Il fatto che alcuni “vangeli” non siano rientrati nel Canone, quindi ritenuti apocrifi o “nascosti”, suscitò nel corso dei secoli un fascino misterioso che si spinse fino alla speculazione fantastica sui loro contenuti ed interpretazioni. D'altro canto si operò sugli apocrifi una censura che li portò all'annullamento e all'insignificanza in ordine al contributo sulla ricostruzione del Gesù storico. “Molti vedevano nel loro contenuto soltanto un miscuglio di tradizioni tratte dai vangeli canonici, rielaborate e reinterpretate. Perciò gli studiosi della vita e dell'insegnamento di Gesù attribuivano loro uno scarso valore, che diveniva poi nullo in riferimento alla vita e alla fede della Chiesa cristiana”1.

 

Gli ultimi anni hanno tuttavia registrato un interessante fenomeno di ripresa di interesse nei confronti della letteratura apocrifa sulla vita di Gesù. Questo processo ancora in fieri è dovuto sia al fatto che quei testi si pongono in alternativa ai vangeli canonici, sia per il loro proporsi come fonte storica ulteriore in aggiunta ai racconti canonici e che in forza del criterio della molteplice attestazione delle fonti storiche2, rafforza ed offre credibilità alle stesse testimonianze evangeliche rientrate nel canone neotestamentario.

Di minore importanza sono gli agrapha, ovvero i detti e fatti “non scritti” di Gesù e che appartengono quindi alla sola tradizione orale. In proposito sono significativi due contributi: il primo di William D.Stoker, che riporta oltre agli agraphaanche diverse varianti dei detti canonici di Gesù distribuiti nella letteratura cristiana3. Il secondo di Joachim Jeremias il quale raccoglie materiali che arrivano fino agli scritti islamici medievali4. Egli invita alla prudenza nel rilevare gli agraphacome materiale storicamente attendibile ed afferma a riguardo "La grande massa del corpus degli agrapha è leggendaria e porta il segno chiaro della falsificazione. La quantità di materiale che è di qualche utilità per lo storico è notevolmente piccola"5. Sono solo diciotto a parere di J.Jeremias i detti che possono essere accettati come ipsissima verba Jesu e che contribuirebbero alla determinazione del Gesù storico.

Questo incontra lo scetticismo di autori come J.Meier che prende le distanze anche da quei piccoli diciotto riconoscimenti di J.Jeremias. “Anche se tutti e diciotto fossero accettati, non verrebbe aggiunto niente di nuovo al nostro quadro. Una grande fatica su quel materiale dubbio non produce assolutamente nuovi dati significativi”6.

Oltre al recente entusiasmo scientifico permane tuttavia la cautela scettica di chi avvicina i vangeli apocrifi con estrema prudenza fino a rendere nullo il loro contributo in ordine agli scopi della nostra indagine. È ancora significativa in proposito la posizione dello stesso J.Meier il quale a conclusione della sua trattazione sull'argomento giungeva a dire che “Non c'è niente qui che possa servire come fonte nella nostra ricerca sul Gesù storico. Usare questi testi per questa che è in partenza un'avventura precaria renderebbe l'avventura completamente incredibile”7.

 

All’interno dell’estesa letteratura apocrifa neotestamentaria, quattro documenti sono stati oggetto di appassionate dispute tra gli studiosi circa l'attendibilità del loro contributo alla ricostruzione del Gesù storico. Essi sono il Vangelo di Pietro, ilVangelo di Egerton, il Vangelo di Tommaso, il Vangelo Segreto di Marco.8

 

1 STANTON G., La verità del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998, p.104.

2 Cfr. p.15

3 STOKER William D., Extracanonical Saying of Jesus, Scholars, Atlanta 1989.

4 JEREMIAS J., Gli agrapha di Gesù, Paideia, Brescia, 19762.

5 Cfr. ibid., p.152.

6 MEIER J.P., Gesù, un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (Biblioteca di Teologia Contemporanea),

Queriniana, Brescia 2001, p.109.

7 Ibid., p.126.

8 Per l’edizione italiana cfr. MORALDI L. (a.c.), Apocrifi del Nuovo Testamento, vol.I, Utet, Torino 1975.

 

di Fabio Ferrario


IL VANGELO DI PIETRO

Un piccolo codice di trentatre facciate di pergamena venne ritrovato in Egitto, ad Akmim da una spedizione archeologica francese negli anni 1886-1887. Dopo il recto del frontespizio, inizia una piccola operetta che occupa le pagine da due a dieci e riporta la testimonianza di Pietro che parlando in prima persona offre un racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù. A motivo dell'uso della prima persona singolare, l'operetta prende il nome di Vangelo di Pietro.

La pubblicazione del papiro di Ossirinco avvenuta nel 1972 portò alla luce alcuni versetti della stessa operetta offrendo così la sua datazione esatta risalente al II secolo d.C.1

La testimonianza dello storico della Chiesa Eusebio di Cesarea riporta la scoperta operata da Serapione, vescovo di Antiochia intorno al 190 d.C., secondo cui i fedeli che ebbero contatti con il Vangelo di Pietro, in particolare quelli della diocesi di Rhossos, nei pressi di Antiochia, mostravano evidenti inclinazioni eretiche di natura docetista, arrivando ad attribuire a Gesù la natura umana solo in apparenza2. La ricerca storico-teologica successiva, fino ai nostri giorni supera la posizione di Eusebio concludendo che “Serapione non dice esplicitamente che questo vangelo fosse docetista, ma piuttosto che i docetisti lo usarono. Anche se alcuni passi possono essere interpretati secondo la dottrina docetista, questa ipotesi non è quella più plausibile. Per questo motivo il Vangelo di Pietro non deve essere etichettato come eretico, termine in ogni caso ingannevole se riferito al II secolo”3.

 

In ordine alla nostra ricerca ci chiediamo quale apporto può offrire il Vangelo di Pietro per la delineazione dei tratti storici di Gesù. A riguardo, il tentativo più ardito di considerare il Vangelo di Pietro storicamente attendibile ed utile per la ricostruzione del Gesù storico avviene ad opera di J.Crossan.4 In modo del tutto fantasioso egli compie sull'Apocrifo un lavoro archeologico fino a trovare alle sua spalle un testo che definisce Vangelo della Croce e che sarebbe stata la vera fonte di Marco ed in seguito anche di Matteo e Luca.

A parte J.Crossan e la sua scuola, questa ipotesi non trova consensi nella comunità scientifica. “Anche se il Vangelo di Pietro ci offre interessanti spunti per comprendere come si siano sviluppate le tradizioni della passione e della resurrezione nel II secolo, come fonte storica non ha invece alcun valore. Gli unici temi teologici che oggi potrebbero indurre i cristiani alla riflessione, si trovano già nei vangeli tradizionali”.5

Le posizioni di J.Crossan sono state duramente criticate sostenendo la chiara dipendenza del Vangelo di Pietro dal Vangelo di Matteo, anche negli strati più profondi. L’autore dell’apocrifo mostra inoltre di essere a conoscenza anche delle testimonianze di Luca e Marco, mentre nel suo scritto non vi è traccia del vangelo di Giovanni. Gli attacchi principali sono mossi in particolare da J.Meier contro la metodologia che egli assume: “Crossan stesso afferma, all'inizio del suo progetto, che, a parità di condizione, deve essere preferita la teoria più semplice che spiega più dati. È a questo livello fondamentale che la sua teoria non funziona. J.Crossan deve tessere una rete complicata e talvolta contraddittoria poiché assegna ai documenti date antiche discutibili o improbabili linee di dipendenza”.6 J.Meier conclude la sua analisi sostenendo fortemente la dipendenza del Vangelo di Pietro dagli stessi vangeli sinottici, arrivando a confutare completamente la posizione isolata di J.Crossan. Completando le intuizioni di R.E.Brown nella sua opera citata, J.Meier muove dalla critica storica al Vangelo di Pietro per mettere in discussione tutta la letteratura apocrifa tout-court circa la pretesa di contribuire alla ricostruzione del Gesù storico.7

Il lavoro meticoloso di R.E.Brown analizza puntualmente il Vangelo di Pietro 8 ed attraverso la comparazione con i vangeli canonici rileva la sua catalogazione apocrifa dovuta al tipo di trasmissione che esso faceva del racconto di passione. Mentre la testimonianza di Marco girava all'interno dei circoli ecclesiali come lettura liturgica e pertanto riconosciuta come canonica, il Vangelo di Pietro era una libera rilettura popolare della passione di Gesù e diffusa tra il popolo in forma di saga o di sacra rappresentazione ante litteram.

Lo studioso americano assume infine una posizione equilibrata che facciamo nostra. Si inscrive a sua volta a pieno titolo tra coloro che non danno al Vangelo di Pietro il riconoscimento per il contributo alla ricerca storica e dopo avere analizzato le varie accezioni operate nella storia dell'Apocrifo, si pone in atteggiamento critico nei confronti di chi considerò il Vangelo di Pietro come eretico, ipotesi facilmente confutabile sulla base del confine labile tra ortodossia ed eterodossia all'inizi del II secolo. R.Brown assume la stessa distanza sia da chi considera il Vangelo di Pietro come la fonte storica più antica sia da chi lo ritiene come la vera interpretazione del cristianesimo primitivo nei confronti della censura gretta operata dai vangeli canonici. Dopo avere apprezzato la cautela e lo zelo pastorale di Serapione, R.Brown riconosce al Vangelo di Pietro il merito di offrirci una testimonianza su come la pietà popolare vivesse il racconto della passione del Signore quindi la stessa cristallinità della fede cristiana e così conclude la sua trattazione: “Al di sotto del dramma, a suo modo il Vangelo di Pietro proclamava che Gesù era il Signore divino, vincitore su tutto quello che i suoi nemici potevano fargli per mezzo della crocifissione”.9

 

1 Cfr. BROWN R.E., La morte del Messia, Queriniana, Brescia 1999, p.1489-1490.

2 Cfr. EUSEBIO DI CESAREA, Historia Ecclesiastica, VI, 12.

3 STANTON G., La verità del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1998, p.107.

4 CROSSAN J.D., The Historical Jesus, Harper, San Francisco 1991.

5 STANTON G., La Verità del Vangelo, p.109.

6 MEIER J.P., Un Ebreo Marginale. Ripensare il Gesù Storico (Biblioteca di Teologia Contemporanea),

Queriniana, Brescia 2001, p.114.

7 Cfr. MEIER J., Un Ebreo Marginale, pp.117-118.

8 Cfr. BROWN R.E., La Morte del Messia, pp.1489-1526.

9 Cfr. ibid., p.1524-1525.

 

IL VANGELO DI EGERTON

Anche se di scarso rilievo per la nostra ricerca, come del resto lo sono tutti gli apocrifi neotestamentarti, riportiamo per completezza l’analisi del Vangelo di Egerton che fino al ritrovamento del P52 avvenuto nel 1935, deteneva il primato di essere il più antico documento cristiano scoperto in Egitto. I quattro frammenti che compongono il Vangelo di Egerton, noto anche come Papiro di Egerton 2, risalgono al II secolo d.C. e suscitarono immediatamente un grande scalpore fin dal loro ritrovamento avvenuto sempre nel 1935, poco prima del P52.

L'aggiunta posteriore al primo frammento si effettuò nel 1987 con la pubblicazione del frammento PKöln 255. Questo fu praticamente incastonato all'interno del primo frammento del Vangelo di Egerton completandolo in varie sue parti mancanti.1

I quattro frammenti riprendono sostanzialmente molte espressioni di Giovanni e dei Sinottici, facendone un racconto misto delle quattro versioni canoniche.

Il primo frammento unisce espressioni giovannee e lucane e presenta un racconto alternativo della guarigione del lebbroso operata da Gesù. J.Meier è del parere che tale rielaborazione sia frutto della fantasia dell'autore del Vangelo di Egerton e cita come paradigma la variante della lebbra contagiata in una locanda a tavola con altri lebbrosi.

È sempre J.Meier a rilevare la caratteristica rielaborazione continua della tradizione orale che si lasciava trasportare dalla creatività popolare fino ad arricchire le testimonianze originali di aneddoti di fatto mai verificatisi.2

Il secondo frammento presenta una variante sul racconto del tributo da dare a Cesare e benché il racconto non si discosti molto dalla versione marciana, presenta tuttavia una sensibile variante linguistica che si stacca dallo stile del Vangeli Canonici.

Il suo contenuto presenta da un lato espressioni marciane 3 con striature giovannee e dall'altro “sembra far parte di un racconto quasi fantastico più simile alle tradizioni trovate più tardi negli apocrifi”4 successivamente venuti alla luce.

Il Terzo frammento contiene solo poche parole leggibili che possono forse riflettere una versione giovannea 5 ed il quarto frammento mostra soltanto una lettera parzialmente riconoscibile.

 

A bilancio finale, nonostante i facili entusiasmi dei tempi del ritrovamento di Egerton 2, la critica arriva oggi a concludere la dipendenza del Vangelo di Egerton sia dai sionottici sia da Giovanni. L'autore sembra aver memorizzato versetti dei vari vangeli che successivamente rielabora con aggiunte e fantasie personali che probabilmente riportano l'elaborazione folkloristica della tradizione popolare.

Il solo autore che anticipa Egerton 2 rispetto alla tradizione sinottica è ancora J.Crossan 6 ma la sua ipotesi è fortemente contestata e giudicata senza fondamento 7.

Mentre infatti sembra improbabile che la tradizione sinottica possa essersi sviluppata a partire da quattro esili frammenti, “meno difficile è invece pensare che il loro autore abbia scritto le tradizioni su Gesù ricordate a memoria basandosi sulla conoscenza dei quattro vangeli” 8. La dettagliata analisi di Charles Dodd porta a stabilire la datazione di Egerton 2 posteriore alla stesura del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli 9.

Circa il contributo del Vangelo di Egerton ai fini della nostra ricerca, dobbiamo osservare che nonostante l'apparente indipendenza dai sinottici dei racconti della guarigione del lebbroso e del tributo a Cesare, esso non ci offre elementi significativi per la ricerca del Gesù storico. Dobbiamo riconoscere tuttavia al Vangelo di Egerton la conferma dell'esistenza di una tradizione orale che gradualmente rielaborò la tradizione sinottica fino ad apportare fantasiose varianti. Egerton 2 arriva al limite a testimoniare il passaggio storico del figlio di Dio nella narrazione epica che necessita, naturae suae, il moltiplicarsi delle cautele ermeneutiche nel momento in cui si ha la pretesa di volerne ottenere un'accezione storica.

 

1 Cfr. STANTON G., La Verità del Vangelo, p.110.

2 Cfr. MEIER J.P, Un Ebreo Marginale, p.119.

3 In particolare si fa riferimento a Mc 7,6-7; 12,14.

4 STANTON G., La Verità del Vangelo, p.111.

5 Probabilmente Gv 10,30-31.

6 Cfr. CROSSAN J.D., The Historical Jesus, T&T Clark, Edimburg 1991, p.438.

7 Cfr. MEIER J.P., Un Ebreo Marginale, p. 121.

8 STANTON G., La Verità del Vangelo, p.112.

9 DODD C.H., A New Gospel, in New Testament Studies, Manchester University, Manchester 1967, p.21.

 

IL VANGELO DI TOMMASO

Risale al 1945 la scoperta casuale fatta da un contadino nel villaggio di Nag Hammadi nell'Alto Egitto. Si tratta di una biblioteca di dodici rotoli risalenti al IV secolo d.C. e contenenti quarantacinque opere distinte che attraversano tutto la scibile di allora, dagli scritti filosofici a quelli religiosi.

L'inglese Christopher Tuckett ha analizzato il materiale di Nag Hammadi alla ricerca di elementi che possano dipendere dalla tradizione sinottica e la sua ricerca ebbe esito negativo. La biblioteca di Nag Hammadi non contiene fonti presinottiche e non offre contributi che stabiliscano l'iter di formazione dei Sinottici. Tuttavia se da quei rotoli non è possibile dire nulla sul "prima" della tradizione sinottica, essi ci sono utili per analizzare il "dopo", ovvero l'uso che si fece di essi nel primo periodo patristico.1

Il solo documento di Nag Hammadi meritevole di attenzione per la nostra ricerca è il Vangelo di Tommaso copto sul quale lo stesso C.Tuchett ha riservato uno studio specifico dopo aver osservato la vistosa divergenza di opinione tra gli studiosi che lo analizzarono.2

La pubblicazione del Vangelo di Tommaso risale al 1957 dopo il rinvenimento dei resti di tre papiri da una discarica nei pressi del sito dell'antica Ossirinco sempre in Egitto. Essi risalgono al III secolo d.C. e riportano parte del Vangelo di Tommaso ma ordinato diversamente, questo se da un lato accredita l'attendibilità storica del Vangelo di Tommaso, dall'altra ne rileva una certa diffusione nei primi secoli fino ad arrivare per stratificazioni successive al testo che ora possediamo rendendo vieppiù contorta la ricerca delle sue fonti.3

 

Siamo di fronte al documento apocrifo che continuamente accende il dibattito nella comunità scientifica schierata su teorie diametralmente opposte.

Alcuni lo considerano come il Quinto Vangelo la cui fonte sarebbe indipendente rispetto ai vangeli canonici ed ancora più antica rispetto a Marco, quindi particolarmente utile per la ricostruzione del Gesù storico.

Secondo altri si tratta di una vangelo dichiarato "eretico" dalla chiesa ortodossa in quanto legato allo gnosticismo del II secolo d.C. In questo caso non darebbe alcun contributo per ricostruire la figura storica di Gesù.4

In sfavore dell'Apocrifo occorre subito dire che il genere “vangelo” applicato al Vangelo di Tommaso è certamente un’assegnazione impropria. Esso infatti si presenta come una collezione di centoquattordici detti di Gesù, senza tuttavia alcuna struttura redazionale interna. Ciò determinò l’associazione per analogia alla Fonte Q che verosimilmente doveva avere la stessa caratteristica e così si impose al vaglio analitico degli studiosi che rimangono ad oggi divisi su due fronti e "spesso si comportano come i politici: pretendono di rappresentare l'opinione della maggioranza e ignorano ampiamente i punti forti sostenuti dai loro oppositori".5

Mentre la maggioranza dei ricercatori rimane ormai sulla posizione di sfiducia nei confronti dell'originalità del Vangelo di Tommaso, rimane isolata la posizione di J.D.Crossan. A parere suo l'Apocrifo avrebbe una prima stratificazione risalente agli anni 50 d.C., praticamente circa vent'anni prima della stesura del vangelo di Marco.

 

Un ulteriore elemento complica la valutazione del Vangelo di Tommaso ed è la sua appartenenza alla gnosi come del resto altri documenti della biblioteca di Nag Hammadi. Lo Gnosticismo minò le fondamenta dell'ortodossia cristiana del II e III secolo d.C. attribuendo la creazione del mondo al dio del male JHWH che si separò dal vero Dio. In questo mondo malvagio gli gnostici si ritenevano i veri adoratori di Dio in quanto Gesù Cristo avrebbe condiviso con loro la "conoscenza" che li avrebbe strappati dalla malvagità mondana e ricondotti al vero Dio.

Di primo acchito il Vangelo di Tommaso appare come una sintesi di espressioni gnostiche e sinottiche ed è proprio questa sua impostazione sincretica che spinge la convergenza degli studiosi a considerarlo come inattendibile ai fini della ricerca del Gesù Storico. Di esso infatti rimane nulla se lo si de-stratifica del materiale gnostico e di quello canonico.

J.Meier compie una lunga analisi del Vangelo di Tommaso 6 per arrivare a concludere quanto appena affermato. Lo Studioso avanza al limite l'ipotesi che l'Apocrifo dipenda da un impasto di materiale proveniente dai canonici che già fu compilato nel II secolo. "Di fatto, può anche darsi che il Vangelo di Tommaso non dipenda direttamente dai quattro vangeli canonici, ma da qualche loro conflazione, che era già stata compilata in greco" 7.

Il Vangelo di Tommaso non ci offre tuttavia alcun contributo per giungere al Gesù storico, salviamo la testimonianza che esso ci offre sull'usanza del II secolo di rielaborare la vita di Gesù con una fusione di materiale di varia provenienza.

 

1 Cfr. TUCKETT C., Nag Hammadi and The Gospel Tradition (Studies of New Testament and Its World),

Clark, Edimburg 1986, pp.149-150.

2 Cfr TUCKETT C., Thomas and the Synoptics, in Novum Testamentum 30 (1988), 132-157.

3 Cfr. MEIER J.P., Un Ebreo Marginale, p.130.

4 Cfr. STANTON G., La Verità del Vangelo, pp.112-113.

5 STANTON G., La Verità del Vangelo, p.113.

6 Cfr. MEIER J.P., Un Ebreo Marginale, pp.140-154.

7 Ibid., p.151.

 

IL VANGELO SEGRETO DI MARCO

Su questo scritto è alta la convergenza di studiosi che lo considerano una manipolazione storica e quindi inattendibile, altri invece pur non considerando validi i suoi contributi lo analizzano impugnando la causa della verità storica da cui il Vangelo Segreto di Marco sembra divagare. E’ il caso degli studiosi a cui facciamo riferimento per l’analisi dei testi apocrifi, J.Meier e G.Stanton. Dalle loro considerazioni emerge quanto segue.

Morton Smith si attribuirebbe la scoperta di questo scritto che sostenne di aver portò alla luce nel 1954 dal monastero diSan Saba poco distante da Gerusalemme, per pubblicarlo solo nel 1973 1. Il testo sarebbe contenuto in un documento conosciuto come la Lettera di Clemente di Alessandria, risalente al II secolo d.C.

La lettera contiene un commento sull'origine del vangelo di Marco e comprende venti righe in Greco che provenivano dal Vangelo Segreto di Marco. Clemente testimonia che, dopo il martirio di Pietro, Marco raggiunse Alessandria dove rielaborò i suoi appunti e quelli di Pietro e con essi ampliò il suo vangelo originale con uno scritto di carattere più spirituale destinato ai cristiani che erano più di altri sulla via della perfezione. Questi fu tenuto nascosto alla comunità cristiana per costituire una sorta di vangelo esoterico e per questo definito "segreto".

Il parere degli studiosi prende subito le distanze dalla testimonianza di Clemente di Alessandria che "come Epifanio e Girolamo, non è sempre il testimone più affidabile per la natura e la provenienza di documenti antichi, specialmente quando sono implicate polemiche con eretici"2. È nota infatti la sua tendenza "ad accettare tradizioni su scritti apocrifi smaccatamente spuri" 3.

 

Il Vangelo Segreto di Marco venne custodito gelosamente dalla Chiesa di Alessandria ma sfortunatamente un presbitero ne consegno una copia a Carpocrate, il più antico eretico gnostico a detta dei Padri 4 e finì così nelle mani dei carpocraziani che lo rilessero nell'ottica della loro eresia fino ad interpretare alcuni suoi passaggi in modo da attribuire a Gesù una presunta omosessualità.

Il passo di riferimento è Mc 14,51-52 in cui appare il giovane che fugge nudo dopo essere stato la notte da Gesù 5 ma riproposto nel Vangelo Segreto di Marco con "quando fu sera, il giovane si reca da lui vestito di un vestito di lino sulla sua nudità. E quella notte egli rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio".

Il contrasto all'accezione omosessuale dei carpocraziani 6 muove dal sostantivo greco neani,skoj con cui può essere intesa anche una figura angelica. Lo stesso termine è usato ancora da Mc 16,5 per indicare l'angelo cha dà l'annuncio della resurrezione 7. Il giovane sarebbe quindi una figura celeste che accompagna Gesù sul cammino della passione fino a dare l'annuncio della sua resurrezione.

Una seconda rilettura cristiana vede nel neani,skoj Gesù stesso che viene trascinato alla morte ma che agli occhi della fede non può essere catturato e fugge dai suoi aguzzini.

Vi è in terzo luogo l'interpretazione battesimale ad opera della Chiesa primitiva secondo la quale il giovane è l'immagine del neofita che nel giorno del battesimo viene spogliato delle sue vesti per essere immerso nel lavacro battesimale e rinascere con Cristo in vesti nuove.

Resta più attendibile e suggestiva la proposta di R.Brown che esclude ogni misticismo e vede nel neani,skoj l'ultimo discepolo che vuole seguire Gesù sino all'estremo della sua passione ma questa sequela fedele e squisitamente ostinata sarà tuttavia destinata al fallimento: il giovane fuggirà dai suoi catturatori lasciando nelle loro mani anche il pregiato abito di lino sottile di cui era vestito. Il fatto sembra avere un vaticinio profetico in Am 2,16 8 e contribuisce ad esaltare la solitudine di Gesù che abbandonato da tutti va incontro alla sua morte per la salvezza del mondo.

L'ironia dell'ultimo discepolo evidenzia inoltre il contrasto tra il modello di discepolato elogiato da Gesù nelle parole di Pietro "noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito"9 e l'atteggiamento paradossale di quegli stessi che "allora, abbandonandolo, fuggirono"10. Lo iato colmatosi tra l'intenzione di fedeltà espressa dai discepoli per bocca di Pietro e l'abbandono di Gesù per fuggire via è tuttavia colmato nella scena al sepolcro vuoto quando "Gesù che fu ignominiosamente abbandonato dall'ultimo discepolo e lasciato solo di fronte all'ora del suo arresto e della sua morte, viene servito da un angelo che proclama la sua vittoria sulla morte"11.

 

Il Vangelo Segreto di Marco non apporta significativi contributi alla ricostruzione del Gesù storico o addirittura potrebbe essere nullo considerandolo come falso storico. Rimane tuttavia suggestiva l’immagine del discepolo che vuole seguire Gesù fino alla sua passione deve arrendersi di fronte alla finitezza umana che non può caricarsi dello stesso progetto che Dio Padre ebbe su Gesù di Nazareth nell’adempimento salvifico della sua promessa antica.

Il discepolo può e deve essere un fedele collaboratore e continuatore del Vangelo di Gesù, tuttavia non può sperare di essere a pari merito al Figlio di Dio nella sua morte che salva l’umanità.

 

1 SMITH M., Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark, Harvard University, Cambridge (MA) 1973.

2 MEIER J.P., Un Ebreo Marginale, p.123.

3 STANTON G., La Verità del Vangelo, p.124.

4 Cfr. BROWN R.E., La Morte del Messia, p.346.

5 Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo,

fuggì via nudo.

6 Cfr. BROWN R.E., La Morte del Messia, pp.350-355.

7 Entrando nel sepolcro videro un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca.

8 Il più coraggioso fra i prodi fuggirà nudo in quel giorno.

9 Mc 10,28.

10 Mc 14,50.

11 BROWN R.E., La Morte del Messia, p.355.

 

UN BILANCIO

Le opere canoniche dei quatto vangeli sono certamente difficili nella loro interpretazione e nel vaglio critico della loro storicità. Il passaggio ulteriore dai Canonici agli Apocrifi comporta una difficoltà di più ampio respiro teologico che non lascia indifferente lo studioso-credente che affronta la contorta problematica della ricerca del Gesù storico. Si tratta infatti di passare dal "difficile" degli scritti canonici e comunque meritevole di atto di fede in quanto Parola di Dio rivelata e scritta, al "non credibile" dei racconti apocrifi.

La oggettiva difficoltà nel considerare scientificamente sullo stesso piano due tipi di letteratura che sono intrinsecamente divergenti sul piano teologico deve tuttavia cedere il passo al rigore della ricerca storico-teologica che proprio in quanto illuminata e sostenuta dalla fede si fa carico dell'amore della verità e si predispone ad accettare i vari contributi documentati che il travaglio storico permette ancora di analizzare come candidati di peso variabile ad una migliore ricostruzione della figura storica del Figlio di Dio.

 

Gli Apocrifi non offrono dal canto loro consistenti apporti storici ai dati già forniti dai Canonici, tuttavia contribuiscono anche agli occhi dello scettico ad evidenziare e determinare il contesto storico, teologico e sociale che costituì i decenni fondamentali in cui la Chiesa nascente recepì ed incarnò il messaggio della salvezza. In questo senso essi possono considerarsi validi ai fini della nostra ricerca, in quanto la ricostruzione del Gesù storico che andiamo delineando attraversa in modo imprescindibile le modalità di ricezione ed interpretazione della sua stessa storicità.