Caro Navigatore,
ti presento alcuni uomini "giusti".

Personalmente li considero tra i veri "grandi" della terra. Possono sembrare uomini "contro" ma sono solo contro corrente e mai contro nessun altro uomo.

Sono Testimoni che Cristo ha annunciato un amore possibile e pure vincente, a suo modo!

Sono Profeti che han saputo dire al mondo i loro sogni. E i loro sogni assomigliano incredibilmente ai sogni di Dio.

Abbé Pierre

Il padre dei clochards di Parigi.

Il suo nome di battesimo è Henry Antoine Grouès. Nasce il 5 Agosto 1912 a Parigi da una famiglia dell’alta borghesia. Sacerdote cattolico, al tempo della seconda guerra mondiale partecipa alla Resistenza, ed è chiamato Abbé Pierre. Aiuta molti ebrei e polacchi a fuggire accompagnandoli attraverso rischiosi sentieri sulle Alpi e sui Pirenei. Dopo la guerra viene eletto deputato dell’Assemblea Nazionale, e nel 1949 con le indennità parlamentari acquista una casa a Neuilly-Plaisance, dove pian piano arrivano i più poveri. Abbandona la carriera politica per stare con loro. Per aiutarli, l’Abbé Pierre trova una fonte di reddito inconsueta a quei tempi: il recupero e il riciclaggio dei rifiuti.

L’inverno del ‘54 è particolarmente rigido. Parigi vede morire di freddo novanta senzatetto, e intanto il governo non interviene. La reazione dell’Abbé Pierre è immediata: per scuotere l’opinione pubblica dall’apatia, parla alla radio, alla televisione, agli angoli delle strade, finchè non riesce ad organizzare un vero e proprio soccorso di massa, "l’insurrezione della bontà". Forma piccoli gruppi di raccoglitori di stracci, ferrame e altro materiale, dando vita al movimento Emmaus.

 

POSSIBILE CHE NON VI SIANO TESTIMONIAL PIÙ CREDIBILI?

Da Madre Teresa a Bono, l'ultimo difensore dei deboli

di Giulio Albanese, Avvenire 24 giugno 2007

E davvero unico nel suo genere. Paul David Hewson, meglio noto col nome d'arte di Bono Vox, non perde occasione per portare l'Africa alla ribalta.

Tanto per fare un esempio, a Heligeindamm, sede dell'ultimo vertice dei G8, un paio di settimane fa, con grande disinvoltura, ha rincorso i Grandi della Terra rammentando agli illustri convenuti che, nonostante le promesse, sono tutti drammaticamente in ritardo coi versamenti per il Sud del mondo e l'Africa in particolare. Ma l'ultima trovata di questo eccentrico signore, capofila degli U2, riguarda il numero di luglio del mensile statunitense Vanity Fair.

Infatti ha avuto l'ardire di mobilitare alcuni dei nomi di maggior spicco nel campo musicale, sociale e politico per realizzare un'iniziativa editoriale senza precedenti a fini umanitari. E’ riuscito a trascinarsi dietro personaggi del calibro di Brad Pitt, George Clooney, Warren Buffett, Desmond Tutu, Muhammad Ali, Bill e Melinda Gates, Barack Obama, Madonna, la Regina di Giordania Rania, il presidente George W. Bush e la segretaria di Stato Condoleezza Rice. Li ha messi tutti di fronte all'obiettivo della grande fotografa Annie Leibovitz che li ha immortalati per farne delle copertine che dovrebbero segnare un impegno in favore dell'Africa.

Alla 47enne rockstar irlandese il compito di raccontare storie sul continente «dando spazio anche ai successi che si ottengono in quelle terre - sono sue testuali parole in un'intervista concessa negli States - in contrapposizione agli orrori quotidiani che sconvolgono questo o quel Paese». Insomma, come già accaduto in passato quando il leader degli U2 diresse per un giorno il quotidiano inglese The Independent e quello francese Liberation, questa volta ha scelto un mensile di moda, politica e costume d'Oltre Oceano improvvisandosi giornalista provetto. Com'è noto Bono, da sempre impegnato nella lotta contro la povertà e paladino della campagna per la cancellazione del debito contratto dai Paesi del Sud del mondo, ha recentemente focalizzato la sua attenzione sulla pandemia dei nostri tempi: l'Aids. Non v'è dubbio che Bono, da meno di un anno baronetto per concessione della regina Elisabetta, su segnalazione del premier Tony Blair, sempre nascosto dietro i celebri occhialoni da sole, è diventato un paladino dei "senza voce".

Detto questo viene spontaneo chiedersi come mai si debba ricorrere ad un cantante per parlare di argomenti che dovrebbero, in linea di principio, competere alla sfera della politica e della solidarietà. Per carità, è indubbio che certe campagne mediatiche abbiano visibilmente bisogno dei cosiddetti ‘testimonial’ canterini per far passare certi messaggi. Premesso che il Bono di cui sopra non è proprio uno stinco di santo non foss’altro per l'aver trasferito in Olanda la società-cassaforte della sua rock band, la U2 Ltd valutata 700 milioni di euro. Una mossa da scaltro ‘elusore’ per sfuggire al fisco del governo di Dublino che, dal palco, proprio lui accusa pubblicamente di aver tagliato gli aiuti destinati alla cooperazione internazionale dallo 0,7 allo 0,5 per cento del Pil.

Insomma per quanto predichi bene, la sua coerenza lascia comunque molto a desiderare. Ma non è questo il punto.

Chiediamoci invece dove siano finiti quei testimonial che riescono a coniugare l'eccellenza della parola con la forza della testimonianza. Ma il mondo cattolico, ad esempio, non dovrebbe fare lo stesso sfoderando i propri Grandi sul palcoscenico del mondo? Pensiamo alle straordinarie figure di missionari e missionarie che operano a fianco dei poveri, o agli illustri personaggi della scienza, della cultura o di una certa politica illuminata che credono nella condivisione dei beni della Terra. Una cosa è certa: un tempo c'era Madre Teresa che bucava lo schermo ... Oggi invece dobbiamo accontentarci di Bono che col suo gruppo musicale, per chi non lo sapesse, ha venduto la bellezza di 170 milioni di dischi e incassa 100 milioni di dollari all' anno.

'Il vescovo delle favelas'

Helder Pessoa Ca^mara nasce a Fortaleza (Brasile) il 7 Febbraio 1909.Ordinato sacerdote nel 1931, si distingue per l’ impegno nei confronti delle persone più povere. Cinquantenne, viene eletto vescovo di Olinda e Recife.

Da allora è "il vescovo delle favelas". Lascia il palazzo vescovile e sceglie di vivere in povertà nella sua diocesi. Sono gli anni della dittatura militare nel paese. L’attività di Ca^mara si fa intensa: anima molti seminari, denuncia i metodi di tortura, le condizioni di fame e l’ analfabetismo. Promuove azioni non violente tra i poveri per sostenere i loro diritti e garantire il possesso della terra.

E’ tra i primi a segnalare in tutto il mondo lo scandalo dei ‘sem terras’, i contadini che vengono privati, con l’accordo delle autorità locali, della loro terra da parte delle multinazionali. Partecipa attivamente al concilio ecumenico VaticanoII: sostiene l’esigenza di una Chiesa inserita nel sociale, e solidale con i poveri per coerenza con il vangelo. Nel 1979 riceve a Firenze la laurea honoris causa in Economia e Commercio, per la profonda conoscenza della realtà economica internazionale. E’ spesso minacciato di morte, e alcuni sacerdoti fra i suoi più stretti collaboratori sono stati uccisi.

 

Speranza che attende tra gli uomini fratelli

«Forse qualcuno non se n’è ancora accorto: i cristiani vivono nel mondo tamquam scintillae in arundineto, come scintille in mezzo al campo. Viviamo nella diaspora. Ma la diaspora è la condizione normale del cristianesimo nel mondo». Intervista col cardinale Godfried Danneels, primate del Belgio

Intervista con il cardinale Godfried Danneels di Gianni Valente. 30 GIORNI Maggio 2007

Mechelen, 24 maggio 2007. Sua eminenza appare in forma, preso da mille cose. Aveva concentrato i suoi impegni a maggio, perché per giugno aveva in programma un viaggio a Pechino e nella Mongolia cinese, per andare a trovare le comunità cristiane iniziate laggiù grazie anche all’opera dei Missionari belgi di Scheut. Ma poi la lunga trasferta nell’ex Celeste Impero è stata rinviata: «Sta per arrivare la lettera del Papa ai cattolici cinesi, e non volevo che mentre ero lì si scatenasse qualche temporale sopra la testa…». Mancano pochi giorni a Pentecoste. Godfried Danneels, primate del Belgio, ricorda quello che nel 1968 disse il metropolita ortodosso Ignatios di Lattakia durante l’incontro ecumenico di Uppsala: «Quando non c’è lo Spirito Santo, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una mera organizzazione, l’autorità sembra una dominazione, la missione è una propaganda, il culto è un’evocazione, l’agire cristiano diventa una morale da schiavi».

Parole che appaiono attuali.

GODFRIED DANNEELS: Queste cose valgono per tutti i tempi. Dall’Ascensione di Cristo, fino alla fine del mondo, sarà sempre così. Per me c’è una cosa che si può aggiungere: senza lo Spirito Santo la Chiesa è nella paura. Si vede anche il giorno della Pentecoste: lì, nel cenacolo, vinceva la paura. Allora lo Spirito Santo fa finire la paura e dona di annunciare il Vangelo non solo a chi viveva secondo la legge giudaica, ma anche ai pagani. La Chiesa ha come compito anche di custodire la Tradizione. Ma è lo Spirito Santo che libera dalla paura e dona di vivere le stesse cose in circostanze diverse. Nella Chiesa è lo Spirito stesso che custodisce il depositum fidei. È il solo che è capace di essere fedele al passato e preparato al futuro, perché non appartiene né al passato né al futuro, è attuale. Fuori dall’opera dello Spirito Santo, il futuro della Chiesa è sempre l’estrapolazione di pezzi del passato che si cerca di riattualizzare, ma non c’è mai niente che fa veramente nuove tutte le cose.

Adesso anche nella Chiesa c’è preoccupazione perché sembra rarefarsi nelle società occidentali il consenso condiviso su alcuni valori morali fondamentali.

DANNEELS: È un dato di fatto che non c’è più una Civitas cristiana, che il modello medievale di Civitas cristiana non vale per il momento attuale. Forse qualcuno non se n’è ancora accorto, ma i cristiani vivono nel mondo tamquam scintillae in arundineto, come scintille sparse in un campo. Viviamo nella diaspora. Ma la diaspora è la condizione normale del cristianesimo nel mondo. L’eccezione è l’altra, la società completamente cristianizzata. Il modo ordinario di essere nel mondo dei cristiani è quello descritto già nella Lettera a Diogneto, del secondo secolo. I cristiani «non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia». Vivono «nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni terra straniera è patria loro, e ogni patria è straniera». È così che siamo cittadini della nuova società secolarizzata.

Ma essendo minoranza, non è il momento di dare battaglia, osando anche parole taglienti?

DANNEELS: Quando il Papa è andato in Spagna, parlando della famiglia non ha mai usato formule in negativo. Ha soltanto proposto e ammirato la bellezza della famiglia cristiana. Qualcuno magari sarà rimasto deluso. Io proprio no. Il cristianesimo è prima di tutto un fermento buono, il dono di cose buone da offrire al mondo, e non avere il problema di vincere sul mondo. San Bernardo ripeteva ai suoi contemporanei: abbiate pietà delle vostre anime.

Non c’è il rischio di un ottimismo sentimentale?

DANNEELS: Il Concilio Vaticano II intitolò il suo documento sulla Chiesa nel mondo con le sue due prime parole: Gaudium et spes. La coppia di parole che seguiva era luctus et angor, tristezza e angoscia. Forse, se il Concilio ci fosse oggi, i padri conciliari invertirebbero l’ordine, e comincerebbero con luctus et angor. L’entusiasmo di quel periodo forse era esagerato. C’era un elemento di reazione contro il pessimismo precedente. Ma in quella baldanza naïve c’era anche qualcosa di bello. Era un segno di gioventù. Come una ragazza che va per la prima volta a una festa da ballo. Poi viene l’età adulta. Si è visto che le quattro parole dell’incipit vanno tenute tutte in conto.

Oggi, da dove prenderebbe le mosse per descrivere il rapporto tra la Chiesa e il mondo?

DANNEELS: Il mondo è una creazione di Dio. È vero che per il Vangelo di san Giovanni il mondo è posto nelle tenebre e si oppone a Dio. Ma questa non è la situazione originale: le creature escono buone dalle mani di Dio, omnis creatura Dei est bona. E non sarà nemmeno la situazione finale, quando tutto il Kósmos sarà redento. È una condizione transitoria, e a causarla non è stato Dio, siamo stati noi col nostro peccato. La Chiesa ha sempre denunciato lo gnosticismo, che poneva il male come tratto originario nella creazione, e in qualche modo in Dio stesso.

Ma non è per questo che occorre ribadire con forza che la legge naturale, nella sua oggettività, è un dato originario iscritto nel cuore di ognuno?

DANNEELS: Sì, ma riconoscendo che se dipende da noi, noi cristiani per primi ci troviamo nell’impotenza a obbedire, a credere, a pregare e a vivere bene, a praticare la vita buona. La disobbedienza delle origini ci ferisce ancora, ne siamo liberati solo grazie all’obbedienza di Gesù. È la Sua obbedienza che traccia una linea di guarigione dentro i nostri tradimenti e le nostre malattie. E questo riconoscimento dovrebbe sconsigliare ogni superbia. E favorire uno sguardo di misericordia più grande verso ogni uomo.

C’è chi teme che si tiri in ballo la misericordia quando ci si vuole sottrarre al compito impopolare di dire verità opportune et importune, anche sulle questioni etiche e morali.

DANNEELS: La missione della Chiesa non si esaurisce nell’annunciare la verità, ma nel diffondere la riconciliazione offerta e operata da Dio. E la misericordia non è una specie di amnistia obbligatoria, che sommerge le nostre miserie nell’indifferenza. Non è un frigorifero sempre pieno dove fare il self service. Non ce la meritiamo. Ma quando essa tocca gratuitamente i cuori, li cambia, li guarisce, e ci conduce fuori da noi stessi, più in alto. È attrattiva. È la medicina della misericordia che dona anche le lacrime di dolore per i peccati e le proprie miserie, che neanche avevamo più avvertito. Come capitò anche al primo dei discepoli, nel cortile della casa del sommo sacerdote: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro. E Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto… E uscito, pianse amaramente».

Sta di fatto che nel dibattito pubblico si finiscespesso per identificare i cristiani come quelli che con le loro battaglie infieriscono sulle miserie umane. Péguy direbbe: gente con un’anima bella e fatta.

DANNEELS: Gli uomini della nostra epoca non hanno la percezione di vivere in una condizione infantile o primitiva dal punto di vista morale. Si sentono moralmente evoluti. Magari poi teorizzano prassi e comportamenti fuori dalla legge morale naturale, ma questo è un altro discorso. E in questa situazione non so quanto convenga usare la strategia del niet. Ripetere in continuazione ciò che non va fatto, finendo quasi per nascondere il bene che si dice di difendere. Benedetto XVI, prima di andare a Colonia, ha detto che essere cristiani «è come avere le ali» e il cristianesimo non è un’immensità di divieti, «qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere».

Ma cosa fare davanti alle legislazioni civili e ai nuovi progetti di legge che entrano in contrasto con i principi della morale cristiana?

DANNEELS: Che la legge civile non coincida con i precetti del Vangelo e della morale cristiana, rappresenta la situazione normale. È vero che se la legge approva ad esempio le unioni omosessuali, il valore pedagogico della legge sparisce. La legge diventa una specie di termometro, che si limita a registrare e regolare i comportamenti individuali così come sono, rinunciando alla sua funzione di essere anche un termostato. Ma questo è un dato di fatto nelle nostre società moderne: la legge spesso non educa più. Non è una cosa buona, ma questo è il posto in cui ci è dato di vivere. Si devono denunciare i rischi, ma poi si tratta di vivere il Vangelo in una tale situazione, che non abbiamo creato noi. Non è la prima volta.

Stato terminale della vita, contraccezione, coppie di fatto. Sorgono controversie sul come devono comportarsi i legislatori cristiani su questi argomenti. Senza entrare nei dettagli, quali criteri andrebbero seguiti?

DANNEELS: È sempre salutare la distinzione tra le cose che sono intollerabili, e quelle che vengono definite le "leggi imperfette", che si possono tollerare in base alla categoria tradizionale del male minore. E poi, riguardo ai comportamenti dei singoli, c’è una saggezza della Chiesa, una capacità di guardare la realtà per quello che è, che per secoli si è esercitata soprattutto nel confessionale.

Lo sguardo con cui nella Chiesa si guarda al mondo condiziona in qualche modo tutta la sua missione. Oggi si punta molto sulla resa pubblica dell’annuncio, sulla sua capacità di dare risposte credibili davanti alle sfide culturali della mentalità corrente.

DANNEELS: I professionisti delle vendite prendono di mira e studiano soprattutto il campo dove deve cadere il loro messaggio: ne analizzano il terreno, calcolano le chances di produttività. Non seminano lì dove l’humus offre poche possibilità di raccogliere risultati. Da decenni, anche l’evangelizzazione sembra puntare tutto sullo studio del terreno. Ma ogni bravo coltivatore sa che la fioritura del grano che ha gettato nel campo coscienziosamente lavorato dipende dalla pioggia e dal sole. Nell’annuncio cristiano questo vale ancora di più: la fertilità viene dall’alto, come il sole e la pioggia.

Ma non bisogna anche dissodare il terreno?

DANNEELS: Chi con la sua vita annuncia e testimonia il vangelo non pretende di decidere da sé quale è la terra buona. E poi il campo ideale non esiste. Come nella parabola di Gesù, il campo presenta tutte le difficoltà possibili. Il seme è sempre buono, perché è il seme del Signore. Il bravo seminatore deve solo seminare. Lui non fa nient’altro che prendere il seme e metterlo nel campo. Non è lui che produce i frutti. Semina con generosità, senza stare troppo a pensare che ci sono pezzi di campo più o meno adatti. Nella speranza che da qualche parte ci sia sempre un pezzo di terra buona, che giungerà a fruttificare e darà la messe, anche se non sappiamo dove.

Oggi è molto frequente nella Chiesa anche l’insistenza sulla categoria di ragione. Per mostrare agli uomini d’oggi l’alleanza feconda tra la posizione cristiana e una ragione aperta al trascendente. Cosa pensa di questo approccio?

DANNEELS: L’intelligenza è un dono da far fruttare. Non si deve cadere nel fideismo, quello delle sètte in America ma anche in Europa. La fede non è razionale, ma è ragionevole. Anche il Papa, quando parla di questo, suggerisce quest’apertura. Detto questo, non si possono comprendere razionalmente i misteri della fede. Come Dio è uno e trino? Come Gesù si incarna e nasce da Maria Vergine? Come risorge dopo la morte? E come è presente in corpo, sangue, anima e divinità, nel pane e nel vino? Talvolta ci si scoraggia perché pensiamo che la riuscita sia opera nostra, che tocca a noi quasi dimostrare tutto questo, e convincere, e vincere sul mondo. Allora la condizione di esilio e di diaspora che vive la Chiesa può anche essere vista come una purificazione.

In che modo?

DANNEELS: Nella Bibbia, prima dell’esilio, i giudei pensavano che potevano fare tutto da sé. Andava tutto bene anche senza Dio. Poi sono stati deportati in Babilonia e lì non avevano più niente. Né re, né sinagoga, né tempio, né santa montagna. Lì, come dice Daniele, «abbiamo ricevuto un cuore umile e pentito». E questo vale più di tutto. Nelle Chiese di antica cristianità anni fa pensavamo che tutto poteva andare avanti anche senza la grazia. Non lo dicevamo così, ma lo si pensava. C’era sempre l’idea che quando Gesù ha detto «senza di me non potete far nulla», lo ha detto tanto per dire. Adesso vediamo davvero che se il cristianesimo continua, è un miracolo. 

A proposito dei miracoli, lei ha detto che quelli operati da Gesù nel Vangelo sono come anticipazioni dei sacramenti.

DANNEELS: Il miracolo testimonia che accadono cose che non si spiegano con le premesse poste. Suggerisce che le conclusioni non sono sempre ciò che segue dalle premesse. Dunque col miracolo siamo sempre sul trampolino della speranza. Anche i sacramenti sono gesti Suoi. In questo senso, sono la continuazione dei miracoli. Molto meno spettacolari, ma ancora più forti e necessari, perché sono per l’anima e in forza della grazia.

Un’efficacia silenziosa che lei in un suo scritto ha accostato alla "discrezione" con cui opera lo stesso Gesù risorto…

DANNEELS: Gesù quando risorge non impone la sua presenza anche se la Pasqua segna una vittoria eclatante sulla morte e sul peccato. Appare ai suoi furtivamente, qui o lì, in singoli luoghi appartati. Non dissipa d’emblée tutti i dubbi dei suoi discepoli. Semplicemente si mostra a loro così come è. E non è un ripiegamento nell’intimismo: gli apostoli ricevono subito la missione di annunciarLo al mondo intero.

Volevo farle qualche domanda sull’attualità della vita della Chiesa. Cosa l’ha colpita in particolare, di recente?

DANNEELS: L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis mi sembra buona, anche se è un po’ lunga. Ci ho trovato delle cose che non avevo mai letto, ad esempio sulla bellezza della liturgia. Per il resto, è diminuita la produzione di documenti vaticani, e questo è una cosa buona.

Cristo e la Samaritana al pozzo

Come giudica le polemiche sorte anche di recente intorno ad alcuni discorsi del Papa?

DANNEELS: Il Papa ha sempre un approccio teologico alle questioni, e a volte non viene compreso. Quando ha detto che ai popoli indiani la Chiesa non ha imposto il Vangelo, ha detto cose vere dal punto di vista teologico, perché l’anima naturaliter christiana degli indios era aperta e dunque non abbiamo assassinato quest’anima india portando il Vangelo. D’altra parte la maniera storica in cui ciò avvenne non fu senza problemi. E lui questo lo ha riconosciuto, parlando all’udienza qualche giorno dopo. Così come aveva chiarito il senso delle parole di Ratisbona, dopo le famose polemiche. Sarebbe meglio che non fosse obbligato a correggersi sempre.

Più di due anni fa, nella liturgia di ringraziamento per l’elezione di Benedetto XVI, lei disse che l’affetto, la carità e la lealtà dei fedeli plasmano il pastore, e costituiscono il "biotopo" adatto perché «la linfa della grazia tragga frutti sorprendenti dai doni naturali di lui».

DANNEELS: È vero. Giovanni Paolo II era uno da vedere, ma dei suoi discorsi ufficiali si potevano saltare ampie sezioni, e non si perdeva molto. In Benedetto XVI sono le parole che sono importanti, non è lo show. È un teologo. Un professore. In Benedetto XVI, poi, la funzione che ricopre non è assorbita dalla sua personalità. E questo è sempre salutare. Quando il carisma personale entra a condizionare troppo l’esercizio del ministero petrino, ciò può essere negativo. È la funzione che è importante, non tanto le preferenze, i pregi e i limiti di chi la esercita.

Qualcuno lo dipinge ancora come una specie di castigatore universale.

DANNEELS: Non si può dire che papa Ratzinger sia un castigatore. Il successore di Pietro è colui che prima di tutto porta sulle sue spalle le pecore che sono state ferite dagli attacchi dei lupi o dalle spine della vita. Per questo le cinque croci del pallio papale sono di colore rosso: è il sangue delle pecore ferite che segna le spalle del buon pastore.

Come giudica in questo periodo il ruolo della Curia?

DANNEELS: Non sono stato a Roma di recente, non ho alcuna percezione di quello che la Curia fa in questo momento. Ma di certo, essa deve rimanere un organo di esecuzione nelle mani del Papa. La Curia è secondaria, assiste, ma non deve prendere in mano la direzione.

La proposta di istituire un "Consiglio della corona", da lei già avanzata in passato, sentirebbe di riproporla nella situazione attuale?

DANNEELS: Rimango ancora convinto che raccogliere ogni tanto intorno al papa un piccolo Consiglio di personalità della Chiesa provenienti da diversi Paesi, i cui membri magari possono variare ogni due o tre anni, sarebbe per lui un aiuto, per essere sicuro di poter avvertire la temperatura della Chiesa. La Curia non può sentire e registrare tale temperatura, non è il suo compito. Certo, c’è già il Sinodo dei vescovi, e il Collegio dei cardinali. Ma quello che chiamo il "Consiglio della corona" potrebbe essere uno strumento più elastico, discrezionale, contingente, che certo non sta sopra il papa, ma è solo un organo di aiuto al suo servizio.

Riguardo al Sinodo, come giudica i nuovi statuti che aprono alla possibilità di prendere misure deliberative su singoli argomenti, con il consenso del papa?

DANNEELS: Non mi sembrano variazioni sostanziali. Anche prima, se tutti i vescovi esprimevano una volontà comune su singoli punti e singole decisioni, non si poteva non tenerne conto, e il Sinodo da organismo consultivo diventava di fatto deliberativo.

il prossimo Sinodo sarà sulla Sacra Scrittura.

DANNEELS: Col cardinal Martini lo auspicavamo da almeno dieci anni. Non sono sicuro che andrò, l’anno prossimo raggiungo i 75 anni e dovrò presentare le mie dimissioni. E dal 1980 ho partecipato a tutti i Sinodi. Vedremo stavolta cosa decideranno i miei colleghi vescovi del Belgio.

Dal testamento del monaco trappista algerino Frère Christian Chergé

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono ad Algeri, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l'unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me : come potrei essere trovato degno di una tale offerta? sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell' indifferenza dell' anonimato.

La mia vita non ha più valore di un'altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l'innocenza dell 'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell 'attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la 'grazia del martirio', il doverla ad un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'Islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa: sono un corpo e un'anima. L'ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti mussulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: 'Dica adesso quel che ne pensa!' Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell 'Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo GRAZIE in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e al loro centuplo accordato come promesso!

E anche a te, amico dell 'ultimo minuto, che non avrai saputo quello che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo Ad-Dio profilatosi con te. Che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen ! Insc 'Allah.

Christian + Algeri l dicembre 1993 - Tibhirine 1 gennaio 1994

Fratel Christian viene rapito tra il 26 e il 27 marzo 1996, insieme a sei suoi confratelli del monastero di Notre-Dame-de-l'Altas. Per settimane non si sa nulla poi un comunicato della GIA in data 18 aprile dice 'Tutti sanno che il monaco che si ritira dal mondo per raccogliersi in una cella, presso i nazareni, si chiama eremita. E' l'uccisione di questi eremiti che Abu Bakr aveva proibito. Ma se un tale monaco esce dall'eremo e si mischia con la gente, la sua uccisione diventa lecita. E' il caso di questi monaci prigionieri...'

Il comunicato del 21 maggio 1996 annuncia 'Abbiamo tagliato la gola ai sette monaci' .

Claire Ly, Cambogiana per 4 anni in un campo di lavoro di Pol Pot tra il 1975 e il 1979.

Quattro anno nel campi di lavoro dei Khmer rossi in condizioni a dir poco terribili. Che ricordo di questa esperienza drammatica?

Un ricordo pieno di sofferenza, per aver perduto delle persone care. Un sentimento di lacerazione per il mio paese e un senso di sconfitta per l'uomo.

Come è riuscita a superare questa prova?

Ho avuto bisogno di creare un capro espiatorio per gridargli il. mio odio e la mia collera. E gli ho dato un nome 'il Dio degli occidentali'. Dopo averlo insultato per diciotto mesi, questo 'Dio silenzioso' è divenuto compagno della mia miseria. E si è rivelato a me offrendomi, attraverso la sua vicinanza, una certa serenità nella mia rivolta.

Oggi invece il mio cuore è convertito. Ho fatto un incontro: la mia persona infinitamente piccola e una Parola che mi supera. Questo incontro è inspiegabile come ogni incontro d'amore. Mi trascina così lungo i cammini dell' amore misericordioso di un Dio implicato per sempre nel la condizione umana. Così io sono pienamente nella Sua 'follia'.

La sola e unica cosa che cerco tra i cristiani è la follia di Gesù Cristo sulla croce, la follia di Dio nella resurrezione del suo figlio. Sono diventata 'folle'. Ebbene sì. Onestamente non credo che la mia conversione al cristianesimo abbia dato vita ad una donna completamente nuova. Al contrario, la mia fede nel risorto mi fa prendere coscienza della coerenza della mia storia personale. E' la mia vita intera che è presa in questa dinamica della conversione... Percepisco l'irruzione di Cristo nella mia vita come un compimento di una mia ricerca, come il risultato armonioso del mio essere.

Preghiera di Alessandro, seminarista morto a 23 anni dopo una lunga malattia: 'Scritti di ignorante saggezza'

Signore Gesù, voglio essere per te come quel barattolino di olio di nardo, che Maria riversò sui tuoi piedi. Voglio essere come nardo per camminare con te, amare con te le persone che incontriamo quotidianamente; voglio essere strumento di rivelazione della tua presenza. Dal mio profumo tutti devono sentire che tu sei qui. Dal mio profumo tutti si devono accorgere della tua presenza, del tuo amore.

Consumami tutto Signore; non lasciare che nessuna goccia vada sprecata. Riversami dove tu vuoi; fa che il mio agire, il mio diffondere la tua presenza parta sempre da te e non avvicini amori fatui, amori leggeri. Io, come quell'olio e come Maria, ho scelto la parte migliore che non mi verrà tolta.

Aiutami ad afferrarti, Gesù. Non permettere che la vita e i suoi buffi e strani andamenti mi stacchino da te. Ho trovato un tesoro, una perla preziosa; non posso sprecare una così bella e grande occasione.

Paolo VI, Le donne piangenti

La grandezza d'animo di Cristo, anche in un momento di così profonda umiliazione e di così acerba sofferenza, conserva una maestà di contegno e un'altezza di linguaggio che svela in lui una Persona immensamente più grande di quella di un uomo.

Ma nella tenerezza pietosa e commovente della scena non manca la severa misteriosa austerità delle parole del Signore.

Gesù vuole dire che c'è una condizione più grave della sua ed è quella di coloro che di tale condizione sono responsabili.

C'è qualcosa più deprecabile del dolore, ed è il peccato.

C'è qualcosa di più irreparabile della morte, ed è la maledizione di Dio.

C'è qualcosa che più pauroso del presente, ed è l'avvenire; di più spietato della giustizia degli uomini ed è quella del giudice eterno. C'è qualcosa che è più urgente del pianto, ed è la penitenza.

Vedete come l'appassionata attenzione rivolta dalle donne a Gesù, al Divino Paziente, al Cristo che patisce sotto la croce, si rovescia: la nostra attenzione non deve essere più sul protagonista del dramma, la tragedia non è sospesa su di Lui, ma sullo spettatore.

Janvière Ndoriyobya, suora operaia del Burundi

Sono uscita da una 'notte buia' dopo un lungo cammino personale di pace e riconciliazione.

Era il 1993 , l'anno in cui feci la prima professione religiosa, il 22 agosto, piena di entusiasmo di seguire il Signore ovunque avesse voluto, convinta che era quella la strada che mi avrebbe portato alla vera felicità.

Due mesi dopo scoppia la guerra, con massacri tremendi e crudeli. Tante persone innocenti vengono uccise. Colline e quartieri distrutti; i corpi dei morti rimanevano stesi sulle strade... Fu un grande orrore!

Noi suore, ci sentivamo impotenti e ci siamo rifugiate in una casa religiosa. Abbiamo poi deciso di tornare nella nostra casa per vivere fino in fondo il dramma del nostro popolo. Io ho cercato più volte di raggiungere la mia famiglia, ma non ci sono riuscita.

Nel frattempo mi è arrivata una telefonata: annunciava la morte di mia mamma e di una mia nipote di diciott'anni... Erano state uccise dai militari e la cosa più terribile era il fatto che i militari erano accompagnati da mio cugino! Mi sembrava impossibile. Ma perché? Non riuscivo a trovare il senso di quella morte... mia madre che mi aveva sempre insegnato ad amare tutti, era stata vittima della crudeltà umana!

Da quel momento ho cominciato a sentire un odio profondo dentro di me contro tutti e tutto; ho perso il senso di Dio, della preghiera, della comunità, ho messo in discussione la mia vocazione, convinta che quello era un segno per me, quasi un invito a tornare a casa mia, per stare vicino a mio padre che era rimasto solo, ma soprattutto per cercare in qualche modo di farmi giustizia.

Ho acceso due luci dentro di me, quella della vendetta e quella del rifiuto del perdono.

Dopo un pò di tempo sono riuscita, finalmente, a trovare la mia famiglia. Tutti i miei fratelli erano arrabbiati con mio padre; secondo loro era stata colpa sua, perché mentre gli altri fuggivano lui, non stando bene, era rimasto a casa e mia mamma aveva preferito rimanere con lui. Anch'io ho dato ragione ai miei fratelli e ho chiuso il cuore a mio padre.

I miei momenti di preghiera erano solo lotta, il mio confessore mi disse: 'Pensi davvero di essere tu a perdonare o è il Signore che perdona in te?' questa frase ha sconvolto la mia vita.

Ho commciato a sentire una forza nuova in me, il desiderio di volere offrire il mio perdono e il bisogno di essere perdonata. Ho deciso di parlare con mio padre. Lui mi raccontò: 'Quando li ho sentiti arrivare lei ha riconosciuto tuo cugino e gli ha chiesto se veniva anche lui per ucciderla, nonostante lei gli avesse dato il latte sulle sue mani (un modo di dire che lo aveva cresciuto). Poi -ha continuato- tua madre ha detto che desiderava, prima di morire, un'ultima cosa: il tempo di mettersi il vestito bello! Da quel momento non ho sentito più nulla, solo l'urlo di tua nipote. Io sono salito su un albero per nascondermi. Dopo un lungo silenzio sono sceso e le ho trovate stese per terra morte, e sono scappato via. Sono convinto che sia morta in pace, chiedendo solo di poter mettere il vestito bello per presentarsi al Signore. E come posso io non perdonare se lei è morta nella pace?'.

Ho cominciato con ribellione un cammino di riconciliazione e di perdono, soprattutto nei confronti dei miei parenti, che avevano provocato questa morte. La prima volta che li ho incontrati per offrire il mio perdono è stata durissima, provavo un senso di rifiuto. Anche per loro non è stato facile forse perché si aspettavano da me un gesto di accusa o di condanna, e invece è stato così bello... un momento di commozione profonda!

Quando si perdona si rinasce e cominciano a spuntare i germogli della pace.

E' un lungo lavoro che chiede un dono di sé che deve essere rinnovato, perché quando, dopo un anno, è stato ucciso mio fratello, nuovamente si è riaperta una ferita che solo grazie all'aiuto del Signore si è rimarginata. Davvero il perdono è un dono di Dio. Beati i misericordiosi. Con il perdono e con la riconciliazione si può pensare di ricostruire un mondo libero, senza violenza e odio, con una pace stabile che nasce dal cuore di Dio.

Margherita Coletta, vedova del vicebrigadiere dei Carabinieri Giuseppe, ucciso in Iraq

La sera dell'uccisione del marito, con la parola di Dio in mano ci lesse il brano evangelico 'Ama il tuo nemico' dicendo: 'E' troppo facile amare chi ci fa del bene, chiunque ne è capace. La vera prova è amare chi ci dà tormento'.:

Il mio primo Natale senza il suo viso, le sue mani... a volte mi sento lacerare dentro, mi hanno 'strappato' il cuore, solo chi ama perdutamente come ci amavamo noi, e ad una tratto perde la persona amata, può capire'.

Oggi ci siamo divisi i compiti, io sto con Maria, lui è andato a raggiungere Davide (il nostro bimbo morto di leucemia all' età di sei anni).

Io so che lo rivedrò. Dovevo aspettarlo quattro mesi in tutto, tanto doveva durare la missione di pace, invece lo aspetterò venti, trenta, quarant'anni, non importa: è solo un'attesa.

Dal giorno della strage ha colpito la sua forza interiore: da che cosa le deriva?

Io ho una sola certezza assoluta: che Dio vuole il mio bene. Lui sapeva e ha permesso, dunque la morte di Giuseppe non è un incidente, un caso senza senso, ma fa parte di un disegno anche se io non lo comprendo. Quando mi sento al buio penso a Cristo sulla  croce: se Dio non l'ha evitata al suo stesso figlio per un fine superiore, chi sono io per esigere che la tolga dalle mie spalle? Mi fido e attendo di capire. Intanto il mio compito è quello di lottare con le armi dell'amore.

Non si pente di aver lasciato andare suo marito in questa missione?

Rifarei la stessa cosa: l'amore vero tra un uomo e una donna consiste nel non sopraffarsi mai, in un continuo scambio, in un donarsi senza aspettarsi nulla di ritorno, tanto se l'amore è reciproco poi la ricompensa arriva. E' un fatto di intelligenza: uno dei due deve sempre cedere, l'importante è capire chi dei due è in difficoltà. Per me la gioia era vedere lui felice, e per lui era lo stesso. È stato sempre così, da quando ci siamo fidanzati che io avevo 13 anni e lui 18. Ci siamo sposati che ne avevo 18.

Hai un ricordo di Giuseppe?

La cosa più grande e tremenda è stata il 12 dicembre: tornata a casa, ho trovato nella posta una sua lettera. L'aveva imbucata un mese prima. Non avevo la forza di aprirla. Diceva così 'Approfitto della venuta in Italia di un collega. Spero che ti giunga prima che io arrivi a casa. Ti amo molto, tuo per sempre, Pino'.

La luce della resurrezione come abbiamo sentito non solo si diffonde a Gerusalemme e in tutta la Galilea ma raggiunge anche Avola, in provincia di Siracusa e raggiunge gli estremi confini della terra

Un Buddhista autentico

Tenzin Gyatso nasce in un piccolo villaggio nel Nord-Est del Tibet, da una famiglia contadina e viene riconosciuto come XIV Dalai Lama (Oceano di saggezza), reincarnazione del suo predecessore e quindi massima autorità spirituale e temporale del Tibet. Nel 1949, dopo l’occupazione militare del Tibet da parte della Cina, il Dalai Lama va in esilio con oltre centoventimila tibetani che vivono rifugiati in varie parti del mondo. Nel suo Piano di Pace, illustrato anche dinanzi al Parlamento europeo, il Dalai Lama propone: il rispetto da parte cinese dei diritti fondamentali del suo popolo; l’abbandono della politica di trasferimento della popolazione cinese in Tibet; la trasformazione del Tibet in Santuario di Pace con funzione di cuscinetto tra i popoli rivali circostanti; chiede che il Tibet diventi nel contempo la più ampia zona smilitarizzata del mondo e il più vasto parco naturale. La saggezza e la coerenza operativa del Dalai Lama ne fanno un capo religioso e di Stato di alto profilo morale. Nel 1989 riceve il premio Nobel per la Pace.

 

Giornalista, 'Anarchica di Dio'

Scrittrice americana, giornalista, madre, donna di grande vivacità intellettuale e creatività, viene denominata l’Anarchica di Dio a motivo del suo forte impegno per la pace, per la quale viene più volte imprigionata. L’ultima volta che è messa in carcere è negli anni ‘70 quando, già anziana, partecipa ai picchettaggi dei lavoratori agricoli della California, guidati da Cesar Chavez. Insieme al contadino-insegnante francese Peter Maurin fonda il mensile Catholic Worker (1° Maggio 1933) che tutt’oggi ha una tiratura di circa 100 mila copie. Doroty Day fonda inoltre decine di case accoglienza sia urbane che agricole dove lei stessa vive e dove i senzatetto trovano riparo e premure.

Giornalisti 'impegnati'

Raoul Follereau è nato a Nevers il 17 Agosto 1903. Compie i suoi studi alla Sorbona di Parigi, dove intraprende una promettente carriera letteraria. Nel 1940 per sfuggire all’occupazione tedesca si rifugia in un convento di suore a Lione, dove viene a contatto con il problema dei lebbrosi. Inizia così la sua attività di "vagabondo della carità" per sensibilizzare sulla realtà della lebbra e i problemi dei malati, per i quali ottiene di indire ogni anno una giornata mondiale di preghiera e di raccolta fondi. Da allora è sempre in cammino per le strade del mondo con il solo scopo di gridare a tutti che la carità salverà il mondo solo se ci faremo tutti suoi concreti strumenti. Con la moglie Madeleine crea un movimento mondiale per la cura e la tutela dei diritti dei malati di lebbra. Spinti da un grande amore per i più emarginati, durante tutta la vita organizzano e partecipano a conferenze e seminari riguardanti il problema della lebbra (morbo di Hansen). Il loro principale interesse è sensibilizzare l’opinione pubblica sulla esiguità dei costi relativi alla cura, e sui diritti dei malati a vivere nel contesto sociale. Con coraggio e passione formulano numerosi appelli contro la guerra e le spese per gli armamenti.

 

La "grande anima".

Nasce in India il 2 Ottobre 1869 a Porbandar. Sposa Kasturbai, da cui avrà quattro figli. Studia Diritto in Inghilterra dove si laurea in Legge. Accetta un’offerta di impiego in Sudafrica, e diventa un famoso avvocato stimato per intelligenza e modestia. E’ l’Africa a dargli l’occasione di creare un metodo di azione nonviolenta per i diritti degli indiani lì residenti sottoposti al regime dell’apartheid. Tornato in India, inizia la lotta nonviolenta per l’indipendenza dall’impero inglese, ottenuta il 15 Agosto 1947, a dimostrazione che la pace è la soluzione migliore per risolvere i conflitti. Mahatma, la "grande anima", accetta coraggiosamente prigionia e difficoltà, senza ribellarsi nè ricorrere alla forza. Crede che la violenza sia inutile e che le armi migliori per combattere l’ingiustizia e conquistare la libertà siano il digiuno, la preghiera e l’amore per gli altri. Dà origine a comunità (ashram) in cui si vive nell’autonomia e nell’autogestione. Sono famosi i suoi innumerevoli digiuni per convincere gli avversari politici o per porre fine alla guerra civile tra indù e pakistani a seguito della separazione tra India e Pakistan voluta dall’impero inglese. Altrettanto importanti sono alcune campagne quali il boicottaggio ai tessuti inglesi e la marcia del sale, che vede reagire l’India contro l’aumento dei prezzi. In questa occasione la nazione accoglie l’invito a prendere il sale dal mare anzichè acquistarlo. Gandhi muore assassinato da un fanatico indù.

Fondendo elementi della sua tradizione indù con una lettura radicale degli insegnamenti di Gesù (Gandhi lo aveva appreso da "Il regno di Dio è dentro di noi" di Tolstoj), Il Mahatma sviluppò la sua concezione della resistenza non violenta in una filosofia e in una politica.

 

Dalle « Omelie sul vangelo di Matteo » di san Giovanni Crisostomo, vescovo

Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo », confermando il fatto con la parola ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25,35) e ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l'avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25,45). Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.

Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell'onore che egli ha comandato, fà che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d'oro, ma di anime d'oro.

Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l'elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.

Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d'oro e non gli darai un bicchiere d'acqua? Che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi, non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?

Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l'ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello.

Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato. 11 Febbraio 2005

Cristo, speranza per l’Africa

1. Nel 2005, a dieci anni di distanza, sarà nuovamente l’Africa ad ospitare le celebrazioni principali della Giornata Mondiale del Malato, che si terranno presso il Santuario di Maria Regina degli Apostoli, a Yaoundé, in Camerun. Questa scelta offrirà l’opportunità di manifestare concreta solidarietà alle popolazioni di quel Continente, provate da gravi carenze sanitarie. Sarà così fatto un ulteriore passo nell’attuazione dell’impegno che i cristiani d’Africa, dieci anni or sono, assunsero nel corso della terza Giornata Mondiale del Malato, di farsi cioè "buoni samaritani" dei fratelli e delle sorelle in difficoltà.

Nell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, infatti, riprendendo le osservazioni di molti Padri sinodali, ho scritto che "l’Africa di oggi può essere paragonata a quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei briganti che lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto (cfr Lc 10,30-37)". Ed aggiungevo che "l’Africa è un continente in cui innumerevoli esseri umani - uomini e donne, bambini e giovani - sono distesi, in qualche modo, sul bordo della strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto" (n. 41: AAS 88 [1996], 27).

2. La Giornata Mondiale del Malato ha anche, come scopo, di stimolare la riflessione sulla nozione di salute, che nella sua accezione più completa allude anche ad una situazione di armonia dell’essere umano con se stesso e col mondo che lo circonda. Ora è proprio questa visione che l’Africa esprime in modo assai ricco nella sua tradizione culturale, come testimoniano le tante manifestazioni artistiche, sia civili che religiose, piene di senso gioioso, di ritmo e di musicalità.

Purtroppo, però, quest’armonia è oggi fortemente turbata.

Tante malattie devastano il Continente, e fra tutte in particolare il flagello dell’AIDS, "che semina dolore e morte in numerose zone dell’Africa". I conflitti e le guerre, che travagliano non poche regioni africane, rendono più difficili gli interventi volti a prevenire e curare queste malattie. Nei campi dei profughi e dei rifugiati giacciono spesso persone prive persino dei viveri indispensabili per la sopravvivenza.

Esorto coloro che ne hanno la possibilità a non cessare di impegnarsi a fondo per porre fine a simili tragedie (cfr ivi, n. 117: l.c., 69-70).

Ricordo poi ai responsabili del commercio di armi quanto ho scritto in quel documento: "Coloro che alimentano le guerre in Africa mediante il traffico di armi sono complici di odiosi crimini contro l’umanità" (ivi, n. 118: l.c., 70).

3. Quanto al dramma dell’AIDS, ho già avuto modo di sottolineare in altre circostanze che esso si presenta anche come una "patologia dello spirito". Per combatterla in modo responsabile, occorre accrescerne la prevenzione mediante l’educazione al rispetto del valore sacro della vita e la formazione alla pratica corretta della sessualità. In effetti, se molte sono le infezioni da contagio attraverso il sangue specialmente nel corso della gestazione - infezioni che vanno combattute con ogni impegno - ben più numerose sono quelle che avvengono per via sessuale, e che possono essere evitate soprattutto mediante una condotta responsabile e l’osservanza della virtù della castità.

I Vescovi partecipanti al menzionato Sinodo per l’Africa del 1994, riferendosi all’incidenza che nella diffusione della malattia hanno comportamenti sessuali irresponsabili, formularono una raccomandazione che qui vorrei riproporre: "L’affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza data dalla castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani" (Esort. ap. Ecclesia in Africa, 116: AAS 88 [1996] 69).

4. Nella lotta contro l’AIDS tutti devono sentirsi coinvolti. Tocca ai governanti e alle autorità civili fornire, sempre su quest’argomento, chiare e corrette informazioni al servizio dei cittadini, come pure dedicare risorse sufficienti all’educazione dei giovani ed alla cura della salute. Incoraggio gli Organismi internazionali a promuovere, in questo campo, iniziative ispirate a saggezza e solidarietà, mirando sempre a difendere la dignità umana e a tutelare il diritto inviolabile alla vita.

Un plauso convinto va alle industrie farmaceutiche che si impegnano a tenere bassi i costi dei medicinali utili nella cura dell’AIDS. Certo, occorrono risorse economiche per la ricerca scientifica nel campo sanitario ed altre risorse ancora sono necessarie per rendere commerciabili i medicinali scoperti, ma di fronte a emergenze come l’AIDS, la salvaguardia della vita umana deve venire prima di qualsiasi altra valutazione.

Agli operatori pastorali domando "di portare ai fratelli e alle sorelle colpiti dall’AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale e spirituale. Agli uomini di scienza e ai responsabili politici di tutto il mondo chiedo con viva insistenza che, mossi dall’amore e dal rispetto dovuti ad ogni persona umana, non facciano economia quanto ai mezzi capaci di mettere fine a questo flagello" (Esort. ap. Ecclesia in Africa, 116: l.c.).

Vorrei, in particolare, ricordare qui con ammirazione i tanti operatori sanitari, gli assistenti religiosi e i volontari che, da buoni Samaritani, spendono la vita accanto alle vittime dell’AIDS e si prendono cura dei loro familiari. È prezioso, a questo proposito, il servizio che prestano migliaia di istituzioni sanitarie cattoliche soccorrendo, talora in modo eroico, quanti in Africa sono colpiti da ogni sorta di infermità, specialmente dall’AIDS, dalla malaria e dalla tubercolosi.

Nel corso degli ultimi anni, ho potuto costatare che i miei appelli in favore delle vittime dell’AIDS non sono stati vani. Ho visto con compiacimento che diversi Paesi e istituzioni hanno sostenuto, coordinando gli sforzi, concrete campagne di prevenzione e di cura dei malati.

5. Mi rivolgo ora, in maniera speciale, a voi, cari fratelli Vescovi delle Conferenze Episcopali degli altri Continenti, perché vi uniate generosamente ai Pastori dell’Africa per far fronte efficacemente a questa e ad altre emergenze. Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute non mancherà di offrire, come ha fatto nel passato, il proprio contributo per coordinare e promuovere tale cooperazione, sollecitando l’apporto fattivo di ogni Conferenza Episcopale.

L’attenzione della Chiesa ai problemi dell’Africa non è motivata solo da ragioni di compassione filantropica verso l’uomo nel bisogno, ma è stimolata anche dall’adesione a Cristo Redentore, il cui volto essa riconosce nelle fattezze di ogni persona che soffre. È dunque la fede che la spinge ad impegnarsi a fondo nel curare i malati, come sempre ha fatto nel corso della storia. È la speranza che la rende capace di perseverare in questa missione, nonostante gli ostacoli d’ogni tipo che incontra. È infine la carità che le suggerisce il giusto approccio alle diverse situazioni, consentendole di percepire le peculiarità di ciascuna e di corrispondervi.

Con questo atteggiamento di profonda condivisione, la Chiesa va incontro ai feriti della vita, per offrire loro l’amore di Cristo mediante le tante forme di aiuto che la "fantasia della carità" (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50) le suggerisce per soccorrerli. A ciascuno essa ripete: Coraggio, Iddio non ti ha dimenticato. Cristo soffre con te. E tu, offrendo le tue sofferenze, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo.

6. L’annuale celebrazione della Giornata Mondiale del Malato offre a tutti la possibilità di comprendere meglio l’importanza della pastorale della salute. Nella nostra epoca, segnata da una cultura imbevuta di secolarismo, si è talora tentati di non valorizzare appieno tale ambito pastorale. Si pensa che altri siano i campi in cui si gioca il destino dell’uomo. Invece, è proprio nel momento della malattia che si pone con più urgenza il bisogno di trovare risposte adeguate alle questioni ultime riguardanti la vita dell’uomo: le questioni sul senso del dolore, della sofferenza e della stessa morte, considerata non soltanto come un enigma con cui faticosamente confrontarsi, ma come mistero in cui Cristo incorpora a Sé la nostra esistenza, aprendola ad una nuova e definitiva nascita per la vita che mai più finirà.

In Cristo sta la speranza della vera e piena salute, la salvezza che Egli porta è la vera risposta agli interrogativi ultimi dell’uomo. Non c’è contraddizione fra salute terrena e salute eterna, dal momento che il Signore è morto per la salute integrale dell’uomo e di tutti gli uomini (cfr 1 Pt 1,2-5; Liturgia del Venerdì Santo, Adorazione della Croce). La salvezza costituisce il contenuto finale della Nuova Alleanza.

Nella prossima Giornata Mondiale del Malato vogliamo pertanto proclamare la speranza della piena salute per l’Africa e per l’intera umanità, impegnandoci a lavorare con una maggior determinazione a servizio di questa grande causa.

7. Nella pagina evangelica delle Beatitudini, il Signore proclama: "Beati gli afflitti, perché saranno consolati" (Mt 5,4). L’antinomia che sembra esserci fra la sofferenza e la gioia viene superata grazie all’azione consolatrice dello Spirito Santo. Configurandoci al mistero di Cristo crocifisso e risorto, lo Spirito ci apre fin d’ora alla gioia che raggiungerà la sua pienezza nell’incontro beatificante col Redentore. In realtà, l’essere umano non aspira ad un benessere solo fisico o spirituale, ma ad una "salute" che s’esprima in un’armonia totale con Dio, con se stesso e con l’umanità. A questo traguardo si giunge soltanto attraverso il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo.

Di questa realtà escatologica ci offre un’anticipazione eloquente Maria Santissima, specialmente attraverso i misteri della sua Immacolata Concezione e della sua Assunzione al Cielo. In Lei, concepita senza alcun’ombra di peccato, totale è la disponibilità sia alla volontà divina che al servizio degli uomini, e piena è, in conseguenza, quell’armonia profonda da cui scaturisce la gioia.

A giusto titolo pertanto a Lei ci rivolgiamo invocandola come "Causa della nostra gioia". Quella che la Vergine ci dona è una gioia che permane anche in mezzo alle prove.

Tuttavia pensando all’Africa dotata di immense risorse umane, culturali e religiose, ma afflitta anche da indicibili sofferenze, fiorisce spontanea sulle labbra un accorata preghiera:


 

Maria, Vergine Immacolata,

Donna del dolore e della speranza,

sii benigna verso ogni persona che soffre

e ottieni a ciascuno pienezza di vita.

 

Volgi il tuo sguardo materno

specialmente su coloro che in Africa

sono nell’estremo bisogno,

perché colpiti dall’AIDS o da altra malattia mortale.

 

Guarda le mamme che piangono i loro figli;

guarda i nonni privi di risorse sufficienti

per sostenere i nipoti rimasti orfani.

 

Stringi tutti al tuo cuore di Madre.

Regina dell’Africa e del mondo intero,

Vergine Santissima, prega per noi!

Dal Vaticano, 8 settembre 2004

 

GIOVANNI PAOLO II

 

 

Il Papa Buono

Giuseppe Roncalli nasce a Sotto il Monte (Bergamo). Diviene sacerdote all’età di 23 anni. Svolge il servizio di segretario del proprio vescovo, poi è cappellano militare durante la prima guerra mondiale e successivamente coordinatore dell’attività missionaria in Vaticano. Consacrato vescovo gli viene affidato l’incarico di visitatore apostolico. In questo tempo tesse rapporti con la Chiesa ortodossa greca. Durante il secondo conflitto mondiale si prodiga a favore degli ebrei, fino a che Pio XII lo nomina nunzio apostolico in Francia. Qui più che la sua diplomazia vince la semplicità. Le sue doti umane superano gli ostacoli che si frapponevano tra la Chiesa di Francia e la Chiesa di Roma negli anni ‘50. Nominato cardinale viene assegnato al Patriarcato di Venezia e quindi eletto papa nel concistoro del 1958 con il nome di Giovanni XXIII. Papa Giovanni conquista il mondo intero con la sua semplicità e la sua carica umana. Doti che si uniscono a una profonda spiritualità che lo rende trasparenza di Dio, coraggioso al punto di indire il concilio ecumenico Vaticano II, da avvicinare uomini politici e di cultura contribuendo così a dare una decisiva svolta al dialogo interculturale e interreligioso della Chiesa. Il 10 Maggio 1963, poco prima della sua morte, a papa Giovanni XXIII è conferito il Premio Balzac per la Pace, quale riconoscimento per i suoi interventi presso i capi di Stato per la crisi cubana e la lettera enciclica Pacem in terris, rivolta a tutti i cristiani, dove il papa definisce la pace come la più alta espressione della solidarietà tra i popoli. Giovanni Paolo II lo fa Beato nel 2000.

 

Il fondatore di Nevè Shalom, dove vivono insieme bambini arabi ed ebrei.

Nasce al Cairo nel 1911 da genitori ebrei non praticanti. Usufruisce di una triplice cultura: francese, inglese, italiana. In Francia diventa ingegnere e nel 1950 entra fra i Domenicani. Dopo il voto delle Nazioni Unite a favore della formazione dello Stato ebraico, si trova a Gerusalemme dove crea la Maison saint Isaie, centro studi biblici e riflessione sulle relazioni ebraico - cristiane. Durante il Concilio ecumenico Vaticano II è tra gli ispiratori della Nostra Aetate, la Dichiarazione Conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Nasce in lui il desiderio di creare un luogo, un’Oasi di Pace (in ebraico Nevé Shalom, in arabo Waahat as-Salam) dove ebrei, arabi e cristiani potessero vivere nella pace, nell’uguaglianza e nella collaborazione. Nel 1970 il villaggio sorge su un’arida collina nella valle di Ayalon, a metà strada tra Tel-Aviv e Gerusalemme, nei pressi dell’antico monastero trappista di Latrum. Vi abitano attualmente 150 persone, ed è attiva una scuola, la prima in cui sono educati insieme ebrei e arabi. E’ aperta a tutti la Dumia, uno spazio di silenzio e preghiera.

 

 

Il bambino che denuncia gli sfruttatori.

E’ uno dei cinquecentomila bambini che in Pakistan lavorano alla fabbricazione di tappeti. A sei anni Iqbal è legato con una catena a un grande telaio: i suoi genitori non hanno soldi, e lo cedono a un mercante in cambio di favori economici. Un giorno riesce a uscire dalla fabbrica e incontra un giornalista, promotore del Fronte di Liberazione del lavoro forzato. Iqbal comprende che la situazione non può migliorare se nessuno ha il coraggio di denunciarla. Incomincia così a parlare del problema. Viene invitato anche in Svezia, ad una Conferenza Internazionale sul Lavoro, per gridare questo sfruttamento. E’ un bambino sveglio e tenace. "Non ho più paura di lui -dice riferendosi al padrone- è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione. Voglio studiare, voglio diventare un avvocato, per difendere tutti i bambini". A dodici anni, invece, viene ucciso dalle mafie locali: è il 16 Aprile 1995.

 

KAKA', la Coppa dei Campioni e Gesù

Kakà, «testimonial» di quanto è bello essere cristiani. Avvenire 1 giugno 2007

Caro Direttore,

una delle immagini che l’altra sera mi ha colpito di più della festa rossonera ad Atene, era Kakà che correva felice in mezzo al campo mostrando la sua canottiera con la scritta: «I belong to Jesus» («Io appartengo a Gesù»). Mi è sembrata, nella sua semplicità, una splendida testimonianza cristiana, fatta da un campione davanti a milioni di telespettatori di ogni religione. Quel volto sereno dava proprio l’idea di un ragazzo che corre sui campi di questo mondo, ma non è di questo mondo!

Davide Zanelli

Movimento Casa Betlemme

Arezzo

Anch’io, caro Zanelli, come milioni di altre persone ho visto quelle immagini in televisione. Immagini che, indubbiamente, suscitano un’istintiva simpatia. Non si può infatti non ammirare la disarmante semplicità e la schiettezza con cui questo atleta, nei momenti topici, manifesta la sua fede cristiana, cosa che per lui assume il significato di una vera e propria manifestazione di gioia. Molto è stato già scritto sulla religiosità e sui buoni sentimenti del campione rossonero. È stato in un’intervista al nostro giornale che Kakà ha dichiarato «Il più grande fuoriclasse che conosco è Gesù»: una similitudine calcistica simpatica ed efficace, che traduce un amore sconfinato per la figura di Cristo, frutto persistente dell’educazione nella Chiesa evangelica ricevuta in famiglia. Diversi e per qualcuno stravaganti sono peraltro i motti con cui Kakà esterna quella sua «appartenenza»: sulle scarpette da gioco reca la scritta «Deus è fiel» («Dio è fedele») e al polso tiene, a mo’ di memento, un nastrino con le parole «O que Jesus faria?», cioè «Cosa farebbe Gesù al mio posto?». Insomma un modo diretto, plastico, corporeo, appunto atletico, di esprimere un cristianesimo sentito, con modalità comunicative che raggiungono l’uditorio, soprattutto quello giovanile. Ma tutto questo non è solo uno slogan, perché è esemplare la coerenza che Kakà cerca di mantenere tra la fede e le opere, tra la Bibbia e la vita: correttissimo, da vero sportivo, è il suo comportamento in squadra, sul campo (persino i falli di gioco da lui commessi si contano sulle dita delle mani!) e anche nella sfera privata, pur non nascondendo di godere a pieno della sua gioventù e della sua fortuna. Davvero Kakà, oggi, è la «faccia pulita» del calcio e del suo grande Paese, il Brasile. La riflessione che ne consegue è semplice: sarebbe bello che tutti i battezzati esprimessero con pari serena lealtà il loro essere cristiani, cioè «di Cristo». Senza vergognarsi di questo, e senza ridurre questa bellissima grazia a una questione solo intima, di coscienza, occultata come la lampada sotto il moggio.

 

La guida dei neri d'America contro l'apartheid.

Pastore della Chiesa battista, nasce ad Atlanta, in Georgia, il 15 Gennaio 1929 da una famiglia benestante. Insieme alla moglie Corette e ai quattro figli, nelle scelte di vita condivide la sorte dei poveri. Guida le lotte antisegregazioniste in USA attraverso metodi nonviolenti, comprese le marce pacifiche e il boicottaggio, arrivando alla conquista dei diritti per i neri. L’esempio più eclatante è il boicottaggio di Montgomery del 1955, qundo Rosa Parks, una sarta nera, si rifiuta di cedere il posto in autobus ad un giovane bianco, e viene imprigionata. King organizza subito la resistenza passiva, e invita i neri a non prendere più l’autobus. La protesta dura 382 giorni, si conclude solo quando viene ottenuta l’abolizione della segregazione sui mezzi pubblici. Insieme alle vittorie, arrivano minacce, attentati, prigionia, ostacoli da parte di altre correnti di neri, che però non fermano la sua lotta per la giustizia e la pace. Nel 1964 gli viene consegnato il premio Nobel per la Pace. Il 4 Aprile 1968 è assassinato a Memphis durante la manifestazione in cui gli spazzini neri della città rivendicavano parità di diritti coi lavoratori bianchi.

 

Il Sindaco di Firenze cittadino del mondo.

Nasce a Pozzallo in Sicilia nel 1904. Uomo di studio, di riflessione e di preghiera si trova suo malgrado coinvolto nelle vicende politiche dell’Italia fascista sotto il cui regime è costretto a rifugiarsi prima a Siena poi a Roma.Dopo la guerra dà un contributo importante all’elaborazione della Costituzione della Repubblica. E’ parlamentare, sottosegretario al Lavoro nei primi durissimi anni della ricostruzione post-bellica. Nel 1951, viene eletto sindaco di Firenze, designato da una marea di preferenze popolari.La Pira sindaco misura la fedeltà cristiana sui problemi reali di una comunità concreta: il lavoro, la scuola, la casa, l’ospedale, la cultura, la fede, la speranza, l’amore, e fa di Firenze la città degli incontri internazionali per la pace. Per tutti egli fu una straordinaria figura umana, profeta disarmato, uomo di pace, impegnato nel sociale, amico dei poveri e fautore di una città terrena partecipe della bellezza e dell’ospitalità testimoniata da tutti i cittadini.Soleva dire:"Quando vengono qui i turisti da ogni parte del mondo, portano nel cuore un messaggio; non è una cosa turistica, portano una bellezza profonda, fiorisce il mondo". E lavorava perchè davvero il mondo potesse fiorire nel cuore di tutti.

 

Suora americana antimilitarista, domenicana e pacifista

LETTERE DAL CARCERE

Kathy Long, suora americana antimilitarista

di Mauro Castagnaro

Domenicana e pacifista, ha preso parte a una protesta nonviolenta contro la "Scuola degli assassini" dell’esercito Usa. L’irruzione nella zona "off limits" di Fort Benning le è costata tre mesi di reclusione: una testimonianza evangelica, anche dietro le sbarre della prigione.

Suor Kathy Long

LETTERE DAL CARCERE

di Mauro Castagnaro

Domenicana e pacifista, ha preso parte a una protesta nonviolenta contro la "Scuola degli assassini" dell’esercito Usa. L’irruzione nella zona "off limits" di Fort Benning le è costata tre mesi di reclusione: una testimonianza evangelica, anche dietro le sbarre della prigione.

«Sono stata accusata di un reato penale, ma non mi sento una criminale e mi dichiaro non colpevole. Le mie azioni, basate sulla fede, sono state nonviolente e derivano da una lunga tradizione domenicana di predicazione della verità, in difesa di coloro che vengono colonizzati e dominati con durezza da poteri stranieri. Io non ho nulla da nascondere, ma so che c'è molto di celato tra le attività della Soa, questa famosa scuola di assassini. Il Dipartimento della difesa, il Pentagono e il Governo degli Stati Uniti hanno nascosto la verità per anni. Il mio oltrepassare quella linea sulla proprietà di Fort Benning è spirituale, una teologia pratica di resistenza nonviolenta per salvare delle vite da coloro che vengono addestrati in questo istituto di guerra. Cammino sulle orme di Gesù Cristo, che ci sfida a essere portatori di pace, ci chiede di abbracciare la croce e cercare la verità».

Così cominciava, il 28 gennaio 2003, l ‘autodifesa di suor Kathleen Long, religiosa della Congregazione domenicana del Santissimo Rosario di Sinsinawa, condannata a scontare tre mesi di carcere nella prigione federale di Pekin, nell’Illinois, per essere penetrata, con altre 95 persone, tra cui 7 suore, anch’esse tutte arrestate, nel perimetro dell’Istituto dell’emisfero occidentale per la cooperazione alla sicurezza (Whisc), già Scuola delle Americhe (Soa) dell’esercito degli Stati Uniti. Da questo centro di addestramento sono usciti molti dittatori latinoamericani, dagli argentini Leopoldo Galtieri e Roberto Viola al boliviano Hugo Banzer, dal panamense Manuel Noriega all’haitiano Raoul Cedras, dal paraguayano Alfredo Stroessner al guatemalteco Efrain Rios Montt e centinaia di ufficiali regolarmente coinvolti nelle peggiori violazioni dei diritti umani registratesi nel subcontinente, come la strage dei 6 gesuiti dell’Università centroamericana (Uca) di San Salvador, ammazzati nel 1989 insieme a due donne di servizio dai soldati del Battaglione Atlacatl, una "unità d’elite" specializzata nella lotta antiguerriglia già protagonista, otto anni prima, del massacro di El Mozote, in cui furono trucidati quasi mille contadini.

Suor Long è un’attivista dell’Osservatorio della Scuola delle Americhe (Soa Watch), fondato da padre Roy Bourgeois, ex veterano del Vietnam e oggi religioso di Maryknoll, che dal 1990 ogni anno, in occasione dell della strage della Uca, organizza proteste davanti al Whisc reclamandone la chiusura. D’altro canto, religiose e religiosi delle maggiori congregazioni sono sempre più in prima fila in quell’"altra America" pacifista, che si oppone alla politica imperiale e alla guerra preventiva del presidente Bush. E non solo a parole.

 

Suore e frati organizzano marce e sit-in, veglie di preghiera e digiuni, promuovono il boicottaggio delle imprese del complesso militare industriale e premono sul Congresso, violano le installazioni dell’esercito e dell’aviazione. Praticano con rigore la resistenza nonviolenta, si tratti di mettere fuori uso un missile Trident, rifiutarsi di pagare le tasse destinate alle spese belliche o superare la zona off limits della base navale di Vieques, sull’isola di Portorico. E ne accettano le conseguenze. Qui una fede senza compromessi si sposa con la cultura anglosassone della disobbedienza civile e con quel femminismo che invita ad agire «in prima persona» e «a partire dal proprio corpo». Così suor Long si è trovata a festeggiare il 25° anniversario dei propri voti dietro le sbarre.

Durante la detenzione le è stato permesso di scrivere solo una lettera la settimana, ma questi testi testimoniano una serena e lucida radicalità evangelica. In esse si intrecciano un forte afflato spirituale e una solida coscienza politica, tenute assieme da una sensibilità spiccatamente femminile che sa indignarsi davanti alle ingiustizie e mostrare compassione verso chi le subisce, siano le vittime della repressione militare in Centroamerica o le compagne di prigione.

L’esperienza del carcere è per suor Kathy una tappa in un «viaggio di fede e resistenza» iniziato nel 1992, quando, con un gruppo di consorelle, assunse l’impegno di «resistere alle attuali manifestazioni di ingiustizia agendo nella fede, attraverso la preghiera, lo studio e la conversione personale. In collaborazione con altri ci impegneremo in azioni di resistenza nonviolenta. La nostra resistenza, fondata sulla fede, ci consentirà di cercare, creativamente, soluzioni alternative per dare vita a relazioni e strutture nuove». Perciò «la mia detenzione è una presa di posizione religiosa e basata sulla fede contro l’impero americano che si espande nel mondo. Quando rifletto sulle Scritture lette in questa Pasqua, sento la conferma di questo. Sono alla ricerca di una direzione e della saggezza di Dio. Il mio tempo di servizio qui è una pubblica dimostrazione della forza trovata in un Dio misericordioso. Non posso interpretare quanto dice Gesù nel Vangelo di Giovanni "la pace sia con voi" come la necessità di costruire un mondo col potere delle armi di distruzione di massa detenuto dagli Stati Uniti».

L’impegno antimilitarista è prima di tutto una scelta etica cristiana: «La mia fedeltà è a Cristo, non al Governo americano. Come Oscar Romero ha predicato, "niente è più importante della vita umana". Né oleodotti petroliferi né imperi militari e poteri politici. Come Chiesa popolo di Cristo noi accogliamo la vita umana come dono e benedizione del Signore».

 

A ciò segue una critica della politica estera statunitense dal punto di vista degli esclusi: «Ho oltrepassato il perimetro a Fort Benning nel tentativo di attirare l’attenzione sulla Soa e indurre il nostro Governo a chiudere questa scuola di tortura e repressione. Sono stata arrestata perché coinvolta in attività politiche. Ma, come dice, monsignor Romero, "il sangue dei poveri va oltre ogni politica". Io ho manifestato il mio dissenso con la nonviolenza perché sono venuta a sapere delle vittime. Accetto tre mesi di prigione per onorarle. Questa è la teologia della resistenza che abbraccio. Sono sicura che la violenza in Colombia potrebbe fermarsi se gli Stati Uniti cambiassero la loro politica estera. Il denaro inviato in Colombia non serve a sradicare la droga, ma sta uccidendo vittime innocenti. Attivisti, responsabili di associazioni, religiosi sono presi di mira perché promuovono il rispetto dei diritti umani. E il Whisc-Soa continua ad addestrare i soldati colombiani e i loro capi. I contadini sono bersagliati come i loro raccolti, gli animali e le fattorie dalle fumigazioni aeree che servono, si dice, per distruggere le piantagioni di coca, ma si estendono ben oltre queste. Il Governo americano continua a finanziare il Plan Colombia, ignorando i ben noti abusi dei diritti umani dell’esercito colombiano. C’è il petrolio in Colombia, non solo in Iraq!».

Lotta e contemplazione vanno di pari passo: «Un’azione di resistenza nonviolenta è basata sull’accettazione delle conseguenze. La nonviolenza attiva mi ha portato a dissentire dal militarismo della politica estera degli Usa in America latina. Sono contro l’addestramento militare del personale alle tecniche di guerra di bassa intensità. In questa Pasqua ho riletto gli Atti degli Apostoli, raccogliendo la sfida di abbracciare il Gesù risorto e il messaggio evangelico dell’amore, della verità, della compassione e della giustizia. Il Gesù che seguo mi ha portato a rompere il silenzio sull’addestramento dei militari americani al Whisc-Soa.

La mia condanna è segno di un uso oltraggioso del sistema penale. Questo periodo di carcere mi permetterà di denunciare con forza la violenza impartita dentro i cancelli di Fort Bennig. Il silenzio è stato rotto dagli arresti. Le sentenze sembrano essere un modo per farci stare zitti e spaventarci. Ma noi non abbandoneremo la lotta finché la "Scuola degli assassini" non sarà chiusa». E d’altra parte, «stare nella prigione di Pekin è la volontà del Signore per me in questo momento. Questi tre mesi sono una vera esperienza di contemplazione. Qui vedo più chiaramente il mio servizio come un e un dono agli altri dei frutti di questa contemplazione».

In prigione suor Long sperimenta, con stupore, impotenza e dipendenza, ma riesce a ritrovare libertà interiore: «Non ho nessun potere per adattare o cambiare le regole che determinano la mia quotidianità. La punizione è la minaccia per la loro violazione. Mi rendo conto sempre più chiaramente dei limiti nei quali vivo. Tuttavia mi sento libera nello spirito. Posso scegliere ogni minuto come stare qui, come vivere, come accettare me stessa, come rapportarmi con gli altri. Io ho scelto la nonviolenza come stile di vita. Ciò si è espresso nell’apertura a tutte le nuove persone che sono entrate nella mia vita. Ci sono 276 donne e 30-40 guardie e impiegati. Nessuno qui è "nemico". Il nemico che affronto è la violenza sistematica perpetrata dalla "Scuola degli assassini", l’eccessivo militarismo della politica estera degli Usa, che abusa degli esseri umani nel mondo, in particolare in America latina. Tutto ciò va contro il Gesù nonviolento di cui celebro la Pasqua».

C’è poi la riflessione, in cui si sente l’eco del pensiero femminista, sul proprio ruolo e sulla solidarietà tra donne: «Oggi, durante una preghiera, ho condiviso la mia vulnerabilità, perché lavorando tanti anni in parrocchia durante la Settimana Santa mi sono sempre sentita in una posizione di autorità e di potere. Ora non lo sono: sono una che riceve. Qui comanda il sistema carcerario, anche se sono le detenute che in questi primi giorni mi stanno aiutando a orientarmi. Dipendo da loro per tutto. Sono così care e generose con me. Sono immersa in una comunità di donne che cercano la giustizia e il cambiamento nelle loro vite, lottano perché separate dai loro figli, combattono economicamente nella nostra società. Vivendo in mezzo a questo sistema oppressivo vedo donne incoraggiarsi a vicenda e cooperare affinché esso non uccida il loro potere personale. Parlare, condividere emozioni, ridere, cantare, giocare a carte o a softball sono tutte strategie per praticare la nonviolenza. Intorno è tutta una preghiera! Dio è in mezzo a noi!».

La stessa spiritualità è vissuta al femminile: «Mi sento circondata dallo Spirito del Signore da quando sono qui. L’amore delicato di Sophia mi sostiene e mi guida in questa esperienza unica di ministero. In questa Pentecoste io sento lo Spirito di Dio, la saggezza di Sophia che mi chiama».

Progressivamente cresce anche la critica degli aspetti vessatori dell’apparato carcerario: «Qui a Pekin i tentativi di intimidazione continuano. Il sistema penale è un controllo militaresco delle persone. Questa prigione federale è piena di donne accusate di crimini nonviolenti. Le pressioni psicologiche sono nella norma. Il controllo e la manipolazione sembrano far parte del manuale di addestramento degli impiegati. Ma io lo accetto. Io sono qui perché un mondo di giustizia e speranza possa essere costruito».

Più avanti la denuncia si fa più circostanziata: «A Pekin la vita è opprimente per tutte le donne detenute. Essere qui è una forma di punizione. Al di là della sentenza, ogni giorno lo staff della prigione cerca tutti i modi per irritarci, dominare e opprimerci. Le inutili regole e i regolamenti vengono cambiati secondo il capriccio dei responsabili. Nulla è mai logico o utile. Il sistema di questa prigione è un modello militaristico e non di ristabilimento della giustizia. L’assistenza sanitaria è pessima. Il benessere e la salute delle prigioniere non sono importanti. Una donna ha avuto due piccoli attacchi di cuore per aver ricevuto dai medici una dose eccessiva di insulina. L’organizzazione medica è un altro aspetto di questo ambiente oppressivo».

Qualche settimana dopo suor Kathy racconta: «Alcune donne sono arrivate qui da altre prigioni, con capi di vestiario acquistati altrove. Ora a Pekin le autorità dicono che possiamo indossare solo abiti venduti qui. Così è stato detto loro di comprarne di nuovi e spedire a casa quelli delle altre carceri. Questa istituzione pretende conformismo, uniformità, anche se l’Ufficio dei prigionieri vende diversi tipi di abbigliamento per i detenuti ed essi sprecano i soldi perché sono obbligati a comprarli».

Alla vigilia della fine della pena conclude: «Da quando sono qui, ho visto le maggiori ingiustizie proprio nel sistema. La scorsa settimana sei donne sono state punite per un problema legato a ciò che devono pagare. Per la maggior parte di loro nella sentenza è prevista una multa, le cui rate vengono detratte ogni mese dall’Ufficio dei prigionieri direttamente dal loro conto. Questa volta un impiegato ha spostato per via telematica la cifra dal fondo delle detenute a quello della prigione, ma per una differenza di orario tra il pagamento e il deposito i soldi non erano disponibili in quel momento e il computer ha rifiutato l’operazione. Così le sei donne sono state spostate dai loro letti nella stanza comune e si vedranno tagliate le paghe per 30 giorni. A una delle donne mancava solo un centesimo! E dovrebbe andare via tra sei giorni! Qui a Pekin niente ha una logica. Molte di noi hanno offerto quel centesimo, ma non ci è stato permesso di darlo».

A volte la realtà esterna fa drammaticamente breccia nelle mura della prigione: «Abbiamo appena appreso che il nipote di una detenuta è stato ucciso a Baghdad. Era un militare. Che tragedia». E tuttavia non manca lo spazio per qualche considerazione divertita: «Sono una delle poche detenute a non avere un tatuaggio!».

Suor Long ha potuto contare, durante la detenzione, sul forte sostegno della Congregazione. Il maestro dell’Ordine dei domenicani, padre Carlos Azpiroz, scrive, riferendosi anche ad Ardette Platte, Carol Gilbert e Jackie Hudson, le tre consorelle condannate a pene comprese tra 30 e 41 mesi di carcere per essere penetrate nel perimetro della base militare di Greely, in Colorado, dove sono custoditi i missili Minuteman a testata nucleare, e aver inscenato un "sabotaggio" cercando di "disabilitare" un ordigno con piccoli martelli: «Le vostre azioni simboliche e le vostre posizioni per un mondo senza guerre sono state per me una splendida messa in pratica del messaggio cristiano. Come Gesù vi siete dimostrate disponibili a soffrire affinché l’azione profetica e un mondo nuovo possano realizzarsi.

A nome dell’Ordine ti ringrazio per la tua poderosa predicazione».

Arresti e processi non hanno comunque fermato la lotta. Nel novembre scorso oltre 10 mila persone, tra cui diverse centinaia di gesuiti, religiosi di altre congregazioni ed esponenti di diverse confessioni cristiane, hanno dato vita alla più grande manifestazione davanti alla Soa, chiedendo pure il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq. Anche questa volta una cinquantina di presenti hanno realizzato un’azione di disobbedienza civile, violando il perimetro dell’installazione, sono stati arrestati e condannati a diversi mesi di carcere, che stanno ancora scontando. Tra essi ci sono un pastore presbiteriano e cinque religiosi cattolici, tra cui padre José Mulligan, gesuita impegnato con le comunità ecclesiali di base in Nicaragua e nel far luce sulla morte di padre James "Guadalupe" Carney, che ironia della sorte! era stato addestrato nella Soa prima della II Guerra mondiale e che nel 1983 fu torturato e fatto scomparire, dopo essersi unito a un gruppo di guerriglieri locali, da militari honduregni usciti dallo stesso centro di formazione.

 

Mauro Castagnaro (ha collaborato Laura Ferrari)

 

LUZI MARIO 1914- 2005, poeta e senatore a vita

I poveri

"La parte povera del mondo cerca un nuovo assestamento provocando un’agitazione che dura da secoli, ma che si è fatta particolarmente acuta dopo il colonialismo. (…) Bisogna riconoscerlo alla fine: la nostra prosperità è stata ricavata dall'immiserimento di gran parte della popolazione del pianeta. Dovremmo essere colpiti non solo dal terrorismo, anche dalla morte di milioni di bambini in Iraq, in Africa, nel sud del Brasile o in India, dove l'esplosione di una fabbrica chimica provocò 16 mila morti.

Non abbiamo alzato la voce contro queste ingiustizie. Anzi, non abbiamo mai detto una parola. Abbiamo solo taciuto. Come non accorgersi che l’ingiustizia trabocca da ogni parte, travalica ogni limite e ogni regola?" (da un’intervista a ‘l’Unità’, morto IL 28. 02. 05 all’età di 90 anni).

 

La donna più famosa del mondo.

Il suo nome di battesimo è Agnes Bojaziu. Nasce il 27 Agosto 1910 a Skopje, in Albania. A 18 anni entra nella congregazione irlandese delle Suore di Loreto, e con il nome di Mary Teresa a 20 anni viene mandata a insegnare in un collegio a Calcutta. Viaggiando in treno tra i sobborghi della città, è colpita dalla tremenda miseria che regna ovunque. Bambini, anziani, donne, uomini, costretti a consumare i propri giorni senza diritto ad alcuna dignità. Avverte forte l’urgenza di dedicare la vita ai più poveri tra i poveri. Lascia l’istituto delle Suore di Loreto, fonda una congregazione nuova, le Missionarie della Carità, e indossa il sari delle donne indiane di infima casta. Da quel momento sarà per tutti "Madre Teresa". Insieme a tante giovani che la seguono, vive fra le persone più malate e sofferenti, i bambini abbandonati, gli emarginati, i moribondi. Apre in tutto il mondo centri di accoglienza, ospedali, orfanotrofi, perchè molti possano trovare sollievo in queste "case della pace". Il suo fisico apparentemente fragile non imprigiona il carattere forte e coraggioso, frutto di continua preghiera e meditazione profonda: telecamere e obiettivi la ritraggono sempre con una inseparabile corona di rosario tra le mani. Disarmante per semplicità e schiettezza, umiltà e fermezza, Madre Teresa compie gesti ad altri impossibili: mobilita personaggi potenti, politici ed autorità, gente di spettacolo e di cultura, attorno alla causa della solidarietà.Nel 1996 riceve il premio Nobel per la Pace.

 

L'Islamico sudanese contrario ad ogni fondamentalismo.

Nasce in Sudan quando è ancora colonia degli inglesi e ad essi si oppone finendo in carcere nel 1938. Nel 1956 fonda il Partito dei Fratelli Repubblicani diffondendo idee islamiche ‘non ortodosse’. Nella sua opera principale, "Il secondo messaggio dell’Islam", egli si riferisce alla predicazione di Maometto durante il viaggio alla Mecca facendo conoscere lo sviluppo ‘nonviolento’ (in arabo ‘ounf’) del pensiero maomettano: "Nella nuova legge non esiste più guerra santa né schiavitù, né capitalismo, né ineguaglianza tra uomo e donna, né poligamia, né ripudio, né l’uso del velo, né la separazione dei sessi". Nel 1968 è condannato dai responsabili religiosi del Sudan. All’inizio sostiene il regime di Nemeiry che aveva promulgato una Costituzione fondata sui Diritti Umani, ma poi quando il generale diventa fondamentalista e proclama un nuovo codice penale conforme alla legge islamica (charia) si oppone tenacemente, viene arrestato, e condannato a morte.

 

La cantante dei neri del Sudafrica.

Cantante straordinaria della Repubblica Sudafricana. Nata il 4 Marzo 1932, dal 1959 costretta a vivere in esilio per il suo dissenso verso l’Apartheid, le discriminazioni e le misere condizioni della popolazione nera. Tornata in patria prosegue il lavoro musicale denso di atmosfere che spaziano dalla tradizione africana al jazz: sull’onda delle straordinarie doti vocali si eleva ancora più forte il suo canto d’amore. Altissima poesia messa al servizio delle vicende dolorose del suo paese, non per fare politica, ma per comunicare dal palcoscenico messaggi di unità, libertà, perdono. Arte e sentimenti spesso dedicati alle giovani donne del Sudafrica, perchè ritrovino l’orgoglio e la fiducia in sè. "Sono una cantante, non sono un diplomatico e un politico. Ma da quando fui esiliata dalla mia terra, ogni canzone che canto diventa una dichiarazione che riecheggia le speranze e le aspirazioni del mio popolo". Così Myriam Makeba si descrive, sottolineando che la sua lotta per un’umanità migliore è a ritmo di musica, e i suoi campi di battaglia sono i concerti, dove, nella soavità della voce, dei sorrisi, dell’amicizia, rivela pace e coraggio, in passato messi a dura prova, oggi dono prezioso per i fans.

 

Martirologio della Chiesa nel 2003

Il martirologio della Chiesa nel 2003
Nome Nato in Istituto Martirizzato a / il

1. Don Dieudonné Mvuezolo-Tovo R.D.Congo
Diocesano Matadi (R.D.Congo)
11/3

2. Don Nelson Gómez Bejarano Colombia
Diocesano Armenia (Colombia)
22/3

3. Fratel Clement Igwilo Nigeria
Trappisti Awhum (Nigeria)
25/3

4. Don Martin Macharia Njoroge Kenya
Diocesano Nairobi (Kenya)
11/4

5. Don Raphael Ngona R.D.Congo
Diocesano Bunia (R.D.Congo)
6/5

6. Seminarista minore Uganda
Diocesano Gulu (Uganda)
11/5

7. Seminarista minore Uganda
Diocesano Gulu (Uganda)
11/5

8. Seminarista minore Uganda
Diocesano Gulu (Uganda)
11/5

9. Don Aimé Njabu R.D.Congo
Diocesano Bunia (R.D.Congo)
10/5

10. Don Francois Xavier Mateso R.D.Congo
Diocesano Bunia (R.D.Congo)
10/5

11. Don Jairo Garavito Colombia
Diocesano Yerbabuena (Colombia)
15/5

12. Padre Manus Campbell Irlanda
Ordine Frati Minori OFM Durban (Sudafrica)
21/5

13. Suor Lorek Czeslawa Polonia
Congr. Sacro Cuore RSCJ Kinshasa (R.D.Congo)
21/5

14. Ana Isabel Sánchez Torralba Spagna
Volontariato Missionario Mongomo (Guinea equat.)
1/7

15. Don George Ibrahim Pakistan
Diocesano Distretto di Okara (Pakistan)
5/7

16. Padre Taddeo Gabrieli Italia
Ordine Frati Minori OFM Imperatriz (Brasile)
19/7

17. Suor Mathilde R.D.Congo
Serve di Gesù Fataki (R.D.Congo)
9/8

18. Marko Makuec Shir Sudan
Catechista laico Kutum (Sudan)
12/8

19. Padre Mario Mantovani Italia
Miss. Comboniani MCCJ Kotido (Uganda)
14/8

20. Fratel Godfrey Kiryowa Uganda
Miss. Comboniani MCCJ Kotido (Uganda)
14/8

21. Don Justin Mandro Kpanga R.D.Congo
Diocesano Fataki (R.D.Congo)
25/8

22. Don Alphonse Kavendiambuku R.D.Congo
Diocesano Kavuaya (R.D.Congo)
26/8

23. Joe Castillo Venezuela
Volontario laico Tinaquillo (Venezuela)
27/8

24. Don Lawrence Oyuru Uganda
Diocesano Manasale (Uganda)
1/9

25. Don William De Jesus Ortez El Salvador
Diocesano Santiago (El Salvador)
5/10

26. Jaime Noel Quintanilla El Salvador
Laico Santiago (El Salvador)
5/10

27. Annalena Tonelli Italia
Volontaria Borama (Somalia)
5/10

28. Padre Sanjeevananda Swami India
Belur (Bangalore, India)
7/10

29. Don Saulo Carreño Colombia
Diocesano Arauca (Colombia)
3/11

30. Maritza Linares Colombia
laica Arauca (Colombia)
3/11

31. Don Henry Humberto López Cruz Colombia
Diocesano Villavicencio (Colombia)
3/11

32. Don José Rubín Rodríguez Colombia
Diocesano Arauca (Colombia)
14/11

33. Don José Maria Ruiz Furlan Guatemala
Diocesano Città del Guatemala
14/12

34. Fratel Anton Probst Germania
Missionari Clarettiani Akono (Camerun)
24/12

35. Sua Ecc. Michael Courtney Irlanda
Nunzio Apostolico in Burundi Minago (Burundi)
29/12

MARTIROLOGIO DELL’ANNO 2003

Don Dieudonné Mvuezolo-Tovo, congolese, coordinatore delle scuole cattoliche della provincia di Bas nella Repubblica Democratica del Congo, ucciso l’11 marzo 2003 da un militare lungo la strada che collega Tshimpi a Matadi. Don Nelson Gómez Bejarano, colombiano, 52 anni, parroco della Parrocchia-Santuario della Medaglia miracolosa ad Armenia (Colombia). E’ stato ucciso in canonica il 22 marzo 2003 durante un tentativo di rapina.

 

 

Fratel Clement Igwilo, monaco trappista, nigeriano, assassinato da ladri la sera del 25 marzo, mentre stava facendo rientro in autobus al suo monastero di Nostra Signora del Monte Calvario ad Awhum (Enugu-Nigeria).

Don Martin Macharia Njoroge, kenyano, 34 anni, morto l’11 aprile 2003 in ospedale a Nairobi (Kenya) in seguito all’aggressione subita qualche giorno prima da alcuni banditi alla periferia della città. I malviventi lo avevano costretto a scendere dalla sua vettura, gli avevano sparato alcuni colpi d’arma da fuoco e si erano impadroniti dell’automobile, abbandonandola poco distante. Ordinato sacerdote 4 anni fa, era responsabile della parrocchia "San Francesco Saverio" a Parklands. Un fratello di d. Martin, anch’egli sacerdote, era stato ucciso nel 2000.

Don Raphael Ngona, della Repubblica Democratica del Congo, ucciso con un proiettile il 6 maggio 2003 nei locali della diocesi a Bunia, dove si trovava temporaneamente, essendo nominato parroco di Drodro.

Tre seminaristi minori rapiti a Lachor (Arcidiocesi di Gulu, Uganda), nella notte tra il 10 e l’11 maggio. I ribelli dell’LRA rapirono complessivamente 41 ragazzi, per tre di loro si hanno le prove che furono uccisi, altri riuscirono a fuggire e altri sarebbero ancora nelle mani dei ribelli.

Don Aimé Njabu e don Francois Xavier Mateso, della Repubblica Democratica del Congo, trovati uccisi il 10 maggio 2003 nella parrocchia di Nyakasanza, alla periferia di Bunia, il primo a colpi di macete nella sua stanza e il secondo a colpi d’arma da fuoco nel giardino della parrocchia. Anche altre persone che al momento si trovavano in parrocchia sono state trovate uccise.

Suor Lorek Czeslawa, polacca, della Congregazione del Sacro Cuore, 65 anni di cui 19 trascorsi nella Repubblica Democratica del Congo, dove è morta il 21 maggio 2003, a Kinshasa. Dieci giorni prima era stata aggredita da alcuni ladri che aveva sorpreso in chiesa.

Don Jairo Garavito, colombiano, 36 anni, ucciso il 15 maggio 2003 da delinquenti che hanno fatto irruzione nella casa parrocchiale di Yerbabuena di Chia (regione di Cundinamarca, Colombia) a scopo di rapina. Il sacerdote è morto per asfissia, in quanto i malviventi che lo hanno aggredito, lo hanno legato e imbavagliato.

Padre Manus Campbell OFM, irlandese, ucciso il 21 maggio 2003 da alcuni malviventi entrati nella sua parrocchia alla periferia di Durban (Sudafrica). Era missionario nel Paese da 45 anni.

Ana Isabel Sánchez Torralba, 22 anni, spagnola, volontaria del Volontariato Missionario Calasanziano, alla sua prima missione all’estero, è stata uccisa in Guinea equatoriale (località di Mongomo) il 1° luglio 2003 durante un controllo di polizia.

Don George Ibrahim, pakistano, 38 anni, ucciso a colpi di arma da fuoco il 5 luglio 2003 nella sua parrocchia di "Nostra Signora di Fatima", in località Renala Khurd, distretto di Okara (Pakistan) da uomini armati entrati all’alba nel complesso parrocchiale.

Padre Taddeo Gabrieli, OFM Cappuccini, 73 anni, italiano, ucciso con due coltellate il 19 luglio 2003 a Imperatriz (stato del Maranhao, Brasile) da una persona che voleva aiutare, apparentemente sotto influsso di alcool o droga. Aveva dedicato la sua vita alla missione e all’evangelizzazione.

Suor Mathilde, congolese, delle Serve di Gesù, uccisa il 9 agosto 2003 nel villaggio di Fataki (Repubblica Democratica del Congo) assalito da miliziani Lendu che hanno saccheggiato le strutture religiose.

Marko Makuec Shir, catechista laico della cittadina di Kutum (Sudan), in cui esercitava il suo ministero dal 1998. Padre di tre bambini, è stato ucciso il 12 agosto 2003 mentre stava andando in ospedale a visitare un amico rimasto ferito durante il combattimento con i ribelli che avevano preso la cittadina.

Padre Mario Mantovani, Missionario Comboniano, 84 anni, italiano, da 45 anni in Uganda dove assisteva i lebbrosi, e fratel Godfrey Kiryowa, ugandese, 29 anni, anch’egli Comboniano, uccisi durante una razzia di bestiame sulla strada tra Capeto e Kotido (Uganda) il 14 agosto 2003.

Don Justin Mandro Kpanga, 30 anni, sacerdote diocesano della Repubblica Democratica del Congo, vicario parrocchiale a Fataki, ucciso il 25 agosto da miliziani Lendu.

Don Alphonse Kavendiambuku, della Repubblica Democratica del Congo (diocesi di Matadi), ucciso il 26 agosto a Kavuaya, provincia del Bas Congo, da cinque ex militari che hanno assalito la vettura su cui viaggiava insieme ad altre due persone, una ferita e l’altra rimasta illesa.

Joe Castillo, volontario laicio, venezuelano, ucciso il 27 agosto 2003 a colpi di arma da fuoco mentre viaggiava in automobile con moglie e figlio, a Tinaquillo (Machiques-Venezuela).

Don Lawrence Oyuru, parroco di Ocero, diocesi di Soroti in Uganda, ucciso insieme ad altre 25 persone in una imboscata dei ribelli Lra avvenuta tra Soroti e Manasale, il 1° settembre 2003.

Don William De Jesus Ortez, 32 anni, nato a Jucuapa (El Salvador) parroco della cattedrale di Santiago nella diocesi di Santiago de Maria (El Salvador), assassinato a colpi di arma da fuoco all’interno della chiesa la sera del 5 ottobre 2003. Anche Jaime Noel Quintanilla, 23 anni, sacrestano del tempio, è stato ucciso insieme al sacerdote.

Annalena Tonelli, 63 anni, italiana, volontaria raggiunta da colpi di arma da fuoco il 5 ottobre mentre di trovava nel suo ospedale di Borama (nord Somalia) dove da 33 anni operava a favore della popolazione locale.

Padre Sanjeevananda Swami, indiano, 52 anni, ucciso a Belur (distretto di Kolar, diocesi di Bangalore, India) il 7 ottobre 2003 in seguito ad una aggressione.

Don Saulo Carreño, 38 anni, originario di Guacamayas (Boyacá), parroco di Saravena (in Arauca, Colombia), assassinato a colpi di arma da fuoco il 3 novembre. Anche una impiegata dell’ospedale locale che era in macchina con lui, Maritza Linares, è rimasta uccisa. L’assassinio, da imputare a gruppi che operano ai limiti della legge per il controllo di questa zona petrolifera, è avvenuto vicino all’ospedale Sarare, lungo la strada che da Saravena conduce a Fortul.

Don Henry Humberto López Cruz, colombiano, originario di Tolima, 44 anni, parroco a Villavicencio, capitale della regione di Meta, nella Colombia centrale, è stato ucciso a pugnalate nella casa parrocchiale nella notte del 3 novembre. Il corpo, legato ad una sedia, è stato ritrovato da una donna che svolgeva i lavori domestici.

Don José Rubín Rodríguez, colombiano, 51 anni, parroco de La Salina (Casanare, Colombia) sequestrato il 14 novembre ed assassinato in una zona rurale di Tame (Arauca,Colombia). Il suo corpo è stato ritrovato il 21 novembre.

Don José Maria Ruiz Furlan, 69 anni, guatemalteco, assassinato domenica 14 dicembre a colpi di arma da fuoco, poca distante dalla sua parrocchia di Città del Guatemala, in una zona povera e popolare. Era molto noto tra la gente per la sua appassionata lotta in difesa dei diritti umani e per l’impegno a favore delle classi più disagiate.

Fratel Anton Probst, 68 anni, tedesco, dei Missionari Clarettiani, ucciso la notte del 24 dicembre da alcuni malviventi entrati nel noviziato di Akono, in Camerun. Dopo la Messa di Natale stava rientrando nella sua camera quando ha sorpreso i ladri che lo hanno colpito e legato, lasciandolo esanime. Era in Camerun da 11 anni, dopo aver trascorso 24 anni nella Repubblica Democratica del Congo.

Sua Ecc. Mons. Michael Courtney, Nunzio apostolico in Burundi, irlandese, 58 anni, ucciso il 29 dicembre a Minago, 50 km a sud della capitale Bujumbura. Mentre rientrava nella capitale dopo una visita pastorale, la sua vettura è stata raggiunta da diversi colpi di arma da fuoco, che lo hanno colpito mortalmente ferendo altre persone che erano con lui. E’ spirato poco dopo all’ospedale di Bujumbura. (Agenzia Fides 20/3/2004)


Martirologio dell’anno 2003

1 Arcivescovo
20 sacerdoti
3 religiosi
2 religiose
3 seminaristi
1 catechista
3 volontari laici
2 laici.

Paesi di origine
Africa: 15 (7 R.D.Congo, 5 Uganda, 1 Kenya,1 Sudan, 1 Nigeria)
America: 10 (6 Colombia, 2 El Salvador, 1Venezuela, 1 Guatemala)
Europa: 8 (3 Italia, 2 Irlanda, 1 Spagna, 1 Germania, 1 Polonia)
Asia: 2 (1 Pakistan, 1 India).

Luoghi della morte
Africa: 22 (6 Uganda, 8 R.D.Congo, 1 Camerun, 1 Burundi, 1 Sudafrica, 1 Guinea equatoriale, 1 Somalia, 1 Kenya, 1 Nigeria, 1 Sudan)

America: 11 (6 Colombia, 2 El Salvador, 1Venezuela, 1 Brasile, 1 Guatemala)

Asia: 2 (1 India, 1 Pakistan).(Agenzia Fides 20/3/2004)

 

 

La donna del Sudamerica Nobel per la Pace.

Rigoberta Menchù Tum, leader guatemalteca, è conosciuta a livello internazionale per il suo impegno a favore dei Diritti Umani, in modo particolare a favore dei popoli amerindi. Nata nel 1959 sull’altopiano di Chimel in Guatemala, nella millenaria comunità di cultura Maya-Quiché. Fin da piccola affronta il duro lavoro dei campi e sucessivamente viene usata come domestica. Vive sulla propria pelle l’ingiustizia, la miseria e ogni forma di repressione e di discriminazione di cui il popolo indios è oggetto. Vari membri della sua famiglia vengono torturati, assassinati e lei stessa costretta all’esilio in Messico nel 1980. Autodidatta di formazione, si rivela una leader naturale di grande intelligenza. Partecipa a organizzazioni popolari di campesinos e si fa promotrice del rispetto delle culture indigene, dei loro valori battendosi contro la repressione, il razzismo, la povertà degli indigeni d’America. Nel 1991 le viene conferito il premio Nobel per la Pace, riconoscimento simbolico per le vittime della repressione, del razzismo e della povertà del continente americano e di tutti gli uomini e le donne indigene.

 

Il sindacalista brasiliano che denuncia le guerre tra poveri.

E’ figlio di una famiglia povera di estrattori di caucciù del nord-est del Brasile che vivono alle dipendenze di proprietari senza scrupoli che li sfruttano facendoli lavorare in condizioni inumane. I proprietari vivono in villaggi da loro costruiti venendo spesso in conflitto con gli abitanti del posto, gli indios, ai quali gradualmente, ma con prepotenza, sono costretti a sottrarre le terre ricoperte di alberi di caucciù. L’azione di Chico Mendes si inserisce in questo contesto a favore sia degli estrattori forzati di caucciù, sia a favore degli indios. Si batte perchè questi gruppi sociali non siano costretti ad entrare in lotta per la sopravvivenza, ma possano trovare una modalità di convivenza pacifica e rispettosa. Ancora si impegna perchè abbiano il diritto all’alfabetizzazione, all’istruzione dei figli. Costituisce un sindacato per formare la coscienza sociale degli estrattori di caucciù e per ottenere condizioni di lavoro più umane. Infine, consapevole che lo sfruttamento illimitato del caucciù e il disboscamento non regolamentato delle foreste amazzoniche porteranno a danni ecologici incalcolabili, lotta per la salvaguardia del patrimonio ambientale amazzonico. Per questo suo impegno venne fucilato sulla porta di casa il 22 Dicembre 1988. Con la sua morte, Chico Mendes testimonia al mondo intero che non si può parlare di giustizia se terre come la sua, ottava potenza industriale del mondo, non riescono ad affermare la giustizia sociale al loro interno, e consentono che pochi privilegiati neghino un futuro alle moltitudini.

 

Il dramma che ha sconvolto il mondo.

Il dramma che ha sconvolto il mondo

Lerner è consapevole, naturalmente, di gettare sul tavolo questioni che spalancano abissi. Come impostare uno schema di risposta, quando non sono concessi che "cinquemila caratteri, spazi inclusi", secondo il conteggio di Word?

Ecco, comunque, qualche appunto telegrafico, per far almeno intravedere il punto di vista degli "adoratori del patibolo" (così, tra orrore e disprezzo, i musulmani, per i quali niente è più blasfemo di un Dio che ha un Figlio; e un Figlio che finisce in quel modo).

I cristiani sono tali perché hanno dato retta a un gruppo di ebrei, stando ai quali un predicatore ambulante aveva sollevato delle speranze messianiche. Tutto sembrava finito nella maniera peggiore, su quella croce che i romani riservavano agli schiavi e che suscitava in Israele uno sgomento religioso: Maledetto colui che è appeso al legno», Deuteronomio.

Stando comunque a quegli ebrei un paio di notti dopo il seppellimento, mentre se ne stavano nascosti in attesa di tornare, furtivi e delusi, alle loro case, era stato trovato vuoto il sepolcro del Crocifisso. Questi, anzi, era riapparso, per quaranta giorni aveva mangiato in loro compagnia ed era poi stato «elevato al Cielo sotto i loro occhi».

Così la storia che quegli ebrei annunciarono prima ai confratelli nella diaspora (e molti si convinsero, allora e dopo: verso il 250, Origene valuta in 150.000 i soli israeliti di conversione recente) e poi ai pagani, con il risultato che conosciamo. Cuore e base della nuova fede era un dramma in tre atti - passione, morte, risurrezione - assolutamente inatteso per la prospettiva ebraica.

L’ultima cosa che un israelita, di ogni scuola, si aspettava dal Messia è che finisse su una croce e poi risorgesse: rifiutando, per giunta, di apparire in gloria a coloro che gli avevano inflitto una morte vergognosa e limitandosi a dare prove del suo trionfo sulla morte ai suoi pochi e pavidi seguaci. I Vangeli ci riportano la rivolta di quei discepoli - e la dura replica del Maestro - ad ogni accenno non solo di una fine, ma di una fine tragica.

Il maggior motivo di credibilità dei racconti di resurrezione sta proprio in questo: soltanto uno sconvolgente prodigio divino poteva tirar fuori quei pii circoncisi dalla disperata delusione in cui li aveva immersi la vista del patibolo. Per il fariseo Saulo-Paolo, la croce su cui finisce il Figlio di Dio è «scandalo e follia» per tutti, ma soprattutto per chi, come gli ebrei, attendeva un Unto di Iahvè vincitore, un trionfatore al contempo religioso e politico.

Soltanto davanti all'evidenza ci si dovette rassegnare al fatto che Egli stesso aveva voluto che andasse così. Quella giudeo-cristiana non a caso definisce se stessa come una "rivelazione": non gli uomini, ma Dio stesso ne ha stabilito il copione. Al centro di esso sta un patibolo che nessun ebreo avrebbe mai immaginato né tanto meno auspicato e che è stato duro accettare.

Lo sarà anche per i non ebrei: il graffito del Palatino mostra un cristiano inginocchiato davanti a un asino crocifisso. La croce di Ercolano era coperta da uno sportello, probabilmente per stornare i sarcasmi. Per sottrarsi a questi, ma anche alle persecuzioni, si alludeva al simbolo cristiano con aratri, timoni, alberi di nave.

Ma, non appena fu possibile, prese il suo posto in pubblico quella croce che addirittura da prima del 79 (distruzione di Pompei; dove il «Quadrato magico ne è un richiamo nascosto ma preciso) era l'emblema cristiano.

Per la rivelazione vale il prendere o lasciare: a tutti piacerebbe qualcosa di, come dire?, più "simpatico" che un segno che ricorda un simile patibolo E c'è da capire il giovane Carducci con l'invettiva a Gesù: «Ma passione e morte sono il preambolo,. ciò che conta è il lieto fine, la resurrezione». La Chiesa ne è talmente consapevole che la Pasqua è il cardine dell'anno liturgico, ogni domenica non ne è che una rievocazione. E il suo cuore è l'eucaristia, vera carne e vero sangue del crocifisso sì, ma risorto.

La devozione popolare? Il suo esercizio più diffuso, quello che da secoli nutre i credenti, è il rosario: 5 misteri dolorosi ma 10 tra gaudiosi e gloriosi. La cristianità conosceva la penitenza ma anche la festa; il digiuno ma anche la baldoria.

La croce non è affatto, nella prospettiva cristiana, il segno di un "dolorismo": ogni credente sa che quell'uomo tormentato poco dopo sarà glorificato. Ma sa anche che solo un Dio che ha preso su di sé un tale cumulo di dolori noni toccato dalla bestemmia dell'uomo sofferente verso Chi, creato il mondo, se ne sta impassibile sulle sue nuvole, permettendo quel male da cui Egli non è toccato.

Dal "Corriere" 13 aprile 2001

 

Il prete - obiettore ante litteram

Don Lorenzo Milani

Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia ricca di cultura oltre che di denaro. Quel "Comparetti" gli viene da un bisnonno paterno: Domenico, filologo tra i maggiori dell’Ottocento, senatore del regno in riconoscimento dei meriti scientifici, morto nel 1927 a 92 anni (Lorenzo ne aveva 4) senza discendenti maschi. Ai nipoti, figli dell’unica figlia, e ai pronipoti, viene assegnato per legge anche il suo cognome: l’Italia non vuole che la morte ne cancelli la memoria.

Intellettuali e scienziati gli ascendenti paterni, romani d’origine, ma da un paio di generazioni trapiantati in Toscana, laici con punte anticlericali, come spesso i sudditi dello stato pontificio.Intellettuali e scienziati anche fra gli ascendenti materni, ebrei boemi trapiantati nella Trieste asburgica: i Weiss (Edoardo Weiss, cugino di Lorenzo, fra i primi allievi di Sigmund Freud, è il fondatore, dopo la grande guerra, dell’Associazione italiana di psicoanalisi).In entrambi le famiglie, titoli, incarichi accademici, riconoscimenti pubblici toccano soltanto agli uomini, per quello stesso (mal) costume che trasmette il cognome soltanto ai maschi. Ma in entrambe le famiglie le donne non sono affatto diverse dai loro padri, fratelli, mariti e figli, quanto a livello, impegno, rigore culturale e civile.Lorenzo, secondo dei tre figli di Albano Milani e Alice Weiss, ha 7 anni quando, nel 1930, viene portato dai genitori, col fratello maggiore e la sorellina, a Milano. Lì completa le elementari e compie l’intero ciclo di studi, fino alla maturità classica, conseguita senza esame di stato (abolito per via della guerra) il 21 maggio del 1941, sei giorni prima di compiere i 18 anni.

Con sorpresa e rammarico dei suoi, rifiuta di andare all’università: vuol fare il pittore. Il padre lo manda allora alla scuola di un bravo artista tedesco che da anni vive e lavora a Firenze: Hans Joaschim Staude. Ci resta pochi mesi, ma ne subisce un’influenza fortissima, non tanto pittorica quanto culturale ed etica; e gli rimarrà grato e affezionato sempre, anche se il maestro, divenutogli amico, non gli nasconderà incomprensione per la sua scelta cattolica e addirittura disappunto per la sua decisione di farsi prete.

Nell’autunno dello stesso anno 1941, rientrato a Milano, si iscrive all’Accademia di Brera, e lavora con foga nello studio che il padre gli ha preso in affitto in una fra le zone residenziali più eleganti della città: piazza Fiume (oggi piazza della Repubblica). Ma dopo i primi pesanti bombardamenti aerei anglo-americani, tra la fine del ’42 e l’inizio dell’anno successivo, la famiglia si ritrasferisce a Firenze. Di nuovo Lorenzo la segue. Quasi subito si converte, e l’8 novembre del ’43 va in seminario.

Ordinato sacerdote il 13 luglio del 1947, dopo un brevissimo incarico nella parrocchia di Montespertoli, don Lorenzo Milani viene mandato capellano a San Donato di Calenzano, in aiuto del vecchio parroco. Qui scopre due realtà assolutamente nuove per lui, e inaspettate: la povertà, materiale e culturale; la mancata, o perduta, cristianizzazione. Si trova così a dover impostare e risolvere un problema cui gli studi teorici del seminario non l’hanno preparato: come fare concretamente il proprio mestiere di prete secolare, in coerenza col Vangelo e con la propria scelta esistenziale e di fede.

Dopo un breve annaspo in vari tentativi di approccio copiati dalle parrocchie vicine e che presto gli si rivelano sbagliati, decide di impiantare in canonica una scuola serale aperta a tutti i giovani, senza discriminazioni politiche o partitiche purché di estrazione popolare e operaia.Con questa scuola, di giorno in giorno più intensa, appassionata e appassionante, ma non soltanto con essa, in breve tempo si tira addosso prima la diffidenza poi l’aperta ostilità dei parrocchiani che contano, benpensanti moderati, democristiani in testa; e di molti altri preti della zona.

Ha presto inizio così una campagna prima di opposizione sorda, poi di diffamazione aperta che dopo sette anni, nel dicembre del 1954, culmina in una "promozione": la nomina a priore di Sant’Andrea di Barbiana, parrocchia nel comune di Vicchio del Mugello: un centinaio d’anime in una manciata di case sparpagliate sulle pendici del monte Giovi, senza strada, senz’acqua, senza luce. La curia, rimangiandosi la decisione di chiusura annunciata, decide di tenerla aperta per esiliarci lui.Già a San Donato, Don Milani ha fatto una scelta di povertà austera, che a Barbina si radicalizza, fino al rifiuto di gestire il podere costituente il "beneficio" della parrocchia. Campa della sola "congrua": il magro stipendio statale assegnato,col concordato del 1929, ai preti in cura d’anime.

Dalla famiglia, e dagli amici vecchi e nuovi, accetta soltanto, e all’occorrenza sollecita, aiuti per il lavoro della scuola e per la salute dei suoi ragazzi, spesso minata dalla miseria secolare e dalla denutrizione ancestrale della gente della montagna: la guerra è finita da una decina d’anni appena, il "miracolo economico" dell’Italia non arriva ancora in vetta all’Appennino. Gli servono libri, enciclopedie, atlanti e carte geografiche, dischi e giradischi a molla o a pile, macchine per scrivere e calcolatrici, cancelleria, utensili. Ha bisogno, gratis, di medicine, vitamine, ricostituenti, analisi ed esami medici, cure dentarie. Denari, ne chiede per i viaggi all’estero, quando d’estate manda i ragazzi, a turno, a imparare le lingue e la vita degli altri popoli. Ma unicamente i denari per il biglietto meno costoso: a mantenersi devono provvedere da soli, lavorando.

Nel 1958, in primavera, esce Esperienze pastorali, il suo primo e unico libro. Del quale, a dicembre, il santo offizio ordina il ritiro dal commercio e vieta ristampe a traduzioni per motivi di opportunità, non essendo riuscito a trovarci, nonostante le puntigliose ricerche, errori di dottrina o inadempienze disciplinari.

Nel 1960 avverte i primi sintomi del morbo di Hodgkin.Nel 1965 replica pubblicamente agli insulti rivolti da un gruppo di cappellani militari agli obbiettori di coscienza, e si guadagna un rinvio a giudizio per vilipendio e apologia di reato.

Impossibilitato dalla malattia a presentarsi in tribunale, scrive la propria autodifesa, resa pubblica alla prima udienza del processo: è la Lettera ai giudici.

Assolto con formula piena, resta imputato, per il ricorso del pubblico ministero. Ma non arriva a ricevere la condanna d’appello, che colpirà il suo testo e il direttore del settimanale su cui è comparso: il 26 giugno 1967, trenta giorni dopo aver compiuto 44 anni, muore a Firenze, in casa della madre. Da sei settimane è uscita Lettera a una professoressa, il libro scritto dai ragazzi della scuola di Barbiana sotto la sua regia "da povero vecchio moribondo".

Bibliografia
- Esperienze pastorali, Don Lorenzo Milani - Libreria Editrice Fiorentina;

- Lettera a una professoressa, Scuola di Barbiana - Libreria Editrice Fiorentina;

- L’obbedienza non è più una virtù, documenti del processo di Don L. Milani - Libreria Editrice Fiorentina;

- Dalla parte dell’ultimo, vita del prete Lorenzo Milani, Neera Fallacci Milano libri Edizioni;

 

- Don Milani! Chi era costui?, Giorgio Pecorini Baldini & Castodi;

 

- I Care ancora, inediti di Lorenzo Milani EMI;

 

- L’insegnamento di Don Lorenzo Milani, Ernesto Calducci Laterza

 

 

Viceparroco nel quartiere popolare di S.Donato a Calenzano, fin dai suoi primi anni di ministero lavora con gli operai e i più poveri sempre attento a prendere le loro difese. E’ testimone di profonda radicalità evangelica e di una pastorale impegnata nella promozione umana. Per questo scrive il libro "Esperienze Pastorali" che gli costa il trasferimento-esilio nello sperduto paesino di Barbiana. Qui dedica tutte le sue forze all’educazione dei ragazzi contadini della scuola popolare che crea nei locali della canonica. Con i suoi ragazzi scrive una lettera in difesa degli obiettori di coscienza, calunniati da un gruppo di cappellani militari toscani in congedo. Per questa lettera viene processato più volte e condannato nel 1968, dopo la sua morte, avvenuta il 26 Giugno 1967. In "Lettere a una professoressa", un libro scritto con i suoi allievi, don Milani descrive invece la metodologia educativa da lui usata a Barbiana. Viene pubblicata postuma ed è una chiara denuncia dei metodi educativi della scuola che emargina i più poveri.

 

Testimonianza del Card. Francois Xavier Nguyen van Thuan

 

che fu Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e che trascorse 13 anni in prigione dei quali 9 anni in isolamento.

 

Il 15 Agosto 1975, a Hochiminhville (già Saìgon) sono stato invitato a recarmi al Palazzo della Presidenza, il «Palazzo dell’Indipendenza». Là sono stato arrestato. Erano le ore 14… Inizia così per me una nuova e specialissima tappa della mia lunga avventura. Sono partito da casa vestito con la tonaca, con un rosario in tasca. Durante il viaggio verso la prigione, mi rendo conto che sto perdendo tutto. Non mi resta che affidarmi alla Provvidenza di Dio. Pur in mezzo a tanta ansia, sento una grande gioia: "Oggi è la Festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo». Da quel momento, è vietato chiamarmi «vescovo, padre ... ». Sono il signor van Thuan. Non posso più portare nessun segno della mia dignità. Senza preavviso, mi viene chiesto, anche da parte di Dio, un ritorno all'essenziale. Nello choc di questa nuova situazione, a faccia a faccia con Dio, sento rivolgermi da Gesù la domanda: «Simon, quid dicis de me? - Simone, chi dici che io sia?» (cf. Mt16, 15). Nella prigione, i miei compagni, non cattolici, vogliono capire «le ragioni della mia speranza». Mi chiedono, in tutta amicizia e con buona intenzione: «Perché lei ha abbandonato tutto: famiglia, potere, ricchezze, per seguire Gesù? Ci deve essere un motivo molto speciale!». I miei carcerieri invece mi chiedono: «Esiste veramente Dio? Gesù? È una superstizione? È un'invenzione della classe degli oppressori?». Allora, bisogna dare spiegazioni, in modo comprensibile, ... con le parole semplici del Vangelo. Un giorno, ho trovato un modo particolare dì spiegarmi. Ho detto loro: «Ho abbandonato ogni cosa per seguire Gesù, perché amo i difetti di Gesù».

 

Primo difetto: Gesù non ha buona memoria

 

Sulla croce, durante la sua agonia, Gesù udì la voce del ladrone alla sua destra: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Le 23, 42). Se fossi stato io, gli avrei risposto: «Non ti dimenticherò, ma i tuoi crimini devono essere espiati, almeno con venti anni di purgatorio».

 

Invece Gesù gli risponde: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Le-23, 43). Gesù dimentica tutti i peccati di quell'uomo.

 

Analoga cosa avviene con la peccatrice che, piangendo, gli ha cosparso di profumo i piedi: Gesù non le chiede nulla sul suo passato scandaloso, ma dice semplicemente: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato» (Lc 7,47). Il fariseo che aveva invitato Gesù, vedendo quella scena, aveva pensato tra sé: "Se costui fosse proprio un profeta, saprebbe che donna è colei che lo tocca: è una prostituta." Come si fa a non distinguere una prostituta da una donna normale? Questa è ingenuità, diremmo noi.

 

La parabola del figliol prodigo ci racconta come questi, sulla via del ritorno alla casa paterna, prepara in cuor suo quello che dirà: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni» (Lc. 15, 16-19). Ma quando il padre lo vede arrivare da lontano, il padre che ha già dimenticato tutto, gli corre incontro, lo abbraccia, non gli lascia il tempo di pronunciare quel suo discorso e rivolto ai servi che rimangono sbigottiti: «Portate qui il vestito più bello e rivestitelo; mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita» (Le 15, 22-24).

 

Gesù non ha una memoria come la mia; Gesù non solo perdona tutto e perdona ogni persona, ma ci ama dimenticando pure che ci ha perdonati.

 

Secondo difetto: Gesù non conosce la matematica

 

Se Gesù avesse sostenuto un esame di matematica, forse sarebbe stato bocciato. Lo dimostra la parabola della pecorella smarrita. Un pastore aveva cento pecore .. Una di esse si smarrisce e senza indugi egli va a cercarla, lasciando le altre novantanove nel deserto. Ritrovatala, carica la povera creatura sulle sue spalle (cf Le 15, 4-7). Per Gesù, uno equivale a novantanove, e forse anche di più! Chi accetterebbe mai questo? Ma la sua misericordia si estende di generazione in generazione ... Quando si tratta di salvare una pecora smarrita, Gesù non si lascia scoraggiare da nessun rischio, da nessuna fatica. Contempliamo i suoi gesti pieni di compassione, quando siede presso il pozzo di Giacobbe e dialoga con la Samaritana. Le disse Gesù: «Dammi da bere» ... E la Samaritana: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono. una donna samaritana?» ... Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva ... Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». (cfr. Gv.4,7b-15). Gesù, per un solo sorso di acqua fresca, ti ricambia in modo incommensurabile.

 

E quando volle far sosta nella casa di Zaccheo, un capo degli esattori di Gerico che si era nascosto tra il fogliame del sicomoro perché desiderava tanto vederlo, alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua».

 

In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (cfr. Lc 19,7-10). Quale semplicità che non conosce calcolo, quale amore per i peccatori! Gesù insegna a Zaccheo a fare i conti come li sa fare lui e Zaccheo, per la prima volta va fortemente in perdita, una perdita che origina il sentirsi però amato a dismisura da Gesù.

 

Terzo difetto: Gesù non conosce la logica

Una donna che ha dieci dracme ne perde una. Quindi, accende la lucerna per cercarla. Quando la trova, chiama le sue vicine e dice loro: «Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perduta» (cfr Lc 15, 8-10). È davvero illogico disturbare le sue amiche solo per una dracma! E' illogico poi far festa, per la gioia del ritrovamento, in modo così esagerato! Lei infatti, invitando le sue amiche, spende ben più di una dracma! Neanche dieci dracme sarebbero sufficienti a coprire la spesa Dice Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». E Gesù, a conclusione di quella parabola, svela la strana logica del suo cuore: «Così vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15, 10).

 

Anche il primato dato a Pietro va oltre ad ogni nostra possibile logica. Come fa Gesù a fidarsi di uno che lo ha tradito e rinnegato tre volte dopo avergli giurato e spergiurato di non essere come gli altri e, che per Lui, era pronto a tutto, anche a morire. Eppure «Gesù disse a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?. Certo, Signore, tu lo sai che ti amo. E Gesù: Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami?. Certo, Signore, tu lo sai che ti amo. E Gesù: «Pasci le mie pecorelle. Gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni, mi ami?. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: Signore, tu sai, tutto; tu sai che ti amo. Gli rispose Gesù: Pasci le mie pecorelle ... E detto questo aggiunse: Seguimi». Gesù non smette mai e poi mai di fidarsi di chi sbaglia anche gravemente. Gesù ritorna sempre a scommettere su chi, a nostro giudizio, non lo meriterebbe affatto. (Gv 21, 15-20).

 

Quarto difetto: Gesù è un avventuriero

 

Chi cura la pubblicità di una società o si presenta come candidato alle elezioni prepara un programma ben preciso, con molte promesse. Nulla di simile per Gesù. La sua propaganda, giudicata con l'occhio umano, è votata al fallimento.

 

Egli promette, a chi lo segue, processi e persecuzioni. Ai suoi apostoli, che hanno lasciato ogni cosa per lui, non assicura né il vitto né l'alloggio, ma solo la condivisione del suo stesso modo di vivere.

 

Ad uno scriba desideroso di arruolarsi fra i suoi, risponde: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20)

 

Il brano evangelico delle beatitudini, vero «autoritratto» di Gesù avventuriero dell'amore del Padre e dei fratelli, è dall'inizio alla fine un paradosso, anche se siamo abituati ad ascoltarlo: «Beati i poveri in spirito..., beati gli afflitti... , beati i perseguitati per causa della giustizia... , beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,3-12).

 

Un giorno Gesù visto che molti dei suoi discepoli lo avevano abbandonato, disse ai suoi apostoli: "Volete andarvene anche voi?" Essi però risposero: "Da chi andremo! Tu solo hai parole di vita eterna."

 

Questo dissero perché avevano fiducia in quell'avventuriero.

 

Da 2000 anni, e fino alla fine del mondo, non si esaurisce la schiera di coloro che hanno seguito Gesù. Basta guardare i santi di tutti i tempi. Molti di loro fanno parte di quella benedetta associazione di avventurieri che sono considerati, secondo il giudizio umano, degli incoscienti irrecuperabili. Chi ama l'uomo e giudica secondo Dio, sa che i santi ricalcano le orme di Gesù e che sono dei sapienti avventurieri della provvidenza perché, ricchi del dono della speranza, aprono orizzonti nuovi di vita e di amore vicendevole.

 

Quinto difetto: Gesù non si intende né di finanze, né di economia

Ricordiamo la parabola degli operai della vigna: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.

 

Uscito poi verso le nove... e verso mezzogiorno... e verso le tre... e ancora verso le cinque... quelli che trovò, li mandò nella sua vigna».

 

La sera, incominciando dagli ultimi per finire con i primi, pagò un denaro a tutti quanti (cf. Mt 20, 1-16).

 

Se Gesù fosse nominato amministratore di una comunità o direttore di un'impresa, queste istituzioni fallirebbero e andrebbero in bancarotta. Come si fa a pagare a chi inizia a lavorare alle cinque del pomeriggio uno stipendio uguale a chi lavora sin dal mattino?

 

Si tratta di una svista? O Gesù ha fatto male i conti?

 

No! Lo fa di proposito, perché -spiega-: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».

 

Gesù premia sempre la buona volontà di metterci a sua disposizione e non soltanto gli sforzi compiuti, la fatica sopportata e i risultati ottenuti. Gesù gioca in borsa investendo nella bontà, nella misericordia e nell'amore, e non nei soldi e negli interessi. Gesù scommette non sul dominare la concorrenza come fanno gli amministratori di questo mondo, ma sul successo dell'accoglienza  degli ultimi desiderosi dell'attenzione di qualcuno che li valorizzi pienamente.

 

Gesù sa perdere senza rimpianto le ricchezze della terra e ci dice: "Accumulate tesori nel cielo dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano e non rubano. Perché là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. (Mt 6,20-21).

 

Gesù sa bene che sono le persone che vivono nella libertà dei figli di Dio quelle che accrescono le finanze e l'economia del Regno dei cieli. Domandiamoci: perché Gesù ha questi difetti? Perché è Amore (cfr. 1 Gv 4,16)

 

L'amore autentico non ragiona, non misura, non innalza barriere, non calcola, non ricorda le offese e non pone condizioni. Gesù agisce sempre per amore, ... un amore grande, infinito, divino, un amore che arriva fino alla pazzia e che mette in crisi le nostre misure umane.

 

Dice ancora il Card. Francois Xavier Nguyen van Thuan : Quando medito su questo amore, il mio cuore è colmo di felicità e di pace.

 

Spero che, al termine della mia vita, il Signore mi riceverà come il più piccolo dei lavoratori della sua vigna e io canterò la sua misericordia per tutta l'eternità, perennemente stupito delle meraviglie che egli riserva ai suoi eletti.

 

Sarò felice di vedere Gesù con i suoi «difetti» che sono, grazie a Dio, incorreggibili.

 

I santi sono esperti di questo sconfinato amore. Spesso nella mia vita ho pregato suor Faustina Kowalska di farmi capire la misericordia di Dio.

 

E quando ho visitato Paray-le-Monial sono rimasto scosso dalle parole che Gesù ha rivolto a santa Margherita Maria Alacoque: «Se tu credi, vedrai la potenza del mio Cuore». Contempliamo insieme il mistero di questo amore misericordioso.

 

Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine: «Poco meno degli angeli lo ha fatto» (Sal. 6; Eb 2,7). «Ha dato ad essi l'immortalità, la verità, la giustizia ... ».

 

Fin dal suo nascere, l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio; da lui, sempre per amore, è conservato; né vive pienamente secondo verità, se non lo riconosce liberamente e se non si affida a I suo Creatore» (Gaudium et Spes 19)

 

Ma l'uomo, nella sua libertà, può rifiutare la grandezza conferitagli dal disegno di Dio; può cercare di realizzarsi secondo un proprio disegno, diverso da quel futuro che Dio promette; può cercare di garantirsi il proprio avvenire, cercando lontano da Dio il suo successo. Cade così nella sua miseria. Non spera più in Dio ma segue le false speranze.

 

Dio non cessa di chiamare gli uomini alla vera speranza che è Gesù, unico Salvatore, luce della verità, remissione dei peccati, restaurazione della libertà di fronte alle forze del male, capacità nuova di amare, partecipazione alla natura divina, vittoria sulla morte mediante la risurrezione corporea, vita eterna.

 

Gesù viene incontro alla nostra miseria umana in tutti gli ambiti del nostro esistere: privato e pubblico, culturale e sociale, politico ed economico ...

 

Tutti e tutto gli interessa dell'uomo.

 

Gesù ci ama tanto. Gesù sa valorizzare il meglio di ogni uomo perché ogni uomo sia utile al mondo. Di Gesù sorgente di speranza nel giardino del mondo, così scrive il poeta francese, Charles Péguy: «Ci si chiede: ma come è possibile che questa fontana di Speranza scorra eternamente, eternamente giovane, fresca, viva…

 

Dio dice: brava gente, ciò non è poi così difficile… Se fosse con acqua pura che la Speranza avesse voluto fare fonti pure, non ne avrebbe mai trovata abbastanza in tutta la mia creazione.

 

Ma è proprio con le acque cattive che essa fa le sue fonti di acqua pura. Ed è per questo che non le manca mai acqua. Ma è anche per questo che essa è la Speranza ... Questo è il più bel segreto che esiste nel giardino del mondo».

 

Ci sono stati svelati i difetti di Gesù, difetti che Lui ha scelto come stile di vita; difetti che lasciano perplessi non solo gli increduli ma anche noi che ci professiamo suoi discepoli.

 

Oggi Gesù, davanti al quale restiamo estasiati e commossi, ritorna a chiedere a ciascuno di noi: "e tu sai chi sono io?" Se lo sai, perché non vivi amando come io amo? Quanto ancora devo attendere? Se mi vuoi bene, condividi con me i miei difetti e l'amore in te sarà puro; confessa chi sono e la tua testimonianza è vera. Solo così tu puoi essere, come me, sorgente di speranza nel giardino del mondo!

 

L'economista che ispirò al Papa la Campagna del 2000 per la remissione del debito.

 

Roberto Panizza è ordinario di Economia internazionale presso l'Università di Torino. Ha insegnato presso prestigiose università straniere, tra le quali la New York University. Ha partecipato a diverse missioni internazionali per l'ONU e il Ministero degli Esteri italiano. E' stato presidente di un istituto bancario internazionale con sede a New York.

 

GLOBALIZZAZIONE: VINCITORI E VINTI

INCONTRO CON IL PROF. ROBERTO PANIZZA

 

Ordinario di Economia Politica a Torino, gia’ docente ad Harvard, alla New York University, ideatore della Campagna per la remissione del debito ai Paesi poveri lanciata dal Papa e dai Vescovi italiani, già consulente di Gorbaciov e attualmente consulente di vari Paesi del Sud del mondo.

 

La relazione non è stata rivista dall’autore

 

Presentazione di don Armando Cattaneo

Un anno fa mi è capitato per caso un fascicolo su cui un certo Roberto Panizza aveva fatto uno studio di economia politica. L’ho letto, mi sono appassionato e mi son detto "Questo è così chiaro che l’economia la sa davvero". Perché fin quando ero in seminario, un mio professore molto bravo, Enrico Galbiati, grandissimo biblista, ci diceva: guardate che i professori insegnano tutto, anche quello che non sanno, all’inizio. Poi quando diventano bravi insegnano tutto quello che sanno. Quando e se diventano veri maestri insegnano quello che serve e lo fanno capire a tutti. "Dunque, se ho capito pure io, è segno che questo è un maestro". Così è successo che ci siamo messi in contatto.

 

Il Prof. Panizza è un vulcano continuamente in eruzione, ogni tanto ci si sentiva: "Hai visto quella notizia sui giornali? Putin viene rieletto ma viene criticato dagli Americani per aver influenzato scorrettamente gli elettori. E lui di rimando: con il presidente che avete voi, eletto in quel modo scandaloso, venite a fare le pulci a me?! E’ una bomba? No?

 

 

 

L'artista

 

Scultore e architetto argentino, negli anni ‘60 entra in contatto con i movimenti pacifisti che in Argentina operano in favore della giustizia sociale. Per questo, negli anni ‘70, quando il suo paese è scosso dal susseguirsi di giunte militari, artefici di massacri, torture e sparizioni, Perez Esquivel partecipa ai digiuni di protesta contro la violenza dei Generali. Fonda nel 1973 il movimento "Servizio per l’azione nonviolenta" e nel 1974 diventa coordinatore del SERPAJ (Servicio Paz y Juisticia, IFOR/MIR argentino), Un movimento internazionale ed economico nonviolento, che si batte per il rispetto dei diritti civili. Organizza seminari di coscientizzazione nonviolenta alla giustizia e alla pace accettando le conseguenze del suo impegno: per un anno viene perseguitato quotidianamente con pestaggi e torture. Nel 1977 viene messo in carcere da cui esce grazie ai comitati internazionali di solidarietà che aveva contribuito a creare. Instancabile oratore risponde a tutti gli inviti che gli vengono rivolti coll’intento di far sentire la voce sofferta di tutta l’America Latina. Nel 1980 riceve il premio Nobel per la Pace, perchè alla lotta contro le ingiustizie unisce la riflessione che lo porta acredere che lo sviluppo dei popoli non è riducibile alla dimensione economica, ma è anche un fatto sociale, culturale, religioso e che quindi ogni processo di liberazione deve coinvolgere tutti questi livelli.

 

 

 

Lo Statista Ebreo amico della pace.

 

Nasce nel 1922 a Gerusalemme, per definizione "città della pace", mentre si sperimenta la difficile convivenza fra culture e religioni diverse. Rabin ha condotto la sua vita da protagonista della storia di Israele. Prima ambasciatore negli Stati Uniti, poi ministro del governo Golda Meir, nel 1973. Un anno dopo è Primo Ministro, dal 1984 è per sei anni ministro della difesa. Nel 1989, quando ancora infuria l’Intifada palestinese, pubblica un programma in cui descrive le eventuali fasi negoziali di un accordo con i palestinesi. Nel 1992 vince le elezioni e nomina ministro degli esteri Shimon Peres. Da allora ha inizio la via della pace che porta il 13 Settembre 1993 alla prima stretta di mano con Arafat e, il 28 Settembre 1994, al secondo accordo di Oslo. Tredici mesi più tardi, il 4 Novembre 1995, Ygal Amir, un giovane ebreo ultranazionalista, lo uccide al termine di un comizio pacifista nella piazza dei Re d’Israele a Tel Aviv. Si scopre così che è nelle file di Israele che cova un odio profondo. E’ nei territori della West Bank, la riva occidentale del Giordano, che stanno passando sotto il controllo dell’Autonomia palestinese, che i coloni irriducibili si alimentano di odio nei confronti di Rabin. E’ nelle comunità religiose, ultranazionalistiche, che crescono giovani come l’uccisore del Primo Ministro.


L’Africa in soccorso dell’Occidente

In un momento di intenso dibattito sui temi legati al fenomeno dell’immigrazione, questo libro costituisce un prezioso sussidio per condurre la discussione su binari percorribili

Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, ucciso il 15 ottobre 1987, diceva: «Dobbiamo accettare di vivere da africani. Il solo modo di vivere liberi è di vivere da africani. Costruire basandoci sulle nostre forze, quelle degli uomini e delle donne del continente». Vanno in questa direzione «aiutare l’Africa ad aiutarsi», per usare un’espressione ormai corrente molte iniziative che si sviluppano nel nostro Paese per la cura dei rapporti tra il Continente africano e lOccidente, quasi in un voler mettere a nudo i mali e le reciproche responsabilità dei continenti.

 

 

È inusuale l’approccio al problema applicato da Anne-Cécile Robert nel suo libro L’Africa in soccorso dell’Occidente, pubblicato da Emi, l’Editrice missionaria italiana. Dice all’Occidente che per imparare nuovamente l’umanesimo, occorre osare in primo luogo, in tutta umiltà, una ridefinizione dello sviluppo…; ricorda poi agli africani ciò che essi tendono così spesso a dimenticare: che nel mondo mondializzato ogni nazione ha tanto da ricevere quanto da dare; che la povertà può anche essere la ricchezza dei popoli. Viene alla mente l’esperienza romana: utilizzando lo strumento della cooperazione decentrata, in Mozambico, nella periferia della capitale, è sorta una scuola intitolata a Roma: è il risultato dell’opera di studenti di alcuni licei romani che hanno raccolto i fondi necessari con diverse iniziative sociali; la stessa cosa è avvenuta  per la costruzione di un asilo nido e di una scuola materna. Progetti analoghi si stanno sviluppando in altri Paesi africani.

 

«Se le società africane e le loro élite potessero prendere coscienza della fecondità di questa differenza di valori e accettassero di impadronirsene, invece di calarsi nel modello dominante, renderebbero un servizio all’intero pianeta. Se l’Occidente accettasse  un’Africa maggiorenne invece di volerla sempre mantenere in sua balia, in un modo o nell’altro, allora il corso del mondo potrebbe risultarne cambiato. Il mondo ha bisogno di un’Africa soggetto e non più oggetto. In questo senso un vero incontro, fecondo, potrebbe avere luogo a vantaggio di tutti».

 

L’orgoglio dell’Africa esce dalle pagine di Anne-Cécile Robert con grande evidenza. In un momento di intenso dibattito sui molteplici temi legati al fenomeno dell’immigrazione, credo che questo libro costituisca un prezioso sussidio per condurre la discussione su binari forse inusuali, ma  percorribili.

 

Le pagine conclusive sono una difesa appassionata della diversità del mondo e si aprono con significative parole di John F. Kennedy che efficacemente sintetizzano il senso del volume: «Tutti i paesi hanno le loro tradizioni, le loro idee, le loro ambizioni. Non li ricreeremo a nostra immagine».

 

Un Vescovo contro i prepotenti.

 

Vescovo di S. Salvador (Centro America) durante il suo episcopato viene fortemente scosso e convertito ad un impegno a favore degli ultimi dall’assassinio del Padre gesuita Rutilio Grande. Ciò comporta un radicale mutamento della sua pastorale nella quale fa una forte opzione per gli ultimi denunciando dall’altare e dalla radio della diocesi i delitti commessi dal potere politico. Dall’altare, pochi giorni prima di essere assassinato, pronuncia un forte appello a disobbedire all’ordine ingiusto di uccidere. Don Romero invita i soldati, anch’essi figli del popolo, a non uccidere altri figli del popolo. Il 24 Marzo, mentre celebra la Messa, viene colpito a morte da un mandante del potere politico.

 

Ultima Omelia

Il 24 marzo 1980, Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, cadeva assassinato sull'altare sotto i colpi degli squadroni della morte, sicari di un'estrema destra forte e spietata.

 

Lo ricordiamo con la sua stessa voce, riportando alcuni brani delle sue omelie tratti da 'Mosaico di Pace' e 'Adista'.

 

"Quando assassinarono il mio braccio destro, il padre Rutilio Grande (1977), i campesinos rimasero orfani del loro 'padre' e del loro più strenuo difensore. Fu durante la veglia di preghiera davanti alle spoglie dell'eroico gesuita, immolatosi per i poveri, che io capii che ora toccava a me prenderne il posto, ben sapendo che così anch'io mi sarei giocata la vita".

 

"Non possiamo separare la Parola di Dio dalla realtà storica in cui si pronuncia, altrimenti la Bibbia sarebbe un libro devoto, come un libro della nostra biblioteca; ma è parola di Dio perchè anima, illumina,contrasta, ripudia, elogia quanto accade oggi in questa società".

 

"Il profeta denuncia anche i peccati interni della Chiesa. Perché non farlo se vescovi, papa, sacerdoti, nunzii, religiosi, membri dei collegi cattolici sono esseri umani, e noi esseri umani siamo peccatori e abbiamo bisogno di qualcuno che ci serva da profeta per chiamarci alla conversione?

 

Sarebbe molto triste una Chiesa che condanna solamente, una Chiesa che vede il peccato solo negli altri e non vede la trave che è nel suo occhio; non è l'autentica Chiesa di Cristo".

 

"La civiltà dell'amore non è sentimentalismo, è la giutizia e la verità. Una civiltà dell'amore che non esigesse la giustizia per gli uomini non sarebbe vera civilizzazione, non segnerebbe la vera convivenza tra gli uomini. Per questo è una caricatura dell'amore quando si vuole accomodare con l'elemosina ciò che si deve per giustizia, accomodare con apparenze di beneficenza quando si sta mancando sul piano della giustizia sociale. Il vero amore comincia con l'esigere, nelle realzioni di coloro che si amano, il giusto".

 

"Quando parliamo della Chiesa dei poveri non stiamo pensando a una dialettica marxista, come se l'altra fosse la Chiesa dei ricchi. Ciò che stiamo dicendo è che Cristo, ispirato dallo Spirito di Dio, disse: 'Mi ha inviato il Signore per evangelizzare i poveri', per dirci che per eascoltarlo è necessario farci poveri".

 

"Fratelli (soldati), siete del nostro stesso popolo! Ammazzate i vostri fratelli campesinos! Davanti all'ordine di uccidere dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio:Non uccidere!. Nessun soldato è tenuto a obbedire a un ordine che è contro la legge di Dio.E' tempo che recuperiate la vostra coscienza e che obbediate alla vostra coscienza... In nome di Dio, di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione".

 

(Il giorno dopo questa omelia, Romero fu ucciso mentre celebrava la messa nella cappella dell'hospedalito di San Salvador).

 

Centro di Documentazione Rigoberta Menchù.gf

 

Il fondatore di Taizé

 

Roger Schutz nasce il 12 Maggio 1915 a Oron, in Svizzera. Ottavo figlio di un pastore protestante, vive il tempo degli studi in una famiglia cattolica. La tubercolosi lo costringe a smettere, ma non abbandona le scritture: particolarmente attratto dai pensieri di Pascal, medita sulla felicità umana e sulla fede. L’educazione ricevuta lo fa sensibile alle cose semplici, all’amicizia degli umili. Nel 1939 gli viene proposto di diventare presidente degli studenti cristiani svizzeri. Da qui l’idea di una comunità aperta a tutti quelli che cercano Dio, e che offra ai giovani la possibilità di porre solide basi alla vita. Il sogno si realizza a Taizè, un piccolissimo borgo sulle colline francesi, con la nascita della comunità ecumenica, e il fondatore Roger Schutz, sarà per tutti frére Roger. E’ l’uomo della riconciliazione, del dialogo ecumenico e interreligioso, l’amico dei giovani, il cantore della vita nello Spirito.

 

Un medico - organista - Nobel per la pace nell'Africa nera.

 

Nato in Alsazia, teologo protestante, predicatore, nonchè ottimo e famoso organista, fra i migliori della sua epoca. Professore di università, si dedica alla ricerca sulla vita di Gesù. Le ricerche che compie gli fanno decidere di studiare medicina per aiutare i sofferenti. Sente la responsabilità a rispettare ogni essere: umano, animale, vegetale. Nel 1913 con la moglie Hélène si trasferisce a Lambarené nel Gabon, dove, in mezzo alla giungla, crea un ospedale la cui caratteristica è che i familiari possono collaborare alla cura dei pazienti. Deve difendersi dai cannibali, dagli stregoni, allora signori incontrastati della foresta e delle tribù indigene. Poi la prima e la seconda guerra mondiale. Soprattutto la seconda ha effetti devastanti sulla missione e l’ospedale di Lambarené. Vengono posti i sigilli sui padiglioni e al dottor Schweitzer viene proibito di esercitare. Ritorna in Europa dove tocca con mano la distruzione operata dalla guerra. Si unisce allora alle proteste pacifiste contro la bomba atomica, contro ogni violenza alla vita umana e ogni discriminazione razziale. Nel 1952 riceve il premio Nobel per la Pace. Ritorna poi a Lambarené dove termina la sua lunga vita curando malati, difendendo gli indigeni dalle stregonerie e dalla orde degli uomini-leopardo che seminano terrore e morte. Muore all’età di 90 anni: ha insegnato agli uomini a volersi bene.

 

Filosofo ed economista, l'indiano Amartya Sen ha ricevuto il premio Nobel per l'economia nel 1998. In questa intervista auspica una rtipartizione più equa delle risorse del pianeta e dei benefici della globalizzazione.

 

Professor SEN, quali lezioni trae dal disastro dello tsunami in Asia di fine 2004?

 

Innanzitutto che dobbiamo essere più preparati a disastri di questo tipo prima che si verifichino. Se avesse funzionato correttamente il sistema di allerta, si sarebbe potuto salvare molte vite. L'impreparazione è un problema serio, non solo per le catastrofi naturali ma anche per le epidemie. La reazione commossa di tutto il mondo e la generosità delle donazioni dimostrano che la gente crede nell'aiuto reciproco tra esseri umani. L'esaltazione della solidarietà umana evidenzia inoltre l'importanza della comunicazione, essenziale alla pratice di un'etica modiale.

 

Nel caso dello tsunami la comunicazione è stata più facile di quanto non lo sia per piaghe quali l'AIDS, la malaria o la tubercolosi. Dobbiamo prestarvi più attenzione. Da questa crisi emerge anche che i popoli possono unire le loro forze attraverso l'ONU. E' un'occasione per affermare l'importanza del sistema delle Nazini Unite.

 

Che cosa pensa dell'atteggiamento del governo indiano che ha rifiutato l'aiuto internazionale?

 

Le autorità indiane hanno voluto affermare la loro indipendenza, la volontà di non dipendere dall'aiuto internazionale. Al tempo stesso, dicendo che quello finanziario non è l'unico aiuto possibile, hanno invitato a considerare il problema in maniera più ampia.

 

Come incoraggiare una più equa distribuzione dei vantaggi della globalizzazione?

 

La raccolta di fondi e il trasferimento di denaro dai paesi ricchi a quelli poveri sono solo uno dei tanti modi per raggiungere l'obiettivo di una migliore distribuzione dei vantaggi della globalizzazione. Altri modi sono gli accordi commerciali, la legislazione sui brevetti e sulla proprietà intellettuale, la cooperazione in materia di sanità, gli scambi educativi e il trasferimento di tecnologia. L'Unione Europea e gli Stati Uniti devono aprire i loro mercati ai prodotti dei paesi del terzo mondo. Il diritto sui brevetti e sulla proprietà intellettuale dev'essere modificato per consentire la produzione di farmaci a basso costo. La tassa internazionale rivendicata dal presidente francese Chirac e dal presidente brasiliano Lula è un'idea eccellente che non presenta difficoltà effettive sul piano economico. Il punto è sapere se sia politicamente attuabile, in particolare vista la contrarietà degli Stati Uniti.

 

L'immigrazione è una risposta ai problemi dello sviluppo?

 

L'immigrazione non può essere assolutamente un modo per ridurre la differenza di reddito tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Servirebbe una crescita dell'immigrazione tanto alta da essere impensabile. Tuttavia una maggiore apertura all'immigrazione sarebbe un'ottima politica per tutto il mondo, compresiStati Uniti ed Europa. L'aspetto positivo dell'immigrazione è il mix di popolazioni e culture che genera, un bene per tutta l'umanità.

 

La democrazia è un valore occidentale?

 

La democrazia non va ridotta a slogan. La democrazia nel senso di 'governo attraverso la discussione', come diceva John Stuart Mill, è un patrimonio mondiale. Nel IX secolo, nel regno musulmano di Andalusia, il califfo Abd Al Rahman II aveva un vizie ebreo, Hasdai Ibn Shaprut. All'epoca la rivale di Cordova era Baghdad. Gli Stati Uniti hanno ragione a dire che l'Iraq ha bisogno di democrazia. Ma la democrazia va costruita a partire da quel patrimonio mondiale di cui l'Iraq è parte, indipendentemente dagli interessi di potenza, strategici o tattici.

 

Traduzione di Anna Maria Brogi. Per gentile concessione del quotidiano La Croix)

 

ALFONSO SIGNORINI   intervista di Paolo Di Stefano

 

da IO DONNA del 2. 12. 2006

 

Intervista liberamente ispirata al famoso gioco di Marcel Proust

 

Biografia

 

Alfonso Signorini ha 42 anni. È nato a Milano e si è laureato in Filologia medievale. Ha insegnato greco al liceo classico prima di decidere di passare al giornalismo, all'inizio come critico musicale poi come redattore della rivista Noi. Ha lavorato per il newsmagazine Panorama e ha collaborato a diverse trasmissioni televisive, tra cui Chiambretti c'è. Si è specializzato in gossip con Silvana Giacobini al settimanale Chi, del quale è oggi direttore. Un suo libro, Il Signorini (edizioni Mondadori).

 

Il tratto principale del suo carattere? L'ironia.

 

La qualità che preferisce in un uomo? La coerenza.

 

E in una donna? La capacità di saper ascoltare.

 

Il suo principale difetto? La distrazione.

 

Il suo sogno di felicità? Ascoltare la Norma della Callas in una notte di luna piena in riva al mare.

 

Il suo rimpianto? Non aver mai fatto sport da piccolo.

 

L'ultima volta che ha pianto?

Un mese fa, quando mia madre mi ha fatto leggere le lettere d'amore che mio padre le ha scritto. Bellissime, anche dopo 50 anni di matrimonio.

 

Il giorno più felice della sua vita? Un giorno è troppo. Pochi istanti...

 

E il più infelice? Ogni volta che non vengo capito.

 

La persona scomparsa che richiamerebbe in vita? Papa Giovanni Paolo II.

 

Il piatto preferito? La cassoeula.

 

Il suo primo ricordo?

Gli gnocchi fatti a mano da mia nonna Armida. Lei li decorava con la grattugia. io li mangiavo crudi.

 

Se avesse qualche milione di euro?  Quadri e libri à gogo.

 

Libro preferito di sempre? I promessi sposi.

 

Cantante preferito? Maria Callas.

 

Il suo eroe o la sua eroina?

Ciccio, il nipote di Nonna Papera.

 

I suoi pittori preferiti? Caravaggio, Magritte.

 

La trasmissione televisiva più amata? Le inchieste di Sergio Zavoli.

 

Film cult? Lo specchio della vita.

 

Se potesse parlare con l'uomo più potente del mondo, cosa gli direbbe?  Di ascoltare di più.

 

Personaggio storico più ammirato? Gesù Cristo.

 

Quel che detesta di più? Prendersi sul serio.

 

Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza? Quelle legate al bisogno.

 

Il suo motto?

"Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus": non disponiamo di poco tempo, ma ne perdiamo molto.

 

Il Maestro Buddista più impegnato per i poveri.

 

Nasce a Bangkok, studia in Inghilterra e negli anni sessanta fonda in Thailandia la rivista Social Science Review che diventa il maggiore periodico intellettuale del paese. Lui stesso diventa il critico sociale più impegnato nel mondo buddista. Lancia progetti di sviluppo rurale per il suo paese creando Organismi Non Governativi al fine di esplorare modelli di sviluppo sostenibili. E’ periodicamente perseguitato dal regime politico del Paese e nel 1976 è costretto all’esilio per due anni. Nel 1984 è incarcerato per diffamazione della monarchia, e solo per una campagna di solidarietà internazionale viene liberato. Viene denunciato nuovamente nel 1991 a causa di una lezione all’Universita di Thammasat (Bangkok), in cui denuncia di corruzione il Consiglio dei militari. Per questo viene mandato in esilio.Torna in patria nel 1992 dove è processato, ma la corte lo assolve nel 1995.

 

Il Nobel per la letteratura

 

E’ un cristiano della Chiesa ortodossa russa. Docente di matematica e fisica, ha l’ardire di criticare Stalin scrivendo alcune lettere private. Finiscono in mano alla polizia sovietica e gli costano otto anni di lavoro forzato e il confino fino alla riabilitazione avvenuta nel 1957. Inizia la sua attività di scrittore in favore della resistenza alla dittatura fascista: "Una giornata di Ivan Denisovic" e altri interventi sulla rivista letteraria Novyi Mir. Per questa sua presa di posizione contro il regime viene combattuto dalle autorità. Dopo la sua critica contro la censura e la limitazione della libertà di pensiero, viene espulso dall’Unione degli scrittori sovietici. Da questo momento i suoi scritti vengono pubblicati solo all’estero. Nel 1970 a Solzenicyn viene conferito il premio Nobel per la letteratura, ma non si reca a ritirarlo per timore di non poter più rientrare in patria. Ne viene comunque espulso con forza nel 1974 e costretto a vivere nella Germania Federale. Si stabilisce poi a Zurigo.

 

Una filosofa Carmelitana ad Auschwitz.

 

Brillante filosofa e discepola prediletta di Hussel, si dedica allo studio e alla ricerca con la passione entusiasta degli anni giovanili. Come molti discepoli di Hussel anche la Stein a contatto con la filosofia fenomenologica avverte l’urgenza di approfondire la conoscenza di Dio e si imbatte nel Dio dei cristiani. E’ così che ebrea di nascita nel 1922 si converte al cattolicesimo.I familiari, ebrei di rigida osservanza, non hanno mai capito i motivi della conversione, interpretando la sua scelta come fuga dal pericolo del nazismo. Nel 1933 entra nel Carmelo di Colonia e fa segretamente dono a Dio della sua giovane vita per la pace nel mondo e la libertà del suo popolo. Strappata a viva forza dal monastero viene internata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Qui porta a compimento la sua offerta a Dio per la liberazione del suo popolo: il 9 Agosto 1942 con la croce sul cuore e la stella gialla cucita sul saio entra nella camera a gas, contraddistinta dal numero 44074.

 

Il prete poeta e 'combattente'

 

Nasce in un paese del Basso Friuli da una famiglia povera e numerosa. Nel 1940 entra fra i Servi di Maria a Monte Berico dove compie gli studi fino al sacerdozio. All’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si laurea in filosofia partecipando anche attivamente alla Resistenza, tra l’altro con la fondazione del giornale clandestino "L’Uomo", che dà poi vita al Centro culturale Corsia dei Servi. Uomo di cultura e di profonda riflessione e spiritualità è attento e partecipe a ciò che accade. Denuncia con parole infuocate il sistema che ha portato al capitalismo. Prende posizione contro i ricchi e i potenti che speculano sulla vita degli operai. Fonda il movimento dei Lavoratori Cristiani e partecipa attivamente alla formazione del Partito della Sinistra Cristiana che ha vita breve a causa di una forte condanna dell’autorità ecclesiastica. Per tutta la vità la sua voce inconfondibile e vibrante, potente e indelebile si leva in difesa dei più deboli. Il suo impegno lo esprime sia nelle critiche che nella sua alta e sofferta poesia, ma soprattutto leva la sua voce libera e fedele al vangelo, sempre. Padre Turoldo vive per anni nella millenaria abbazia di S. Egidio a Sotto il Monte (BG), dove dirige il Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII. Segna con la sua presenza gli eventi più caldi e dibattuti dell’Italia e del mondo prendendo la parola alla radio, alla televisione, su numerosi giornali. Muore stroncato dal cancro.

 

 

 

Il primo vescovo nero della cattedrale anglicana di Johannesburg, in Sudafrica.

 

Nasce il 7 Ottobre 1931 a Klersdorp, Sudafrica. Insegna in una scuola elementare di una baraccopoli a Johannesburg, maturando in quegli anni la sua vocazione sacerdotale. Nel 1975 è il primo nero ad essere nominato vescovo della cattedrale anglicana di Johannesburg. Sceglie di rimanere a vivere a fianco del suo popolo, nella città dormitorio di Soweto, dove è presente quando la rivolta, causata dall’uccisione di un ragazzo nero da parte della polizia, viene sedata con una strage di 500 persone.Guida numerose manifestazioni nonviolente. Per impedire spargimento di sangue, non rinuncia a porsi, disarmato, tra le persone in conflitto.Nel 1978 viene eletto segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese. Continua la lotta per la liberazione del suo popolo dal regime dell’apartheid, la segregazione razziale.Nel 1984 riceve il premio Nobel per la Pace. E’ a capo del movimento di riconciliazione tra bianchi e neri promosso sotto la presidenza di Nelson Mandela.

 

Un ufficiale tra gli 'ultimi'

 

Nasce a Ginevra nel 1928. Il padre è un valoroso soldato ed ex governatore generale del Canada. Jean diventa un brillante ufficiale di marina, poi insegnante di filosofia. Viaggia molto, dall’Europa al Canada. Lentamente matura idee che nel 1964 lo portano ad iniziare una nuova avventura. Con grande scandalo di familiari e amici,decide di farsi povero tra i poveri. A Trosly-Breuil, un piccolo centro a un centinaio di chilometri da Parigi (Francia), fonda la prima comunità dell’Arca. Nasce dall’incontro con la realtà degli "ultimi", dei malati, e fra questi i malati di mente. Si sente interpellato dai volti, dai gesti che chiedono amore, stanchi del rifiuto che ricevono quotidianamente e della discriminazione di cui sono oggetto. L’inquietudine di Vanier si acquieta solo quando si dedica totalmente a liberare gli altri dall’abbandono sofferto. Vanier ha ricevuto da papa Wojtyla il premio internazionale Paolo VI.

 

Don Verzé:

 

«Curare i malati mi fa sentire amico di Cristo»

 

Presentato il libro del fondatore del San Raffaele.

 

Cacciari: «Un approccio diverso all'Uomo di Nazaret».

 

Olmi: «Fede e carità unite dal Vangelo»

 

Antonio Giuliano  Avvenire 06 giugno 2007

 

Questa non è la storia di un prete-manager.

 

«Erroneamente molti mi definiscono così. Ma io mi sento solo socio di Gesù il Cristo. Un socio di minoranza. A Gesù, socio di maggioranza, presto le mie mani, gambe, testa, creatività…».

 

Lui è don Luigi Maria Verzé, classe 1920, fondatore di un ospedale all'avanguardia nel mondo: il San Raffaele di Milano. Nel suo ultimo libro, Io e Cristo (Bompiani, pagine 640, euro 15), da oggi in libreria, c'è un'avventura che ha del prodigioso.

 

«Il San Raffaele - dice don Verzé - è opera miracolosa, nata dalla coraggiosa coerenza con quello che si legge nel Vangelo: "Tutto è possibile a chi crede" (Mc 9,23). Non l'ho prodotto perché sono un prete manager, ma perché Dio mi ha adoperato da prete convinto».

 

Dalla prima all'ultima riga traspare tutta la passione e la riconoscenza di don Verzé per Gesù: «Non posso nascondere la gioia quando parlo del mio più grande amico agli amici, comunque la pensino».

 

Il volume è stato presentato ieri nella basilica Santa Maria delle Grazie di Milano. Con l'autore erano presenti Massimo Cacciari ed Ermanno Olmi. Nel dibattito moderato da Armando Torno è stata rievocata la storia dell'Opera San Raffaele del Monte Tabor.

 

Da Illasi (Vr) suo luogo di nascita, don Verzé è arrivato nel capoluogo lombardo negli anni Cinquanta. Nella valigia del giovane sacerdote c'era la stessa convinzione di oggi: «Curare l'uomo ammalato oggi e nella migliore arte che la scienza e il progresso ci consentono è il modo di attualizzare il Cristo. Questo è il mio bagaglio e mi basta». Allora don Verzé aveva in tasca mille lire, insegnava meccanica a poveri e immigrati della periferia milanese. Ma grazie all'aiuto di don Giovanni Calabria e del cardinale Ildefonso Schuster avrebbe posto le basi per un'opera di cui avrebbe parlato l'Europa intera. Era il 1971 quando il primo malato entrò nell'ospedale costruito in mezzo alle risaie. I letti erano 120, gli operatori 200. Oggi i letti sono cinque volte di più e i dipendenti oltre tremila. Nel 1996 don Verzé avrebbe fondato anche l'Università Vita-Salute S.Raffaele e ne sarebbe diventato rettore.

 

Per il filosofo Massimo Cacciari, oggi sindaco di Venezia, «dalla biografia di don Luigi s'intuisce un incontro personale con Gesù. Il suo è un approccio diverso all'uomo di Nazaret. La fede di don Verzé privilegia la prassi: è una fede che vuole fare. È un'adesione radicale all'invito di Gesù: "Guarisciti, convertiti, e guarisci nel mio nome"».

 

Il regista Ermanno Olmi ha ammesso: «Sto leggendo da soli tre giorni il libro di don Luigi, ma faccio fatica ad appuntarmi tutti gli spunti interessanti di riflessione. Mi colpisce come testimonia che l'elemento essenziale dell'uomo sia l'amore, e con l'amore la fede. L'amore tra gli uomini mi rimanda all'amore di Dio».

 

E il filosofo Cacciari: «Il libro è un testo su Gesù che porta la lieta novella. Don Verzé ha voluto seguire il suo esempio. Portare una notizia lieta, piuttosto che buona: buona potrebbe far pensare ad un generico buonismo. L'esperienza di don Luigi fa pensare tutti, credenti e non. Come fa anche un laico a non ritenere che sia lieta quella novella? Una persona duemila anni fa è stata vista come risorta. Come si fa a non essere sorpresi dalla straordinarietà di questo fatto? È la prova che la sofferenza più atroce può essere resurrezione».
Paradossali quanto appassionate le conclusioni di don Verzé: «Io non ho fede in Cristo, io lo amo. Io e Gesù ci vogliamo bene. Il San Raffaele è idea di Gesù e opera tutta sua. Io gli ho dato una mano. Ho creduto, perciò Lui ha fatto».

 

Villaggio Globale

 

Per comprendere bene la logica dei popoli svantaggiati riflettiamo sui dati statistici di questo esempio semplice e illuminante. Se noi potessimo ridurre la popolazione del mondo intero in un villaggio di 100 persone mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti a mondo, il villaggio sarebbe composto in questo modo:

 

57 Asiatici, 21 Europei, 14 Americani (Nord, Centro e Sud America), 8 Africani, 52 sarebbero donne, 48 uomini 70 sarebbero non bianchi, 30 sarebbero bianchi, 70 sarebbero non cristiani, 30 sarebbero cristiani 89 sarebbero eterosessuali, Il sarebbero omosessuali 6persone possiederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero, e tutte 6 sarebbero statunitensi, 80 vivrebbero in case senza abitabilità 70 sarebbero analfabeti, 50 soffrirebbero di malnutrizione uno starebbe per morire, uno starebbe per nascere, uno possiederebbe un computer, uno (sì, solo) avrebbe la laurea.

 

Se si considera il mondo da questa prospettiva, il bisogno di accettazione, comprensione ed educazione diventa evidente. Se vi siete svegliati questa mattina con più salute che malattia siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana. Se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell'imprigionamento, l'agonia della tortura, i morsi della fame, state meglio di 500 milioni di abitanti di questo mondo. Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire siete più ricchi del 75%degli abitanti del mondo. Se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola siete fra l'8% delle persone più benestanti al mondo. Se i vostri genitori sono ancora vivi e ancora sposati siete delle persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel Canada. Se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione perché qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere.

 

Qualcuno una volta ha detto: Lavora come se non avessi bisogno dei soldi. Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire. Balla come se nessuno ti stesse guardando. Canta come se nessuno ti stesse sentendo. Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra.

 

La forza di una donna Curda.

 

Parlamentare curda eletta nel 1991. Alla sua prima seduta in Parlamento ha pronunciato il giuramento dei deputati in turco, e poi in curdo ha aggiunto: "Io mi batto per la coabitazione fraterna del popolo turco e curdo nell’ambito della democrazia". Nel Dicembre del ’94 viene arrestata e condannata a 15 anni di segregazione per "attività separatiste" dovute alla sua lotta per il riconoscimento della lingua e della cultura curde. Da allora è isolata in una cella bunker di Ankara (Turchia). Nel 1995 il Parlamento Europeo, che chiede la sua liberazione, le assegna il Premio Sakharov per la libertà d’espressione. Dal Movimento operaio danese per la difesa dei Diritti Umani le viene assegnato il Premio Internazionale Rose, e il sindaco di Roma le conferisce la cittadinanza onoraria.

 

L’1-2 febbraio 2003 aclisti della Germania, Lombardia e Svizzera si sono ritrovati a Basilea (CH) per riflettere sul tema "Quale futuro per i cristiani d’Europa".

 

La presenza al Convegno di Padre Alex Zanotelli a parlare di Europa, lui, che per dodici anni ha vissuto in una baraccopoli di Nairobi, è stata l’occasione di guardare al nostro Continente da una prospettiva mondiale.

 

La relazione di p. Alex, non rivista dall’autore, fa riferimento all’ipotesi della guerra in Iraq.

 

Relazione di padre Alex Zanotelli

Mentre in treno arrivavo qui a Basilea, mi chiedevo perché mai avessi accettato il vostro invito, visto che avrei preferito essere a Napoli a riposarmi un po’, tenuto conto di essere davvero tanto stanco.

 

Penso comunque sia importante incontrarci, oltretutto io sono un uomo la cui fede è molto fragile e debole e una delle cose che più mi aiuta a tentare di credere sono proprio gli incontri: spesso mi domando chi sono io, uomo di sessantaquattro anni e l’unica risposta che mi so dare è che io sono le persone che ho incontrato nella vita. Se noi oggi siamo qui è perché qualcuno ci ha messi insieme: la vita sembra un incredibile zig zag, eppure fra le mille assurdità che ciascuno di noi sperimenta nella vita, a un certo punto sembra che Qualcuno, dentro le stesse assurdità umane, riesca a tirare fuori qualche cosa. E questo è il mistero degli incontri e dell’incontro, per il quale voglio ringraziarvi perché ritengo che ciò prima di tutto sia grazia per me e incontrando oggi i vostri volti mi sento rafforzato nel continuare a camminare nel buio della storia.

 

Non ci sono voci profetiche, penso che tutti brancoliamo nel buio, cercando di capire come muoverci in avanti; non ho alcuna pretesa di avere verità in tasca, ma vi dirò quello che sento e questo momento, più che una conferenza, lo voglio intendere come condivisione, da celebrare in modo particolare domani con la Messa, che non deve essere un rito celebrato da un prete, ma una comunità di volti che celebra il proprio ritrovarsi insieme alle frontiere di questa Europa e al di là delle nostre frontiere.

 

Sono qui per condividere la mia passione, ma pure la mia rabbia, perché davanti a una situazione così difficile come l’attuale, abbiamo bisogno di metterci il più possibile insieme. L’Europa non è una realtà molto bella, essa rischia di diventare la "fortezza Europa" e, quando la si vede dall’Africa, fa male.

 

Un paio di mesi fa sono stato a Bruxelles su incarico dei Comboniani che temevano di guardare un po’ troppo a Roma, ma troppo poco a Bruxelles (cosa peraltro vera e sulla quale bisognerà riflettere).

 

Io credo si debba cominciare da un punto fermo, cioè dalle Scritture ebraiche e cristiane. Il ruolo del credente è prima di tutto un ruolo di giudizio. Guardate che la Parola è un grande dono, è quella cosa che Archimede chiedeva, quella di dargli un punto di appoggio fuori dalla terra che gli avrebbe permesso di sollevare il mondo. La Parola è quel qualcosa che permette di leggere la realtà dal di fuori; tutti noi siamo prigionieri di sistemi, di ideologie, il Papa ha usato la parola "bozzolo" e noi siamo tutti bachi da seta chiusi in questo bozzolo. Come cristiani abbiamo il compito di dire come leggiamo la realtà e la Parola in questo contesto gioca un ruolo importante.

 

 

 

Armi: un mercato che tira

 

da "Volontari per lo sviluppo", giugno-luglio 2003 A colloquio con padre Alex Zanotelli

 

Armi: un mercato che tira

 

di Alessandro Berruti

 

Passo inquieto, sandali sdruciti e zaino in spalla, Alex Zanotelli, missionario comboniano e icona del movimento pacifista italiano, ha trascorso venti dei suoi sessantaquattro anni in Kenya, nella baraccopoli di Korogocho, alle porte di Nairobi. Negli anni Ottanta finì silurato dalla direzione della rivista Nigrizia per aver denunciato il ruolo della Banca Nazionale del Lavoro nella vendita di armi all'Iran e all'Iraq oltre che al Sudafrica sotto embargo. Nel 1990 ha salutato il varo della legge 185, che ha severamente regolamentato il commercio italiano d'armi, e proprio nei mesi scorsi ha tentato di difenderla dallo stravolgimento proposto in parlamento, invano. «Non mi aspettavo - spiega - che si arrivasse alle modifiche. Siamo stati traditi dall'Udc e le modifiche sono passate. E' davvero grave. Nel momento in cui si combatte contro il terrorismo noi apriamo le maglie per l'esportazione d'armi».

 

Lei ha definito la guerra all'Iraq un grande affare...

 

Questa è stata una guerra per le risorse. Dall'11 settembre il complesso industriale americano ha deciso di uscire dalla recessione economica mondiale con la produzione di armi. Altro che disarmo nucleare, gli Usa inizieranno a produrre mini bombe atomiche e hanno già detto che le useranno ovunque dovranno difendere i loro interessi. Si spendono centinaia di miliardi di dollari in armi quando la Banca Mondiale dice che ne basterebbero 13 per risolvere fame e sanità per tutti per un anno intero.

 

Quindi non si è trattato solo di petrolio.

 

La vera ragione è che questa guerra si è fatta per creare il nemico. Per avere le armi, ci vuole un nemico da combattere. Nel dopoguerra era la Russia, oggi l'America l'ha trovato nell'lslam.

 

E la presa di posizione della Chiesa cattolica?

 

Il Papa è stato chiaro, e gliene sono grato, si è opposto a questa guerra perché aprirà una falla tra Islam e Cristianesimo. Ha fatto fare alla Chiesa una svolta dicendo basta alle armi.