Il grande scrittore argentino, nonostante il suo laicismo, più volte ha meditato sulla lezione morale del Vangelo e sulla figura storica del Cristo. Questa entra, stravolta, nel mirabile racconto che segue. Diamo poi una recente poesia dalla raccolta Elogio dell'ombra che ci mostra un Borges mistico e religiosissimo.

 

BORGES JORGE LUIS (1899-1986)

 

Il Vangelo di Marco

Il fatto accadde alla tenuta La Colorada, nel distretto di Junin, al Sud, negli ultimi giorni del mese di marzo del 1928. Protagonista fu uno studente in medicina, Baltasar Espinosa. Possiamo definirlo, per ora, uno dei tanti giovani di Buenos Aires senza altri particolari degni di nota se non quella facoltà oratoria che gli aveva meritato più di un premio nel collegio inglese di Ramos Mejia, e una quasi illimitata bontà. Non gli piaceva discutere; preferiva che avesse ragione l'interlocutore, non lui.

Pur incline agli azzardi del gioco, era un pessimo giocatore perché vincere lo disgustava.

La sua chiara intelligenza era pigra; a trentatré anni gli mancava ancora un esame per laurearsi, e nella materia che più lo attraeva. Suo padre, che era libero pensatore, come tutti i signori del suo tempo, gli aveva spiegato la filosofia dì Herbert Spencer, ma sua madre, alla vigilia di un viaggio a Montevideo, lo pregò di recitare tutte le sere il Pater Noster e di farsi il segno della Croce. Col passare degli anni, mai era venuto meno a questa promessa. Non mancava di coraggio; una mattina, con più indifferenza che rabbia, aveva fatto a pugni con diversi compagni che volevano forzarlo a partecipare ad uno sciopero universitario.

Abbondava, per puro spirito di acquiescenza, in opinioni ed atteggiamenti discutibili: del suo paese gli importava poco; assai più gli premeva che all'estero non pensassero che ci vestiamo ancora di piume. Adorava la Francia ma meno apprezzava i francesi, stimava poco gli americani, ma approvava che a Buenos Aires ci fossero grattacieli; riteneva che i gauchos della pianura cavalcassero meglio di quelli di monte e di collina.

Quando Daniele, suo cugino, gli propose di passare l'estate a La Colorada, disse immediatamente di sì, non perché la campagna gli piacesse, ma per naturale compiacenza e perché non trovò ragioni valide per dire di no.

La casa padronale era grande e un po' abbandonata; l'abitazione del fattore, che si chiamava Gutre, stava lì accanto. I Gutre erano tre: il padre, un figlio particolarmente grossolano, e una ragazza di incerta paternità.

Erano alti, forti, ossuti, con i capelli che tendevano al rossiccio e di profilo indio. Quasi non parlavano. La moglie del fattore era morta da anni.

In campagna Espinosa cominciò ad imparare cose che ignorava, che nemmeno sospettava. Per esempio: che non si deve andare al galoppo quando ci si avvicina all'abitato; che non si esce a cavallo se non per sbrigare un lavoro. Col tempo, sarebbe arrivato a riconoscere gli uccelli dal loro cinguettare.

Di lì a pochi giorni, Daniele dovette recarsi alla capitale per concludere un affare di bestiame. Al massimo, la trattativa gli avrebbe preso una settimana. Espinosa, che era già un po' annoiato delle bonnes fortunes del cugino e del suo instancabile interesse per i dettami della moda, preferì rimanere nella fattoria in compagnia dei suoi libri di studio. All'alba lo svegliarono i tuoni. Il vento smuoveva le tegole. Espinosa udì le prime gocce e ringraziò Dio. L'aria fredda arrivò all'improvviso. Quel pomeriggio il Salado straripò.

Il giorno dopo, Baltasar Espinosa, guardando dalla terrazza i campi inondati, pensò che la metafora la quale paragona la pampa al mare, non era, almeno quella mattina, del tutto errata, sebbene Hudson avesse scritto che il mare ci sembra più grande solo perché lo guardiamo dal ponte della nave e non da. un cavallo o dalla nostra altezza. La pioggia non cessava; i Gutre, soccorsi o infastiditi dai paesani, salvarono gran parte della fattoria, ma molti animali annegarono, C'erano quattro strade per arrivare a La Colorada: furono tutte coperte dalle acque, Al terzo giorno un'infiltrazione mise in pericolo l'abitazione del fattore; Espinosa li ospitò in stanze sul retro della casa, accanto al capannone degli attrezzi.

Il trasferimento li avvicinò: mangiavano insieme nella grande sala. da pranzo. Il dialogo risultava difficile. I Gutre, pur sapendo tante cose sulla coltivazione ei campi, non sapevano spiegarle. Una notte Espinosa domandò se la gente conservava qualche ricordo delle scorrerie degli indios, quando a Junin c'era il comando compartimentale. Gli risposero di sì; ma gli avevano risposto lo stesso a una domanda sull'esecuzione di Carlo Primo. Espinosa si ricordò che suo padre diceva spesso. che quasi tutti i casi di longevità che si riscontrano in campagna, sono casi di cattiva memoria o di un concetto vago delle date. I gauchos sono soliti ignorare allo stesso modo sia l'anno in cui sono nati, sia il nome di coloro che li generarono.

In tutta la casa non c'erano altri libri che una raccolta della rivista La Chacrà, un manuale di veterinaria, un esemplare di lusso del Tabaré, una Historia del Shorthorn en la Argentina, alcuni racconti erotici o polizieschi ed un romanzo recente: Don Segundo Sombra. Espinosa, per alleviare in qualche modo l'inevitabile noia del dopo cena, ne lesse un paio di capitoli ai Gutre, che erano analfabeti.

Disgraziatamente, il fattore era stato mandriano e non potevano commuoverlo le imprese di un altro. Disse che quel lavoro era facile, che si portavano sempre dietro una bestia da soma con tutto il necessario e che lui se non fosse stato mandriano, non sarebbe mai arrivato alla Laguna di Gomez, di Bragado o fino alla campagna di Nunez, nel Chacabuco. In cucina c'era una chitarra; là i peones, prima dei fatti che narro, si sedevano in cerchio; qualcuno la pizzicava, ma senza inseguire un motivo. Questa si chiamava una chitarrata. Espinosa, che si era lasciato crescere la barba, si soffermava spesso davanti allo specchio per osservare il suo volto mutato, e sorrideva pensando che a Buenos Aires avrebbe annoiato gli amici con il racconto dell'alluvione del Salado. Stranamente, provava nostalgia per luoghi dove non andava mai, né mai sarebbe andato: un cantone di via Cabrera dove c'era una buca per le lettere, alcuni leoni d'arte muraria in un portone della via Jujuy, ad alcuni isolati dall'Once, un fondaco col pavimento di piastrelle, che non ricordava bene dove si trovasse. Quanto a suo padre ed ai suoi fratelli, già dovevano sapere da Daniele che era isolato - etimologicamente, la parola era giusta - dall'inondazione.

Esplorando la casa, sempre assediata dalle acque, trovò una Bibbia in inglese. Nelle ultime pagine i Guthric, questo era il loro vero nome, avevano lasciato scritta la loro storia. Erano oriundi di Inverness, erano sbarcati in questo continente senz'altro come braccianti, all'inizio del secolo diciannovesimo, e si erano incrociati con gli indios. La cronaca si fermava al milleottocentosettanta e rotti; già non sapevano più scrivere. Nel giro di poche generazioni avevano dimenticato l'inglese; lo spagnolo, quando Espinosa li conobbe, li metteva in difficoltà: Erano senza fede, ma nel loro sangue persistevano, come oscure radici, il crudele fanatismo del calvinista e la superstizione dell'indio. Espinosa raccontò la sua scoperta: non gli diedero quasi ascolto.

 

Sfogliò il volume e le sue dita lo aprirono all'inizio del Vangelo secondo Marco. Per esercitarsi nella traduzione, e forse per vedere se capiva qualcosa, decise di leggere quel testo dopo cena. Lo sorprese che l'ascoltassero con attenzione ed anche con tacito interesse. La casuale presenza delle lettere in oro sulla legatura del libro ne aumentò l'autorità. Lo portano nel sangue, pensò. Rifletté allora che gli uomini con l'andare del tempo hanno ripetuto sempre due storie; quella della nave sperduta che cerca nelle acque mediterranee un'isola amata e quella di un dio che si fa crocifiggere sul Golgota. Si ricordò delle lezioni di oratoria a Ramos Mejia e si alzava in piedi per predicare le parabole.

I Gutre si sbrigavano a mangiare la carne arrostita e le sardine, per non ritardare il Vangelo.

Un'agnellina che la ragazza viziava e agghindava con un nastro celeste, si ferì in un recinto di filo spinato. Per fermare il sangue volevano metterci una. ragnatela; Espinosa la curò con alcune pastiglie. La gratitudine che destò tale guarigione non mancò di sbalordirlo. Nei primi giorni egli aveva diffidato dei Gutre ed aveva nascosto in uno dei suoi libri i duecentoquaranta pesos che aveva portato con sé; ora, assente il padrone, ne faceva le veci ed impartiva timidi ordini che immediatamente venivano raccolti.

I Gutre lo seguivano per le stanze e nel corridoio come se si sentissero sperduti. Si accorse che mentre leggeva raccoglievano le briciole che aveva lasciato sulla tavola. Un pomeriggio li sorprese che parlavano di lui con rispetto e poche parole. Terminato il Vangelo secondo Marco, propose di leggerne un altro dei tre che rimanevano; ma il padre lo pregò di ripetere quello che aveva già letto, per intenderlo bene. Espinosa capì che erano come i bambini ai quali la ripetizione piace più del variare o della novità.

Una notte sognò il Diluvio, e non c'è da meravigliarsene; il martellamento per la costruzione dell'arca lo svegliò e pensò che fossero i tuoni. Difatti la pioggia, che era scemata, ritornò violenta. Il freddo era intenso. Gli dissero che il temporale aveva sfondato il tetto del capannone: glielo avrebbero mostrato non appena riparata la travatura. Ormai non era più uno straniero e tutti gli usavano delle attenzioni, quasi lo viziavano. A nessuno piaceva il caffè, ma per lui ce n'era sempre una tazza, che riempivano di zucchero.

Il temporale scoppiò un martedì. Il giovedì notte lo destò un soffice bussare alla porta che, dubbioso, chiudeva sempre a chiave. Si alzò ed aprì: era la ragazza. Nell'oscurità non la vide, ma dai passi capì che era scalza e dopo, nel letto, in fondo al quale andò a cacciarsi, che era nuda. Non lo abbracciò, non disse una sola parola. Si stese accanto a lui e vi rimase tremando.

Era la prima volta che conosceva un uomo. Quando se ne andò non gli diede un solo bacio. Espinosa pensò che non sapeva nemmeno come si chiamava. Sulla spinta di un impulso profondo, che non cercò di giustificare, giurò che a Buenos Aires questa avventura non l'avrebbe raccontata a nessuno.

Il giorno che segui cominciò come i precedenti, ma accadde che il padre rivolse la parola ad Espinosa, e gli chiese se Cristo si fece uccidere per salvare tutti gli uomini. Espinosa, che era libero pensatore, ma sentiva il dovere di confermare ciò che aveva loro letto, rispose: “ Sì. Per salvare tutti dall'inferno

Un luogo sottoterra dove le anime ardono in eterno ”.

Ma si salvarono anche quelli che gli conficcarono i chiodi? ”.

Aveva temuto che il fattore gli chiedesse conto di ciò che la notte era capitato a sua figlia.

Dopo colazione lo pregarono di rileggere gli ultimi capitoli.

Espinosa fece una lunga siesta: fu un sonno leggero, interrotto da un persistente martellio e da vaghe premonizioni. Verso l'imbrunire si alzò e usci nel corridoio. Disse, quasi pensando ad alta voce: “ ”.

“ Ormai manca poco ” ripeté Gutre, come un'eco. I tre lo avevano seguito. Inginocchiati sul pavimento di pietra gli chiesero la benedizione. Poi lo maledissero, gli sputarono addosso e lo spinsero fino in fondo. La ragazza piangeva. Quando aprirono la porta vide il firmamento. Un uccello cinguettò; pensò: è un cardellino. Il capannone era senza tetto: avevano strappato le travi per costruire la Croce.

 

Gv 1,14

Non sarà meno un enigma questo foglio

di quelli dei Miei libri sacri

né di quegli altri che ripetono

le bocche ignoranti

credendoli d'un uomo, non già specchi

oscuri dello Spirito.

lo che sono l'È, il Fu, il Sarà,

torno ad accondiscendere al linguaggio,

che è tempo successivo ed emblema.

Chi gioca con un bimbo gioca con qualcosa

di vicino e misterioso;

io volli giocare con i Miei figli,

tra loro stetti con sorpresa e dolcezza.

Per opera di magia

stranamente nacqui da un ventre.

 

Vissi affatturato, incarcerato in un corpo e nell'umiltà d'un'anima.

Conobbi la memoria,

quella moneta che non è mai la stessa.

Conobbi la speranza e il timore,

quei due volti dell'incerto futuro.

Conobbi la veglia, il sonno, i sogni,

l'ignoranza, la carne,

i tardi labirinti della ragione,

l'amicizia degli uomini,

la misteriosa devozione dei cani.

Fui amato, compreso, lodato e pendetti da una croce.

Bevvi la coppa fino alla feccia.

Vidi attraverso i miei occhi ciò che mai avevo visto:

la notte e le sue stelle.

Conobbi il pulito, l'arenoso, il disuguale, l'aspro,

il sapore del miele e del pomo,

l'acqua nelle fauci della sete,

il peso d'un metallo nella palma,

la voce umana, il rumore d'alcuni passi sull'erba,

l'odore di pioggia in Galilea,

l'alto grido degli uccelli.

Conobbi anche l'amarezza.

Ho affidato questa scrittura a un uomo qualunque;

non sarà mai ciò che voglio dire,

non cesserà d'esserne il riflesso.

Dalla Mia eternità cadono questi segni.

Altri, non d'ti ne è oggi l'amanuense, scriva il poema.

Domani sarò una tigre fra le tigri

e predicherò la Mia legge alla sua selva,

o un grande albero in Asia

Penso talvolta con nostalgia

a quel sentore di falegnameria.