di malati ed emarginati, il forte inserimento sociale che egli aveva, il suo riferimento al calendario lunare piuttosto che quello solare degli esseni, infine il tipo di sequela radicale e definitiva che egli richiedeva. Le seconde costituite dalla nuova ermeneutica biblica portata da Gesù, dal suo annuncio di libertà dalla legge, dalla negazione della predestinazione come invece sostenevano gli esseni, la resurrezione dei morti che egli annunciava e la sua autocoscienza della sua figliolanza divina e della sua missione.12

L’autore conclude con una considerazione di merito agli scritti del mar Morto, i quali “aiutano a comprendere meglio sia l’ambiente in cui visse Gesù, sia alcune caratteristiche dei suoi discepoli che sembrano di tipo essenico: la rinuncia alla propria professione, alla famiglia e alle ricchezze, l’accettazione del celibato e la comunione dei beni”.13

 

1 Cfr. O'CALLAGAN J., Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?, in Biblica, n.53, 1972, pp.91-

100.

2 THIEDE C.P., The earliest Gospel manuscript? The Qumran fragment 7Q5 and its significance for New Tes-

tament studies, The Paternoster Press, Carlisle 1992. Trad.it. Qumran e I Vangeli. I manoscritti della grotta 7 e

la nascita del nuovo testamento. Massimo, Milano 1996.

3 Cfr. ibid., p.15.

4 ROBERTS C.H., An Unpublished Fragment of the Fourth Gospel in the John Rylands Library, Manchester

1935.

5 Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa.

6 THIEDE, Qumran e i Vangeli, p. 46.

7 Cfr. O'CALLAGAN J., Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?, in Biblica, n.53, 1972, pp.91-

100.

8 Cfr. THIEDE C., Qumran e i Vangeli, p. 98.

9 Cfr. ibid. pp.100-104.

10 Ibid. p.104.

11 NANGERONI A., I manoscritti del Mar Morto, Xenia, Milano 1999, p.110.

12 Cfr. AMATO A., Gesù il Signore, pp.148-150.

13 Ibid., p.151.

 

GIUSEPPE FLAVIO

L’imponente opera di Giuseppe Flavio costituisce ad oggi la fonte più ricca di dati utili allo studioso del Nuovo Testamento per la ricostruzione sociale, politica e religiosa del contesto in cui gli eventi neotestamentari trovarono il loro inserimento storico. Può sorgere spontanea la domanda sul motivo della sua conservazione fino ad oggi ma è un quesito che può facilmente trovare risposta.

Joseph ben Matatihu nacque nell’anno 37 d.C. e compì gli studi superiori umanistici approfondendo la letteratura giudaica e greca. Allo scoppio della rivolta giudaica nell’anno 66 d.C., fu nominato generale delle forze giudaiche in Galilea; incarico che accettò di buon grado e che lo vide cronista di guerra e protagonista della rivolta fino alla difesa estrema di una delle roccaforti giudaiche che fu Jotapata, nei pressi di Tiberiade.

L’ardua impresa di difendere ad oltranza Jotapata lo portò a preferire la resa ai romani per risparmiare la città dall’eccidio che ne avrebbe fatto il generale nemico Vespasiano. La decisione gli costò la reputazione presso i suoi connazionali che lo accusarono di tradimento.

Trasportato a Roma come illustre prigioniero, prima di essere condotto da Nerone riuscì a conferire con il suo vincitore Vespasiano al quale profetizzò l’ascesa al trono imperiale. Il generale romano fu presto convinto dalla diplomazia di Giuseppe quando gli disse “Mi mandi da Nerone? E perché? Quanto dureranno ancora Nerone e i suoi successori prima di te? Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio Tito”.1

La predizione si verificò nel 69 d.C. e ciò ottenne a Giuseppe non solo la scarcerazione ma anche svariati privilegi compreso il riconoscimento di appartenenza alla famiglia dei Flavi, la stessa di Vespasiano.

La testimonianza preziosa di Giuseppe Flavio è presente nelle sue opere, tra cui ricordiamo Vita, Guerra Giudaica,Antichità Giudaiche, Contro Arpione.

Dopo la sua morte avvenuta verso l’anno 100, i cristiani dei secoli successivi tennero in particolare considerazione i suoi scritti in quanto ricchi di informazioni sui personaggi del Nuovo Testamento, in particolare su Gesù, il Battista e Giacomo. Fu molto apprezzato dalla Chiesa dei primi secoli, l’appoggio che Giuseppe diede al Cristianesimo nascente, nella sua difficile opera di diffusione iniziale e ai tempi delle crociate la sua opera fu fondamentale per la ricostruzione geografica della Palestina..

L’opera Flaviana è quindi di estrema importanza al punto che se oggi non disponessimo degli scritti di Giusepe Flavio “i nostri dizionari biblici avrebbero le dimensioni di un tascabile e i manuali riguardanti il contesto del Nuovo Testamento avrebbero ben poco da dirci”.2

In merito alla nostra ricerca, andiamo a considerare ciò che Giuseppe Flavio dice su Gesù di Nazareth e su Giacomo.

 

1 FLAVIO GIUSEPPE, Guerra Giudaica, 3.400-401.

2 MASON S., Giuseppe Flavio e il Nuovo Testamento, “Piccola Biblioteca Teologica” n.55, Claudiana, Torino

2001, p.8.

 

- IL TESTIMONIUM FLAVIANUM

Le Antichità Giudaiche riportano un passo di estrema importanza per il nostro scopo e che gli studiosi definiscono conTestimonuim Flavianum. Lo presentiamo nella traduzione ed analisi di Steve Mason.

“Intorno a quel tempo apparve Gesù, uomo saggio, seppure sia giusto chiamarlo un uomo. Infatti operava cose incredibili, era maestro di coloro che accettano con gioia la verità e attraeva molti giudei e molti di costumi greci. Quest’uomo era Cristo. E quando per la denuncia contro di lui da parte di nostri dirigenti, Pilato l’ebbe condannato alla croce, quelli che l’avevano amato al principio non cessarono di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno nuovamente in vita, perché i divini profeti avevano annunziato queste ed altre innumerevoli cose meravigliose a suo riguardo. E anche adesso la tribù dei cristiani, così chiamata a causa sua, non è ancora scomparsa”.1

Il testo citato ha diviso gli studiosi in quattro posizioni fondamentali. La prima fazione considera il Testimonium Flavianumcome una totale interpolazione cristiana degli amanuensi posteriori che sul principio della pseudoepigrafia volevano attribuire ad uno storico eccellente l’affermazione dell’esistenza di Gesù.

Una seconda posizione raccoglie gli studiosi che ritengono originale un accenno flaviano a Gesù di Nazareth, tuttavia in chiave negativa. L’opera dello scriba cristiano fu quella di addolcire i toni e togliere le insinuazioni su Gesù.

Un terzo gruppo di studiosi ritiene fondamentalmente autentico il testo e le leggere interpolazioni cristiane sono facilmente isolabili e tali da non compromettere ciò che l’autore intendeva affermare.

L’ultima posizione è infine completamente favorevole a Giuseppe Flavio e ritiene che il Testimonium sia interamente scritto di suo pugno.2

La convergenza scientifica va verso la seconda e terza posizione, vi sono infatti elementi significativi per escludere la completa composizione da parte dell’autore o la mera invenzione i uno scriba cristiano.

È innanzitutto da escludere la totale interpolazione cristiana sostenuta da chi ritiene che uno scriba dei primi secoli avesse introdotto il Testimonium pero ovviare il completo silenzio su Gesù da parte di Giuseppe. I primi scribi cristiani erano particolarmente fedeli nel trascrivere le opere, lo fecero anche con Filone che richiedeva molto più di Giuseppe la correzione e la “cristianizzazione” del pensiero su Gesù.3 Inoltre se i cristiani avessero inventato questo passo non avrebbero lasciato dubbi sulla correttezza morale e giuridica di Gesù e non avrebbero usato il termine fulh,, “tribù”ààùç°v, riferendosi alla Chiesa primitiva.

È da escludersi a sua volta che Giuseppe abbia completamente costruito il Testimonium. Lo stile cozza decisamente con il resto delle Antichità Giudaiche in quanto si parla di agitazioni ma senza averne dato spiegazioni; si parla di disordini operati da Gesù ma il Testimonium sembra a lui favorevole; si presenta il fatto come “un altro orribile evento” ma senza che altri siano stati presentati.

L’affermazione “Quest’uomo era Cristo” sembra piuttosto audace detta da Giuseppe Flavio il quale mentre conosceva il suo significato banale in greco e traducibile semplicemente con “bagnato”, era tuttavia ben consapevole dell’importanza ebraica che il termine designava riferendosi alla consacrazione di una persona per elezione divina. Non avrebbe quindi potuto definire Gesù come Cristo senza le dovute motivazioni a sostegno.4

Le posizioni centrali seconda e terza trovano sostegno dal fatto che il Testimonium è noto con le sue interpolazioni a partire dal XII secolo circa, quando Michele, Patriarca di Antiochia, tramanda una versione conosciuta oggi come il “Giuseppe Slavo”. In essa per la prima volta è presente l’attribuzione messianica a Gesù.5

Prima di Michele abbiamo la versione araba dello scrittore cristiano Agapio e risalente al X secolo. Egli introduce la testimonianza flaviana nella sua storia universale ma riporta il passo del Testimonium senza parlare di Cristo.6

Prima di lui fu il grande Girolamo sul finire del IV secolo a parlarne ma riportando una diversa lezione che riferendosi a Gesù dice “si credette che fosse il Messia”.7

Il primato assoluto del riferimento a Giuseppe Flavio ma in una versione che non è ancora quella del Testimonium, è diEusebio, storico della Chiesa, che all’inizio del IV secolo menziona il passo delle Antichità Giudaiche ma senza le interpolazioni cristiane in quanto ancora mancanti perché apportate nei secoli successivi.8

Prima di lui Origene negherà la fede cristiana di Giuseppe Flavio9 e fino a lui i Padri Apostolici non ne fanno cenno.10

J.Meier analizza il Testimonium proponendo una sua traduzione leggermente diversa da quella considerata e da essa ricava l’interpolazione cristiana avvenuta. “In quel tempo apparve Gesù, un uomo saggio, se pure si può chiamarlo uomo. Infatti fu operatore di fatti sorprendenti, un maestro di persone che accoglievano la verità con piacere. E si guadagnò un seguito tra molti giudei e tra molti di origine greca. Egli era il Messia. E quando Pilato, per un’accusa portata dai nostri capi, lo condannò alla croce, quelli che lo avevano amato precedentemente non smisero di farlo. Infatti, apparve loro il terzo giorno nuovamente vivo, proprio come i divini profeti avevano detto su di lui queste ed innumerevoli altre cose prodigiose. E fino a oggi, la tribù dei cristiani, che da lui prende il nome, non è scomparsa”.11

La definizione di “saggio” è certamente di Giuseppe. Egli usa questo termine con significato laudativo rivolgendolo anche ad altri personaggi illustri dell’Antico Testamento, quali Salomone e Daniele.12 Circa l’espressione “se pure si può chiamarlo uomo” può essere intesa come l’intenzione di uno scriba cristiano di arricchire la definizione “saggio” comunque riduttiva se applicata a Gesù senza altre specificazioni.

“Egli era il Messia” è una formula presa dagli stessi vangeli13 ed è la professione di fede tipica dei cristiani. Oltre ai motivi esposti da S.Mason aggiungiamo anche questa considerazione di J.Meier escludendo l’originalità flaviana di questa espressione a partire dalla stessa profonda fede giudaica di Giuseppe.

Anche la testimonianza di apparizione secondo le scritture è tipica del kerigma cristiano,14 un linguaggio paolino oscuro o comunque non recepito dalla mentalità di Giuseppe.15

L’analisi di J.Meier, per quanto generalmente minimalista nell’accettazione di fonti extrabibliche per il tratteggio del Gesù storico, si pone invece in modo favorevole nei confronti di Giuseppe Flavio e del Testimonium Flavianum. Pur considerandolo interpolato da mano cristiana come esposto, ne riconosce il valore per la sua presenza in tutti i manoscritti greci e latini nelle traduzioni della scuola di Cassiodoro del VI secolo. Ritiene coerente con l’opera flaviana lo stile e la grammatica usate. Considera infine la cristologia piuttosto povera del Testimonium tale da rendere autentica la mano di uno storico giudeo.16

 

1 FLAVIO GIUSEPPE, Antichità Giudaiche, 18.63-64. La traduzione è di MANSON S., cfr. opera citata, p.185.

2 Cfr. MEIER J.P., Un Ebreo Marginale…p.63.

3 Cfr. MASON S., Giuseppe Flavio e il Nuovo Testamento, p.192.

4 Cfr. ibid., pp.185-188.

5 Dalla versione slava compare per la prima volta il Testimonium così come lo conosciamo noi e citabile in

quella versione in 2,9,2 § 169.

6 Cfr. SHLOMO P., An Arabic Version of the Testimonium Flavianum and its Implication, Accademia Israelita

di Scienze e Lettere, Gerusalemme 1971, pp.9-10.

7 GIROLAMO, De Viris Illustribus, 13.

8 Cfr. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, 1.11.

9 Cfr. ORIGENE, Commento su Matteo, a proposito di Mt 10,17.

10 MASON S., Giuseppe Flavio e il Nuovo Testamento, pp.188-191.

11 MEIER J., Un Ebreo Marginale, p.66.

Ho riportato in corsivo le espressioni che Meier considera interpolazioni di uno scriba cristiano.

12 Cfr. MASON S., Giuseppe Flavio…, p.192.

13 Cfr. Mt 16,16; 26,63; Mc 14,61; Lc 4,41; 22,67; 23,39; Gv 1,25; 10,24; 11,27.

14 Cfr. 1 Cor 15,5.

15 Cfr. MEIER J., Un Ebreo Marginale..., pp.66-70.

16 Cfr. ibid., pp.77-85.

 

- IL PROCESSO SOMMARIO DI GIACOMO

Nell’anno 62 d.C. morì Porcio Festo, governatore delle Giudea e fu nominato Albino come suo successore dall’imperatoreNerone. Nel frattempo il potere era nelle mani del re di Giudea Agrippa II ma che presto lo concesse al sommo sacerdoteAnano II. Questi si rivelò un osservante intransigente della Torah, al punto che viene descritto in modo negativo da Giuseppe Flavio per la sua appartenenza alla scuola sadducea, la più repressiva in nome dell’osservanza.1

La popolazione e gli stessi farisei colsero l’occasione della libertà con cui Anano II convocò il Sinedrio ed organizzano una spedizione incontro ad Albino, ancora in viaggio, il quale venuto a sapere del comportamento del sommo sacerdote rimandò a lui l’ambasceria con chiare intenzioni punitive al suo arrivo. A salvare la situazione fu l’astuzia diplomatica di Agrippa II che intervenne e depose Anano II.2

La crudeltà di Anano II è riportata da Giusepe Flavio quando con intenzione esemplificativa riporta l’episodio del processo sommario di Giacomo. “Anano, pensando che con la morte di Festo e Albino ancora in viaggio gli si presentasse una buona occasione, convocò i giudici del Consiglio e accusò davanti a loro il fratello di Gesù che era chiamato il Cristo, di nome Giacomo e alcuni altri. Avendoli accusati di aver violato la legge, li consegnò perché fossero lapidati. Ma in città coloro che erano considerati i più responsabili e rigorosi riguardo alla legge ne furono afflitti e addolorati”.3

L’intenzione dell’autore era quella di accusare il dirigente sadduceo di brutalità e di eccessivo rigorismo contestato dagli stessi farisei. Secondariamente, come rafforzativo della sua tesi, lascia intendere come inopportuna la condanna a morte di Giacomo.

Ai nostri scopi rileviamo l’importanza del collegamento fatto a Gesù partendo da Giacomo, “fratello di Gesù”. Giacomo fu un personaggio di rilievo nella Chiesa nascente ma per renderlo riconoscibile Giuseppe fa precedere al suo nome il suo grado di parentela con Gesù. Questo dà conferma indiretta al Testimonium per la mancanza di ulteriori dettagli su Gesù già precedentemente forniti dall’autore stesso.

La specificazione “che era chiamato il Cristo” serve qui solo da soprannome, usanza tipica tra gli ebrei a causa della scarsità di nomi. Giacomo fu inoltre tra i più rigorosi difensori della legge e si schierò contro Paolo quando affermava che Cristo ha superato la legge.4

Il collegamento con Gesù nel racconto di condanna a Giacomo offre alla nostra ricerca due preziosi contributi. Innanzitutto è l’ulteriore testimonianza di un autore non cristiano sull’esistenza e la notorietà di Gesù di Nazareth. Ma vi è poi una spinosa questione che questo racconto lascia aperto. Si tratta di stabilire il potere effettivo attribuito al Sinedrio di dare la condanna a morte e di cui esistono degli inquietanti elementi che sembrano dare conferma, tra cui la lapidazione di Stefano.5

Se si riuscisse a dimostrare che il Sinedrio aveva la possibilità di condannare a morte, acquisterebbe totale credibilità il tentativo dei vangeli di minimizzare la responsabilità romana della condanna di Gesù. I romani sarebbero certamente intervenuti se Gesù avesse effettivamente violato una legge imperiale, realtà che non risulta dalle testimonianze. Resta a questo punto ancor più ambigua la figura di Pilato6: se la condanna a morte fosse emessa dal Sinedrio, il ricorso alla sua autorità sarebbe stato inutile. Se invece furono i romani a condannare Gesù, Pilato pur portando tutto il peso della responsabilità della condanna a morte di Gesù, apparirebbe come una semplice pedina manipolabile dai sommi sacerdoti e dai capi del popolo giudaico.7

 

1 Cfr. GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, 20.199.

2 Cfr. MASON S., Giuseppe Flavio…, 197-198.

3 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, 20.200.

La traduzione è di MASON S., Giuseppe Flavio…, p.197.

4 Cfr. Gal 3,19-29.

5 Cfr. At 7.

6 Cfr. BROWN E., La Morte del Messia, pp.752-991.

7 Cfr. MASON S., Giuseppe Flavio…, pp.199-204.

 

LETTERATURA RABBINICA

Sono due le premesse imprescindibili da chiarire prima di affrontare il rapporto che intercorre tra Gesù e la letteratura rabbinica. La prima, di carattere cronologico, considera che la tradizione scritta di tale letteratura non è antecedente agli inizi del III secolo d.C., pertanto è improprio parlare di letteratura ai tempi di Gesù. Esistevano tuttavia le tradizioni orali che in seguito confluirono nella Mishnah quando la letteratura rabbinica iniziò la sua cristallizzazione. Dalla Misnah che era il codice fondamentale delle leggi giudaiche nacque il suo commento, il Talmud nella duplice accezione Babilonese e Palestinese ed al loro interno un ulteriore commentario della Misnah detto Gemara. In fianco a questi generi letterari vi era poi la Tosefah, un’antica raccolta di tradizioni rabbiniche, il Midrash che era la raccolta omiletica dei primi rabbini ed ilTargum che era l’interpretazione esegetica delle scritture.

In secondo luogo si tenga presente l’origine galilaica della Mishnah e di Gesù stesso. Questo è importante per l’utilizzo critico delle fonti che deve necessariamente essere anteriore alla ribellione di Bar Koshiba del 135 d.C. Dopo questo anno infatti vengono a perdersi le distinzioni tra giudei e galilei e questo non ci permette più di risalire al tempo in cui la Galilea viveva in una particolare situazione di emarginazione e forte discriminazione sociale che subì da parte delle altre regioni della Palestina.1

Guidati dallo studio di Geza Vermès avviciniamo l’originalità dei galilei nei confronti degli altri palestinesi per poter comprendere la causa della cattiva luce sotto la quale Gesù ed il suo movimento furono collocati dagli autori della letteratura rabbinica.

Causa principale di vilipendio ai galilei era essenzialmente la scorrettezza linguistica del loro aramaico nonché l’arbitrarietà con cui essi interpretavano i codici giuridici e rituali. Circa il problema linguistico esso era sovente motivo di scherno contro i galilei i quali nel loro U-aramaico avevano ormai perso l’uso delle gutturali e non venivano mai chiamati a leggere nelle sinagoghe a causa di questa deficienza che impediva loro la distinzione di alcune lettere ebraiche tra cui laalef, la ‘ain, la het, la he.

Il Talmud Babilonese identificò la causa della scomparsa della dottrina giudaica proprio nella grettezza linguistica dei galilei, mentre la corretta pronuncia giudaica permise di conservare gli insegnamenti della Giudea.2

Alcuni esempi tratti dai vangeli evidenziano questa caratteristica degli abitanti di Galilea. “Anche tu sei uno di loro: il tuo accento ti tradisce”.3 Sono le parole di smascheramento con cui Pietro viene scoperto nella sua attinenza galilaica. L’amico Lazzaro che alla sua morte fa piangere Gesù fino a spingere il Maestro a ridargli la vita4 porta in realtà un nome di espressione idiomatica con cui in Galilea veniva chiamato chi portava il nome Eleazaro.

Talitah kum5 dirà Gesù alla ragazza invitandola a rialzarsi dal letto di morte, dove il sostantivo talitah nell’aramaico dialettale di Galilea significa letteralmente “agnellino”.

Effetah, cioè apriti”6 disse ancora Gesù nel suo dialetto al sordomuto. Infine con “Eloi, Eloi lama sabachtani7concludeva la sua esperienza terrena morendo sulla croce.

Circa la questione rituale e giuridica la Mishnah stabilisce regole ferree sulla purità ed impurità del sacrificio, ad esempio quando questo è legato ad un voto esso è comunque vincolante indipendentemente dall’esplicazione dei particolari inerenti il voto stesso. In Galilea invece il voto era valido solo se emesso con dovizia di particolari circa il suo adempimento. Per questa ed altre inosservanze, i galilei, per quanto kassidim, vennero accusati anche di ignoranza rituale ed apostasia religiosa.8

Le pesanti ignominie rivolte ai galilei meritarono loro lo pseudonimo denigrativo di ‘am ha-harez, traducibile letteralmente con “popolo della terra”9, concetto molto vicino al nostro “cafoni”. È nota l’espressione di rabbi Eliezer ben Hyrcanus che sul finire del primo secolo d.C. affermava “nessun uomo sposi la figlia di un ‘am ha-harez, perché egli è come un animale immondo, la sua sposa come un rettile, e a riguardo a sua figlia la scrittura dice ‘Maledetto colui che giace con qualsiasi bestia’”.10

Il sospetto che nasce attorno a Gesù di Nazareth da parte dei suoi connazionali, è fortemente influenzato dalle sue origini galilaiche. Egli costituiva una minaccia sia sul piano religioso sia su quello politico, essendo nota per altro anche la natura rivoluzionaria dei galilei, dai quali ebbe origine lo stesso partito reazionario degli zeloti.11

Gli interrogativi sull’appartenenza di Gesù stesso agli zeloti è un punto che ha fatto discutere, tuttavia “zelota o meno, Gesù fu senza dubbio accusato, perseguitato e giustiziato come tale; e che ciò fosse dovuto al paese di origine suo e dei suoi discepoli è più che probabile. Agli occhi delle autorità, erodiane o romane, chiunque avesse dei seguaci nella tetrarchia di Galilea era un ribelle, quanto meno potenziale”.12

All’interno dei Talmud Palestinese e Babilonese, la Gemara riporta due passi che citano Gesù in modo diretto ed alla luce di quanto considerato ne tratteggiano un’immagine negativa. Il primo parla dell’esecuzione capitale di Gesù ed afferma che “alla vigilia della Pasqua Jeshu fu impiccato. Per quaranta giorni prima che avvenisse l’esecuzione, un messaggero usciva e gridava: “Uscirà per essere lapidato perché ha praticato la magia e ha attirato e condotto Israele su una falsa strada. Chiunque possa dire qualcosa in suo favore lo presenti e implori per lui”. Ma poiché niente fu detto in suo favore, egli fu impiccato alla vigilia di Pasqua. Ulla replicò: “Supponi che egli fosse uno per il quale potesse essere fatta una difesa? Non era forse un ingannatore riguardo al quale la scrittura dice: “Non lo potrai salvare nÈ nascondere”? (Dt 13,8). Con Jeshucomunque, fu diverso, perché era collegato con il governo”.13

Emergono da questa prima testimonianza gli elementi che connotarono Gesù come un ribelle pericoloso per la sua compromissione politica e per la falsità dei suoi insegnamenti che come una cattiva magia hanno deviato il popolo di Israele.

Il riferimento alla lapidazione ed impiccagione sono probabilmente dovute al contesto storico a cui risale il passo, ovvero sul finire del IV secolo, quando ormai la crocifissione era stata bandita da Costantino il Grande ma erano sempre permessi altri tipi di condanna capitale.

Un secondo passo che getta ancora infamia su Gesù è il racconto dell’incontro tra Gesù e rabbi Joshua. Avvenne che “un giorno egli stava recitando lo Shemah quando gli si presentò innanzi Jeshu. Egli intendeva riceverlo e gli fece un cenno.Jeshu pensando che con quel cenno volesse respingerlo, andò, sollevò un mattone e lo adorò. “Pentiti!” gli disse Rabbi Joshuah. Egli replicò: Ho imparato a fare così da te: a colui che pecca e porta gli altri a peccare non sono concessi i mezzi di pentimento. E un maestro disse: “Jeshu il Nazareno ha praticato la magia e ha allontanato Israele dalla retta via”.14

Le accuse rivolte a Gesù sono identiche nei due passi proposti. In quest’ultimo rimane incerta l’interpretazione del mattone adorato.

Non tutti gli studiosi concordano nell’identificare Jeshu con Gesù di Nazareth,15 tuttavia può stupire il fatto che la letteratura rabbinica parli direttamente di Gesù solo in questi due passi. Ma se da un lato il sorgere iniziale della Misnah agli inizi del III secolo considerava soltanto la legislazione ebraica ed ignorava affatto i vari gruppi eretici del giudaismo, d’altro canto i rabbini posteriori che collocarono i loro insegnamenti nel Talmud, vissero in un periodo in cui il cristianesimo era già affermato ed evitarono di scagliare un’arringa contro di esso con il rischio di subire la forte difesa dei padri apologisti. I problemi interni all’ebraismo erano inoltre ingenti ed i rabbini non dispersero le loro forze parlando di una religione che consideravano estranea al pari di quella dei gentili.16

 

1 Cfr. VERMÉS G., Gesù l’Ebreo, Borla, Roma 20012, p.60.

2 Cfr. b’Erubim, 53a.

3 Mt 26,73; Mc 14,70.

4 Cfr. Lc 16,20-25.

5 Mc 5,41.

6 Mc 7,34.

7 Mt 27,46; Mc 15,34.

8 Cfr. y’Abodah Zarah, IIa.

9 Traduzione mia.

10 BPesahim, 49b; Dt 27,21.

11 Cfr. VERMÉS G., Gesù l’Ebreo, pp.48-67.

12 Ibid., p.58.

13 bSanhedrin, 43a.

14 Ibid., 107b.

15 Cfr. MEIER J., Un Ebreo Marginale, p.98.

16 Cfr. STANTON G., La Verità del Vangelo, pp.164-166.

 

UN BILANCIO

L’accostamento al contesto socio-politico del Protogiudaismo ci mostra il tratto umano ed esistenziale di Gesù di Nazareth completamente inserito ed in dialogo con esso. Mentre dagli apocrifi veterotestamentari possiamo ricostruire la spiritualità stessa dell’ebreo Gesù, la letteratura rabbinica ci mostra invece la sua originalità e discontinuità nei confronti dei suoi connazionali. Mentre la papirologia rende credibilità storica ai vangeli come fati di cronaca contemporanea a Gesù, Giuseppe Flavio ed i suoi successivi interpolatori cristiani dicono la notorietà di Gesù negli ambienti giudaici.

La collocazione storica di Gesù di Nazareth nel Giudaismo del Secondo Tempio permette di tratteggiare con maggiori definizioni il suo volto come quello di un uomo nato dal “tronco di Iesse”1, discendente della “casa di Davide”2 e discendente di Abramo come i racconti sinottici di genealogia vogliono comunicarci.3

 

1 Is 11,1.

2 Lc 1,27.

3 Cfr. Mt 1,1-17; Lc 3,23-38.