E' complesso distinguere nella storia il teatro dalla letteratura. Lo è anche per quanto riguarda Gesù. Qui abbiamo selezionato le espressioni letterarie che più si avvicinano al teatro, che va perciò inteso in senso molto lato. Seguendo uno studio documentatissimo di Goosen, esponiamo il sommario dell'intero lavoro, così da facilitare la navigazione al suo interno. Clicca sull'argomento desiderato. Primi secoli, Inni, Vite di Gesù, Il Dramma medievale, Componimenti in poesia e prosa, Riforma e Controriforma, Nuovo approccio razionalista, Romanzo e Teatro del secolo XIX, Romanzo e Teatro del secolo XX.

 

Cosa sta succedendo? Tutti parlano di Gesù

di Davide Rondoni. Avvenire 29 aprile 2007

Insieme al Papa arrivano anche loro, se così si può dire, Benigni, Dalla, la Merini, Lindo Ferretti, e altri... Strana, misteriosa contemporaneità. Il Papa fa un libro su Gesù e anche artisti vari, con le loro storie le sensibilità e i loro talenti, parlano di Gesù. Lo fanno da artisti, con la loro piccola o strana fede, ma lo fanno, e fanno volgere gli occhi di tanti alla presenza e al mistero di Lui.

Non è marketing, e non è però nemmeno un caso. Sembra che di Gesù Cristo pensavamo di saper tutto e invece no, c'è da sapere tutto di nuovo. Come se non fosse un racconto che è finito ieri, ma una storia che continua oggi e allora c'è da comprendere, da gustare bene di che si tratta.

L'altra sera Roberto Benigni ha avuto la cortesia di invitarmi ad assistere a Roma a uno dei suoi show intorno a Dante, e di citarmi durante la serata. Per telefono mi aveva ringraziato perché usa cose prese dai miei scritti. E, tra l'altro, il commento al fatto con cui inizia il cristianesimo. Il sì libero che Maria dice a Dio, il Quale dall' eternità era lassù perso nel pensiero di come fare a salvare l'uomo. Voleva farlo attraverso un amore libero, poiché a farsi amare obbligatoriamente non c'è senso. Finché, appunto, vede quella ragazza di sedici anni, e lei dice liberamente sì... C'è questo, e molto altro a riguardo di Gesù, nelle due ore e mezze di spettacolo, concluse con il pubblico in piedi commosso e ammutolito mentre applaudiva. Benigni innalza un inno tenerissimo e simpatico, audace e appassionato all'animo italiano capace di grandezze in ogni campo e formato dal cristianesimo. E con continui riferimenti al Vangelo, mischiato come dev' essere con la vita di oggi, tra battute e momenti da brivido e di magone, invita il pubblico a rendersi conto della irripetibilità di ogni persona, del fascino e del rischio della libertà, del miracolo di incontrare l'amore.

Uno spettacolo da morir dal ridere, e da zittirsi. Un viaggio tra le miserie della vita quotidiana sociale e politica - ma mai trattate con acidità, sempre con una ultima specie di simpatia - e dentro il capolavoro dantesco, visione umanissima della vita e del problema del destino.

Negli stessi giorni un altro amico, noto artista, Lucio Dalla, mi invitava a Parma ad assistere alla lettura da lui musicata, ad opera del bravo Marco Alemanno, di un testo di Alda Merini dedicato alla passione di Cristo. Un testo, lieve e profondo, amato e restituito dai due artisti con lo sfondo musicale della Orchestra Toscanini. E anche lì, pubblico stupito e commosso per quel che aveva ascoltato, cosa antica e nuovissima.

Poche settimane fa, infine, Lindo Ferretti, icona del rock estremo italiano, ha letto davanti a centinaia di persone, un mio poema dedicato al Compianto per il Cristo morto. Insomma, che cosa sta succedendo? Perché numerosi artisti, e con loro, numerose persone si mettono a guardare Gesù Cristo? Qualcuno dirà: non è una novità, gli artisti han sempre fatto attenzione alla Chiesa e alla fede, se non altro per problemi di committenza. Ma appunto, invece ora non c'è nessun motivo esteriore, non si tratta di opere che questi artisti sono in qualche misura ‘obbligati’ a fare, ma si tratta di loro personali e particolari percorsi. E non mi pare che esistano leggi di mercato che consigliano di trattare il tema Gesù, anzi... Ma loro arrivano, come è arrivato anche il Papa, proponendo il loro personale, discutibile e appassionato modo di affrontare Gesù. Non vogliono insegnare niente, né devono esibire fedi perdute o ritrovate. Insieme al Papa che parla di Gesù arrivano anche loro, gli artisti. Meno noiosi dei filosofi, dei commentatori, più bizzarri e geniali, più criticabili e incostanti. Un po' come tutti, in fondo.

[NdR] A rafforzare questa sensazione:

A Vicenza dal 30 maggio al 2 giugno prossimi: 3° Edizione del Festival Biblico. Sono attesi il teologo Bruno forte, il biblista Gianfranco Ravasi, l’esegeta Haim Baharier, il cantautore Angelo Branduardi, l’attrice Claudia Koll.

A Mantova l’11 e 12 marzo scorsi si è svolta la manifestazione "La Bibbia senza sosta". 137 ore di lettura continua della Bibbia, da parte di 1162 lettori volontari. Sermonti ha commentato: "C’è bisogno di sentire le proprie radici con il suono della propria voce", non solo ascoltando la voce di altri".

 

 

Branciaroli: il teatro snobba i drammi cristiani

di Angela Calvini. Avvenire, marzo 07

A 60 anni per un attore di teatro inizia la fase migliore, quella dei grandi ruoli. Invece oggi, in Italia, si rischia di rimanere disoccupati». All' energico Franco Branciaroli dì festeggiare i 60 anni (il prossimo 27 maggio) non importa un granché, perché lavora molto, come dimostra il debutto il 20 marzo al Teatro Argentina di Roma con Vita di Galileo di Brecht con la regia di Antonio Calenda, poi in tournée. Mentre presto lo vedremo nel film I vicerè di Roberto Faenza. Invece al mattatore proprio non va giù l'andazzo del nostro teatro, tanto che ha deciso di preparare per quet' estate un omaggio a Vittorio Gassman e Carmelo Bene, in cui lui stesso ne interpreterà le voci nel Don Chisciotte.

Branciaroli, vuoi dire che anche il teatro insegue il giovanilismo della tv e snobba i suoi grandi attori?

«Una volta le grandi parti erano riservate alle persone anziane, ma ora non c'è più il teatro di quella portata. Oggi, se non sei ben attrezzato, rischi di non lavorare, e conosco tanti bravi colleghi in questa condizione. Io sono fortunato perché ho una mia compagnia. Ed ora posso mettere in scena Galileo che è un personaggio della mia età».

Lei, da ragazzo ha lavorato con i grandi della scena. Quale è la differenza fondamentale con la situazione di oggi?

«A quei tempi il teatro era istituzionalizzato ‘dall'interno’, ovvero vigevano tra tutti i teatranti degli obiettivi di grandezza artistica e morale. Ora, invece, passa di tutto e l'interprete di tearto non serve più, è diventato una specie in via di estinzione come il panda. E poi manca un teatro nazionale e i sovrintendenti sono improvvisati».

Un problema politico?

«Invito il ministro dei Beni culturali Rutelli a dare un' occhiata. Lo Stato finanzia il teatro, ma gli stabili non hanno una loro compagnia. Vengono formate ogni ottobre: e come si fa a progettare? È come se entrando alla Scala non ci fosse l'orchestra».

Torniamo alla sua carriera? Lei quali maestri deve ringraziare?

«Ho lavorato con Aldo Trionfo, Giovanni Testori, Carmelo Bene, e qualcosa di loro si è depositato in me. Ma è il teatro stesso che ti forma: il teatro è conoscenza, ha la potenza della letteratura, ti apre gli occhi sul mondo. Nella mia vita ho imparato 140 spettacoli a memoria, di cui almeno 100 erano capolavori. Un'esperienza così è altamente educativa, anche per i giovani».

Facendo un primo bilancio, quali sono gli spettacoli migliori che ha interpretato e di quali invece si è pentito?

«Se si è soddisfatti della propria interpretazione, anche gli spettacoli brutti sono da ricordare. Quelli che mi piacciono di più sono 7 o 8: Finale di partita di Bechett, Lolita e La vita è sogno con la regia di Ronconi, il Faust di Bene con la regia di Trionfo, Nerone è morto, che fu il mio primo spettacolo da protagonista accanto a Wanda Osiris, e tutto Testori».

E ora questa «Vita di Galileo» che in passato fece scalpore.

«Fece discutere ai tempi la regia di Strehler, ma lo stesso Brecht si raccomanda di non fomentare polemiche, che non rientrano nelle sue intenzioni. Galileo è un cattolico, è un figlio della Chiesa e vive un grande dramma: quello di aver fatto una scoperta che ha ribaltato il mondo in 5 minuti mentre la società non era ancora preparata. Ridurre il dramma a una polemica tra una Chiesa oscurantista e la scienza liberatrice è veramente banale e fuorviante».

Il suo approccio con la fede com'è?

«Il rapporto tra fede e ragione è complicato. Direi che la fede per me è un salto quantico. Con gli Incamminati invece cerchiamo di rivalutare il teatro cristiano che è stato il più importante del '900. Pensiamo a Claudel e a Eliot cui Brecht stesso si è ispirato. Ma c'è imbarazzo nel mondo dello spettacolo, così politicizzato, a portare in scena il teatro cristiano. Anche lo scopo degli Incamminati è frustrato: se vogliamo un teatro dobbiamo fare Brecht. Testori l'abbiamo dovuto sempre recitare nelle cantine».

Cinque autori in particolare esprimono delle caratteristiche molto personali. Eccoli.

Per primo William Langland, autore di The Vision of William Concerning Piers the Plowman in 23 libri ("La visione di Guglielmo su Pier l'aratore"; 1360-70 e 1387): una grandiosa visione avuta in sogno in cui il poeta, in gran parte sotto la guida di Pier l'aratore (figura che adombra lo stesso Gesù), attraverso molte esperienze arriva alla vita di Gesù che dà un senso a ogni cosa, per poi destarsi.

 

Molto diversa è L'imitazione di Cristo, scritta un secolo dopo (1470) da Tommaso da Kempis: uno dei libri più malinconici di tutti i tempi, certamente non tra i frutti migliori della devotio moderna. Ci si chiede come questa devozione a un Cristo completamente distaccato da ogni umanità possa aver esercitato un'influenza tanto profonda e duratura: conta infatti più o meno cinquemila ristampe.

Molto più naturale è la Vita Christi en romanç, ora discorsiva, ora dotta, scritta in catalano con libera ingenuità dalla clarissa Isabel de Villena (1497), che riunisce in un'unica narrazione la vita di Gesù, la corte d'Aragona e il paradiso.

Tra il Medioevo e l'età moderna si colloca, per la visione espressa e per la forma scelta, il francescano spagnolo Ponce de Leén imprigionato dall'Inquisizione per le sue idee, che nel 1583 scrive De los nombres de Cristo ("Sui nomi di Cristo"), in cui tre monaci discutono su una serie di nomi attribuiti a Gesù. Nuova è la via, d'impronta panteistica, che dalla natura conduce a Dio.

Supera, infine,i limiti del Medioevo, echeggiando l'atmosfera del Rinascimento e senz'altro del Barocco, il mistero in versi della monaca messicana Juana Inéz de la Cruz El divino Narciso (1690). Servendosi del mito di Narciso (cioè Gesù: la sua immagine speculare è la natura umana) in un'ambientazione bucolica, l'intera vicenda della redenzione è presentata complessivamente con molta profondità. Sul modello virgiliano dell'Eneide, Vida scrive nel 1535 un'umanistica Christias.

 

Non si contano i componimenti, in poesia e in prosa, con i quali i devoti cercano di avvicinarsi a Gesù.

Componimenti in poesia e prosa. Non si contano i componimenti, in poesia e in prosa, con i quali i devoti cercano di avvicinarsi a Gesù o esprimono la propria esperienza della relazione con lui: il grande, patetico inno del monaco Ezzo di Bamberga (XI secolo), l'anonimo inno natalizio medievale Transeamus usque ad Betlehem, l'inno Nollo pensai già mai del poeta che danzava per amore di Gesù (forse Jacopone da Todi, fine del XIII secolo), il poema Van der Roese des Crucen della poetessa anonima del manoscritto di Coburgo ("La rosa della croce", XV secolo) e le Laudes e cantigas spirituales del vescovo benedettino portoghese André Dias (1425).

Tutte queste opere esprimono il sentire del loro tempo.

 

Cristo alla festa dei Purim. Questo il suo dramma più famoso

L'anticlericale che amava Cristo

Cristo alla festa dei Purim di Bovio, l'anticlericale che amava Cristo.

La vita e il pensiero di Giovanni Bovio (Trani 1841- Napoli 1903) ci pongono alcuni problemi di notevole rilevanza: anzitutto il suo implacabile anticlericalismo, per non dire odio contro l'istituzione-Chiesa, l'appartenenza massonica del più alto livello, proclamata negli scritti, nel Parlamento e all'università, il credo filosofico avverso a ogni tipo di trascendenza. Un rifiuto della fede che si rivela sempre più solo apparente. All'opposto troviamo, la sua vita intemerata, l'incorruttibilità, la morte in povertà (al punto che sua moglie Bianca dovette chiedere soccorso per allestire il funerale), la venerazione sconfinata per il Cristo, per san Paolo, per Socrate, Dante, e i personaggi più suggestivi del passato. Dovunque c'erano tracce di autenticità e buona volontà egli accorreva per apprendere e poi "evangelizzare", cominciando dalla Bibbia e dalla storia cristiana.

Armando Carlini ha scritto l'opera più acuta sul suo pensiero. Forse proprio in conseguenza di questa frequentazione culturale passò dall'hegelianismo e dalla miscredenza alla pratica cristiana più fervida, dedicandogli poi le voci della Treccani e dell'Enciclopedia Cattolica. In quest'ultima scrisse: «Una delle figure più in vista e più ammirate della democrazia italiana, a cui non mancava una cert'aria sacerdotale, anzi pontificale», con espressioni anticlericali «fino all'irreligiosità superficiale, come attesta anche la sua illibatezza dei costumi, e la vita modestissima». A questo proposito, non mi è mai accaduto di trovare nelle biografie, negli articoli d'ogni tipo e dimensione, una voce stonata: l'ammirazione nei confronti di Bovio è universale. Ma siccome nella sua vita ci sono troppi ostacoli ideologici comunemente ritenuti insormontabili, è giusto presentare subito il suo momento stellare, affinché si tocchino con mano certi "capricci" della grazia, e ci si collochi dinanzi a lui liberi dai condizionamenti ottocenteschi.

Giovanni Bovio, a poco più di cent'anni dalla morte, merita di essere rivalutato dai cattolici, benché anticlericale e massone. Per la sua vita intemerata e incorruttibile, ma anche per un sostanziale legame con la fede cristiana, che appare nei drammi su Cristo e san Paolo.

 

di ROSARIO F. ESPOSITO

Il suo prestigio parlamentare e accademico era allo zenit. Insegnava filosofia e storia del diritto all'università di Napoli; pubblicava opere di grande risonanza e una colluvie di opuscoli e articoli; incantava gli ascoltatori con discorsi magari discutibili, ma sempre nobili. Gli studenti stravedevano per lui, lo accompagnavano festosi alla cattedra in via Mezzocannone. La stampa liberale lo osannava, quella cattolica lo criticava, ma raramente lo poteva incastrare, anche se Leone XIII nell'enciclica Fecunda semper (1894) condannò come blasfemo il suo dramma più famoso, Cristo alla festa di Purim, che oggi leggiamo con l'edificazione riservata al Varazze, al Kempis, al Rosmini. Non c'era da meravigliarsi se un gruppo di banchieri francesi, per garantirsi un ingente prestito al governo italiano, chiesero i suoi buoni uffici, offrendogli la somma di lire 1.200.000 (!) con la garanzia che nessuno lo avrebbe saputo. La risposta, negativa e nota, elettrizzò le oscienze, e lo fa ancora.

La Lettera ad un banchiere, con la quale motivava il suo no, è un monumento aere perennius ed è stata inclusa nell'opera postuma 'Il nuovo secolo' (Roma, Libreria Politica Moderna, 1923, p. 344): «Pregiatissimo Signore, La proposizione fattami indica chiaramente che voi mi avete veduto e udito, ma non mi avete conosciuto. Per fare a me sì fatta proposta, voi avete dovuto indicare ai banchieri che verranno a Roma il mio nome, e permettete che lo difenda io, che non ho altro da custodire e da trasmettere. Il fatto, comunque colorato e velato, è di quelli che si chiamano affari, e che i deputati non debbono trattare né coi ministri né con ufficiali e compagnie dipendenti dal Governo. Non c'è legge che si opponga, ma i fatti peggiori non sono quelli che cadono sotto le sanzioni.

«Quanto a me, né a voi che siete stato a Napoli, né ad altri può essere ignoto che io sostento me e la mia famiglia un po' per dì insegnando e scrivendo filosofia, congiunta con un po' di matematica, che non è arrivata mai al milione. Se il lavoro mi frutta indipendenza, il milione mi è di soverchio. Voi scrivete che tutto sarebbe fatto di cheto in Roma, senza che altri lo sappia. E non lo saprei io? E non porto nella mia coscienza un codice? I banchieri possono lasciare la loro coscienza a pié delle Alpi e ripigliarsela al ritorno, ma io la porto dovunque, perché là dentro ci sono gli ultimi ideali che ho potuto salvare dalle delusioni. Voi scrivete che è opera di buon cittadino questa mediazione, e io vi dico che è opera di onesto uomo non far mai ciò che si ha bisogno di tacere o di coprire. Napoli, 3 dicembre 1888».

Diversi notabili della Terza Italia sono Servi di Dio: Tovini, Toniolo, Gròsoli-Pironi, poi De Gasperi, La Pira... In questo museo ideale la "santità" di Bovio avrebbe una collocazione legittima. Era amico del beato Bartolo Longo, e qualche volta andò a trovarlo a Pompei: stravedeva per le opere sociali, soprattutto per i Figli dei Carcerati, i quali lo accoglievano agitando le bandierine tricolori. Se si è parlato del "santo bevitore", è assai più agevole farlo per un "santo anticlericale e framassone".

La sua opera prima fu Il verbo novello (Bari 1864), in cui sosteneva la palingenesi della società sulle basi del razionalismo e del naturalismo matematico, fuori e contro la rivelazione e la tradizione cristiana. Era la stagione della sua contestazione globale, che può essere riassunta in un episodio: rientrando a casa, vide l'anziana madre sgranare il rosario e glielo strappò di mano. Lei gli disse dolcemente: «E al posto della corona, che cosa mi dài, figlio mio?». Egli capì la lezione: «Madre, continuate a pregare, come avete sempre fatto».

 

La voce maestosa di Gesù

Cristo alla festa di Purim andò in scena al teatro Sannazzaro di Napoli il 10 maggio 1894, suscitando entusiasmi in molte altre città. Alla Chiesa sfuggì che, come il San Paolo, faceva opera di laica, ma autentica evangelizzazione. Entrambi grondano ammirazione e venerazione per i due protagonisti. Bovio scrisse: «A Cristouomo porto la libera riverenza dovuta alla figura forse più grande che sia apparsa ne' secoli, e lascio Cristo-Dio ai preti e alla gente semplice sino al giorno in cui la diffusione della scienza non farà desiderabili le illusioni dell'aldilà» (Opere drammatiche, pp. 5-6). Sul palcoscenico sfila il bailamme orientale e variopinto della festa biblica. Personaggi e gruppi pittoreschi, a piedi o in carrozza, si scambiano impressioni e propositi. Il Cristo non vi appare fisicamente, una finezza che non fu per niente valutata dai cattolici del suo tempo: grave peccato di omissione. Viene proclamato il suo messaggio, che è il fondamento dell'opera. I personaggi vivono il clima della vita abituale arricchita dai fatti nuovi: la maturazione della congiura politica di Giuda, per la liberazione dal giogo dei romani, l'amore di Maria di Magdala, il contrasto fra l'Etèra e gli scribi, i farisei e i sadducei intenti ad affermare i loro interessi, il dramma dell'adultera, i contenuti della predicazione del Messia.

Dalle quinte per quattro volte erompe maestosa la voce di Gesù, con espressioni del Vangelo. Conversando in un salotto, alla signora Polozova che lamentava l'assenza del Cristo dalla scena, il Bovio rispose: «Cristo è là dalla prima all'ultima scena». La prima volta la voce ammonisce: «Voi non avete fede e chiedete miracoli! Il figliuolo dell'uomo non somiglia a Simone il Mago di Sichem. La fede comanda ai monti. Via, progenie di vipere» (OD, p. 43). Maria di Magdala annuncia la Buona Novella al centurione e a Giuda: «Busserà al tugurio di un operaio, alla capanna di un agricoltore, gli sarà aperto, ed Egli, in mezzo agli afflitti, siederà consolatore» (OD, p. 50). La scena dell'adultera:

«Voce di Cristo: Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra. Centurione: Ecco un responso-miracolo! Le pietre cadono. (Ad un legionario:) Restituisci a Roma il mio bastone di vite e dille che una parola è nata, più equa dell'editto del pretore. Io passo di là [...]. Giuda: Il gran Pane muore. Maria (risoluta): Cada Egli pure questo Iddio accanto agli altri sepolti, qui venuti dall'Egitto e dall'Assiria. Il figliuolo dell'uomo all'alba del terzo giorno balzerà dal fondo e riprenderà il cammino a cui nessun profeta ha misurato il termine» (OD, pp. 57-58). L'Etera è soggiogata dal messaggio del Cristo e si rivolge severamente ai suoi oppositori: «Ha deciso di voi, o farisei, su' quali ha buttato la pietra di un mondo ignoto. Non toccate quel Rabbi! Cinquanta e cinquanta Olimpiadi sono corse da quando il migliore degli uomini bevve amaro, e il mondo non ha ancora perdonato agli Eliasti e ad Atene [...] Non toccate quel Rabbi e non contrastate al destino!» (pp. 43-44).

Il San Paolo è la continuazione ideale del Purim e fa trilogia con Il millennio. È giudicato il suo testo più riuscito sotto il profilo drammatico, unitario e coerente. Il figlio Corso afferma che cominciò a studiare l'argomento nel 1885, ma l'opera andò in scena esattamente dieci anni dopo. L'autore non ignorò il contrasto tra i due Principi degli Apostoli, ma non lo cavalcò, né accolse altre tesi polemiche, mentre portò in scena anche i filosofi Seneca e Lucano, agganciando il pensiero cristiano con la cultura classica.

Seneca è nel Carcere Mamertino, concaptivo con l'Apostolo, che sta scrivendo la lettera ai Galati. Entrambi sono in attesa dell'esecuzione capitale, parlano sui crinali dell'esistenza: «Seneca: Non sovrapporre i panni purpurei della fantasia alla casta nudità della ragione. Tu entri nella città storica dove non trovi né Giudeo né Greco, e sotto la stoica legge che livella libero e servo [...]. Una rosa dell'Ellade caduta tra le spine della Galilea, ecco il Cristianesimo. Paolo: [...] E perché in Atene non m'intesero e in Roma mi temono. Là deriso, qui condannato [...]. S.: E venisti? P.: A distruggervi. Sulla rovina (del pensiero) si erge la carità. Sulle macerie aleggia la fede. La scienza ha dato gli ultimi bagliori, senza luce; la natura ha svelato gli ultimi inganni, senza felicità; l'arte ha tentato le ultime ribellioni, senza redimervi. Resta la grazia. Sì, o Gàlati (tornando a scrivere) questa creazione nuova non è fatta per voi» (OD, p. 76). Nel dialogo con Lucano affronta il tema del perdono e della non-violenza: «Paolo: Mentre lo lapidavano ei gridò alto: "Signore, non imputar loro questa cosa a peccato", e, piegate le ginocchia, si addormentò in Cristo. Lucano: Preferisco Spartaco, caduto in ginocchio sì, fulminato fulminando, cercando Crasso con l'occhio e col grido. P.: Fu vinto. Stefano inerme, mi vinse. Io non colpii; peggio, custodii ai miei piedi le vesti dei testimoni» (OD, p. 92). Il filosofo diventa apologeta dei martiri cristiani. Insieme ai due intellettuali pagani l'Apostolo assiste ai tormenti di Epicari, l'etèra convertita. «P.: [...] O Maestro di Nazaret, si fa giudizio del secolo. È l'ora del regno tuo. Epicari: [...] Maestro, abbandono a costoro le carni arse [...]. A te l'anima mia, che ti crede. P.: Lasciatela lì, su quel limitare dov'è caduta, al confine di due Rome [...].

San Tommaso e Giordano Bruno

Dalle poche testimonianze tratte dalla sua fluviale produzione letteraria risulta chiaro il suo animus di credente, anzi di cristiano, che fa il contestatore sul piano storico e sociologico, ma è informato e "fedele" nei contenuti sostanziali. Una dimostrazione in merito la si ricava dal rapporto di tenerezza-rifiuto che stabilì con san Tommaso d'Aquino, del qual parlò più volte anche in Parlamento. In un discorso a Montecitorio disse: «Desideriamo che anche i liberi pensatori facciano e mostrino i loro studi utili sopra Tommaso filosofo, uomo e sacerdote [...]. Noi onoriamo l'autore della Somma, ma stiamo in guardia contro coloro che dietro la Somma della cattolica fede, tramano insidie contro lo Stato laico». «Accanto alla statua di Tommaso abbiamo innalzato nell'atrio dell'università la statua di Giordano Bruno, nell'atto di riconfermare il suo pensiero, che è moderno, contro la Curia Romana» (Discorsi Parlamentari, p. 130). È laico fino al bianco degli occhi, è militante di Palazzo Giustiniani, grande oratore dell'Oriente d'Italia, presidente della Costituente del 1887, componente della terna della Gran Maestranza del 1896. Ma andrebbe fuori strada chi gli contestasse il titolo di cristiano "intrepido e tranquillo" (Giustino, Apologia I, c. 46). In questo senso nelle opere a ogni passo si trovano testimonianze, qualche volta agrodolci, ma sostanzialmente costruttive.

Ne rilevo una dal poemetto Cisalpino al letto di Tasso. Il morente invoca: «Conducetemi Cristo! / Udiro i frati / e in devota ordinanza, mormorando / i metri penitenti accanto al letto / recaro il Sacramento [...]. / Udia Torquato / e l'Ostia prese tra le man tremanti, / e a Cesalpino l'occhio corse e ratto / sovra l'Ostia ricorse. / È ver? ... qui chiuso ... / è tutto Iddio? ... M'inganno?... Ahimé! Torquato, / se quest'ultima speme a te mentisse? ... / No, Dio qui sta!... Qui dev'essere Iddio!... qui l'aspettai... qui venne!... Iddio non puote / lasciar chi muore!... / E l'Ostia Tasso posa / sulle pallide labbra, ed un sospiro / dal petto profondissimo gli uscia, / che dopo trecent'anni non ancora / intese il mondo! Solo Cesalpino / scese in quell'alma, e la trovò deserta / e lacrimò dentro sé stesso» (Scritti letterari di G.B., Napoli, Pansini, 1875, 98-100).

Un uomo della sua austera laicità non poteva drammatizzare per puro esercizio letterario una così profonda fede nella presenza reale e nel dramma della morte di un artista come l'autore della Gerusalemme liberata. Se scelse questo tema e queste circostanze, è perché 'est Deus in nobis'. Direbbe Manzoni: Dio lo tormentava, lo agitava, non lo lasciava stare. Ci rattrista molto l'ottusità cattolica, presente per esempio nel Dizionario dell'omo selvatico di Papini e Giuliotti: «Il trombone filosofico della Democrazia Massonica Repubblicana Terzitalica Umbertina Napoletana. Un uomo talmente onesto che pur di non prendere agli altri le idee faceva a meno di averne. Scrisse Cristo alla festa di Purim, dove Giuda fa, naturalmente, una buona figura».

Bibliografia

G. Bovio, Opere drammatiche, a cura di C. Romussi, Milano, Sonzogno, 1904 (la trilogia)

Discorsi parlamentari, Roma, Camera dei Deputati, 1915

R.F. Esposito, G. Bovio tra l'apostolo Paolo e s. Tommaso d'Aquino, Livorno, Bastogi, 1975

Idem, Cristianesimo e massonismo nel teatro di G.B.

in AA.VV., "Massoneria e letteratura" Convegno di Pugnochiuso, Foggia, Bastogi, 1987, pp. 117-148

C. Bovio, G.B. nella vita intima, Milano, "Avanti!", s.d.

A.Carlini, La mente di Bovio, Bari, Laterza, 1914

G. Conti, Bibliografia, "G.B., Il nuovo secolo" (antologia), Roma, Libreria Politica Moderna, pp. 369-374

B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1915, pp. 335-353

P. Delfino, Riflessi, Bari, Laterza, 1904

G. Di Domizio, Il pensiero di G.B. nella filosofia, nell'arte, nella politica, Napoli, Di Pierro, 1904

C. Gentile, G.B. in un discorso che continua, "Riv. Massonica", Roma, n. 4, aprile 1976, pp. 225-231

R. Giamporcari, Gesù C. e il genio di G.B., Napoli, Tocco, 1899; G. Natali, B. e la missione del genio, Firenze, Nerbini, 1903

E. Ripardi, Il teatro di G.B., teatro della religiosità laica, "Lumen vitae", Roma, A. 11, 1955, pp. 270-276

A.Calandra, Risposta ai critici di G.B., "Giornale napoletano di filosofia, lettere e scienze morali", A. 6, 1877, pp. 93-108

M. Torelli, Civiltà nazionale e umanitaria. Pensando a G.B., Roma, Tip. Legale, 1937

A.Torre, G.B. La persona, le sue idee filosofiche e politiche, "Nuova antologia",, 16X1-1903, pp. 537-551

 

Il più importante festival italiano del sacro.

I numeri del Festival

23 GIORNI DI FESTIVAL

19 SPETTACOLI

11 SPETTACOLI CREATI PER IL FESTIVAL

165 aRTISTI

17 COMUNI COINVOLTI

Crucifixus un percorso fra teatro e musica

Cuore di Festival di Primavera è Crucifixus, il più importante festival italiano di teatro sacro, attento a creare un dialogo originale fra la tradizione e la reinvenzione di un antico patrimonio culturale. Anche l'edizione 2004 mantiene il duplice percorso Passione di Dio, con spettacoli di carattere sacro, e Passione dell'Uomo con lavori di carattere laico, interpretati da gruppi o artisti molto apprezzati nel panorama contemporaneo.

Ora si aggiunge una terza linea, Tradizioni del sacro, che lascia spazio a momenti della tradizione sacra popolare, espressa da eventi corali che ancora coinvolgono diverse comunità locali, come processioni, via crucis e interpretazione della Passione. La direzione artistica del festival è curata da Carla Bino e Claudio Bernardi, docenti di discipline teatrali presso l'Università Cattolica di Brescia.

Passione di Dio

Santo chi legge

Santo chi legge è un'avventura speciale prodotta dal Festival e riservata a tutti i bambini che incontreranno per le strade e le piazze di alcuni paesi un grande asino molto simpatico. Bisogna entrare nella sua immensa pancia e proprio lì dentro un attore della compagnia Teatro Magro narra di miracoli e di santi, di profezie, leggende e misteri.

Domenica 21 marzo Iseo ore 16

Domenica 28 marzo - Tavernola Bergamasca ore 16

Sabato 3 aprile Marone ore 16

Domenica 4 aprile - Esine ore 16

Quatuor pour la fin du temps

Ugo Pagliai è il raffinato interprete di Quatuor pour la fin du temps, partitura per musica e voce recitante scritta nel 1941 in campo di concentramento da Olivier Messiaen. Parola e musica si fondono e si confondono in otto movimenti che segnano, come le tappe di una Via Crucis, un lento e inesorabile avvicinarsi all'eternità.

Domenica 21 marzo Clusane d'Iseo ore 21

Il cavaliere nel sacco

Ideato da Giampiero Pizzol con la regia di Carlo Rossi Il cavaliere nel sacco è un incontro imperdibile con la storia di San Francesco d'Assisi raccontata ai più piccoli e ai loro genitori da un frate vero, Padre Marco Finco, che canta e suona la vita eccezionale del più umile degli scudieri di Gesù.

Martedì 23 marzo Pisogne ore 10

Mercoledì 24 marzo - Esine ore 10

Sabato 27 marzo Edolo ore 10

Un uomo di nome Francesco

La vitalità, la purezza e l'umiltà del Santo di Assisi diventano una vivace commedia religiosa che conquista il pubblico perché è un autentico esempio di teatro candido e sincero. La Filarmonica Clown, storica compagnia diretta da Letizia Quintavalla, presenta a Crucifixus 2004 uno dei suoi spettacoli più coinvolgenti e indimenticabili.

Martedì 24 marzo Breno ore 21 costo 3 euro

Venerdì 26 marzo Clusone ore 21

La pace sia con voi

Il percorso presentato da Crucifixus attraverso la Passione di Cristo narrata dai quattro Vangeli incontra ora l'interpretazione di una grandissima attrice del teatro italiano, Rossella Falk, voce recitante del Vangelo secondo Luca, diretta da Fabio Battistini.

Mercoledì 24 marzo Caravaggio ore 21

Giovedì 25 marzo Breno ore 21

Planzete Zieli

Una donna, in penombra, circondata da piccole candele e da un ristretto numero di spettatori racconta con grazia e con dolcezza un amore intimo e profondo per suo figlio morto in croce. Intanto la passione più viscerale del dolore esplode in altre voci di donna, quelle di Margherita Chiminelli e del coro Hope Singer che intreccia le sue note al Planctus della Madonna di Enselmino da Montebelluna recitato da Beatrice Faedi con la direzione di Renato Borsoni.

Giovedì 25 marzo Gorzone di Darfo ore 21

Domenica 28 marzo Caravaggio ore 21

Mercoledì 31 marzo - Cedegolo ore 21

Passione secondo San Giovanni

Un evento speciale realizzato appositamente per Crucifixus 2004 vede insieme tre grandissimi interpreti: Paolo Fresu, Giorgio Albertazzi e Uri Caine per una serata irripetibile e di forte emozione. Una delle voci più classiche del teatro italiano, Albertazzi, legge la Passione secondo San Giovanni, intrecciandosi ai suoni e alle atmosfere create dalla tromba di Fresu e dal piano di Caine. Un incontro desiderato da tempo e finalmente realizzato per una serata magica in cui l'intesa fra il trio lascia spazio all'intensità dell'improvvisazione che cerca nuovi spiragli, nuove emozioni e suggestioni per cogliere in maniera originale le parole di Giovanni. Un'unione feconda e una sperimentazione che innesta un testo e una voce tradizionali su sonorità ora soffuse e ora incredibilmente possenti e vibranti, capaci di colori unici che conquistano e trascinano il pubblico in un'esperienza di assoluto fascino.

Lunedì 29 marzo Pisogne ore 21 SERVIZIO BUS DA BRESCIA

I fioretti di San Francesco

Torna a Crucifixus uno degli ospiti più prestigiosi, Arnoldo Foà, ora protagonista di un recital dedicato ai fioretti di San Francesco d'Assisi. La sua voce vibrante si intreccia alle note dell'organo suonato da Giorgio Fabbri per dar vita ad un indimenticabile viaggio nel candore religioso di Francesco e nella semplicità entusiasmante della sua predicazione rivoluzionaria.

Mercoledì 31 marzo Darfo ore 21

Crucis via

Il paese di Bienno e la sua comunità diventano i protagonisti di Crucis Via, un'installazione-spettacolo curata da Anusc Castiglioni e Giulia Bonaldi, con drammaturgia di Andrea Malpeli, che ritrova il respiro più popolare e autentico della Passione. Per le vie del paese si costruisce insieme un grande calvario e poi si condivide una mensa fatta di ricordi, poesia e qualche biscotto.

Venerdì 2 e 3 aprile Bienno ore 21

Officium

La voce recitante di Gabriele Vacis, noto regista e attore, legge in contrappunto al Coro Voci dalla Rocca i versi dell'Officio della Quaresima dei Disciplini di Breno (XV), riportato in vita dalle musiche originali di Piercarlo Gatti e da una recente edizione critica.

Domenica 4 aprile Ardesio ore 21

Lunedì 5 aprile Breno ore 21

Martedì 6 aprile Tavernola Bergamasca ore 21

Ave Maris Stella

La splendida voce della cantante jazz Maria Pia De Vito si incontra con l'universo musicale di Claudio Astronio, per esplorare un repertorio sonoro antico con la creatività contemporanea. Così nasce il concerto Ave Maris Stella in cui brani sacri per organo del '500 e '600 dialogano con la voce e l'improvvisazione di una delle artiste più apprezzate nel panorama internazionale.

Domenica 4 aprile Cividate Camuno ore 21

SERVIZIO BUS DA BRESCIA

L'al di là di tutto

La serata dell'Angelo, che conclude la III edizione del Festival, vuole essere un omaggio e un ricordo di Marisa Fabbri, ospite a Crucifixus nel 2001, sul tema della Resurrezione grazie all'intrecciarsi delle voci di Franco Graziosi, Pia Lanciotti e Antonio Zanoletti diretti da Fabio Battistini.

Lunedì 12 aprile Bienno ore 21

Passione dell'uomo

Così attendo sereno la notte "Così attendo sereno la notte" è un verso scritto da David Maria Turoldo protagonista di questo monologo curato e interpretato da Antonio Zanoletti che attraverso un montaggio poetico dei principali testi turoldiani incarna la sete di salvezza di uno dei più interessanti testimoni cristiani dei nostri giorni.

Sabato 27 marzo Edolo ore 21

Sabato 3 aprile - Clusone ore 21

Il barbaro e lo scrittore

Sulle tracce di Romanino e Testori in Val Camonica. Iaia Forte, grande protagonista dell'Ambleto, legge brani di Giovanni Testori nelle tre Chiese del Romanino in Val Camonica. Introduce le letture Giovanni Agosti dell'Università degli Studi di Milano. L'iniziativa è realizzata in collaborazione con Associazione Giovanni Testori.

Domenica 28 marzo- Pisogne ore 14.30, Bienno ore16.30, Breno ore 18

Il tempo del lavoro

Uno dei narratori più originali e ammalianti dei nostri giorni, Ascanio Celestini, racconta le testimonianze e le storie che ha raccolto per due anni in 200 ore di registrazione dalle parole di decine di operai in tutta Italia.

Questi "materiali", che poi hanno dato vita allo spettacolo Fabbrica, diventano ora un inedito racconto per il pubblico del Festival con le musiche dal vivo di Matteo D'Agostino e Gianluca Zammarelli.

Venerdì 2 aprile Tavernola Bergamasca ore 21 costo 3 euro SERVIZIO BUS DA BRESCIA

Requiem

Requiem è senza dubbio uno dei debutti più prestigiosi di questa edizione di Crucifixus per la raffinatezza dell'operazione culturale che porta in un contesto comunitario il dolore intimamente privato della poetessa Patrizia Valduga per la scomparsa del padre, affidandosi alla voce di Franca Nuti e alla regia di Fabio Battistini.

Sabato 3 aprile Esine ore 21

Mercoledì 7 aprile Sale Marasino ore 21

La resurrezione del larice

Alessandro Mor è la voce del dolore raccontato dallo scrittore russo Varlam Šalamov, autore de I racconti della Kolyma, un viaggio straziante nel ricordo delle terribili condizioni di vita in un lager sovietico. Dopo tutti gli orrori un ramo morto di larice, l'albero della Kolyma, ritorna in vita come fosse la voce dei morti che ci chiedono di ricordare.

Sabato 3 aprile - Costa Volpino ore 21

Domenica 4 aprile Marone ore 21

Martedì 6 aprile - Erbanno di Darfo ore 21

Mercoledì 7 aprile Cedegolo ore 21

Massimiliano Kolbe

Un oratorio drammatico vissuto e interpretato da un'intera comunità, gli abitanti di Rogno, sotto la guida esperta dell'attore Antonio Zanoletti per ricordare come in un processo la figura esemplare di padre Massimiliano Kolbe in una riscrittura di Italo Alighiero Chiusano.

Domenica 4 aprile Rogno ore 21

Tradizioni del sacro

La fretada dei Apostoi

Bano Ferrari, clown e attore dalla verve trascinante, è la guida ad un percorso teatrale nelle tradizioni culturali della Valle Camonica, fra detti, leggende, storielle, vino e salame al caldo delle osterie. Le bòte camune, un tempo narrate nelle stalle durante le sere invernali, ritornano alla memoria collettiva grazie a questo progetto speciale per il Festival.

Giovedì 25 marzo Cedegolo ore 19

Venerdì 26 marzo - Costa Volpino ore 16.30

Martedì 30 marzo Cividate Camuno ore 17

Giovedì 1 aprile - Breno ore 18 e ore 20

Venerdì 2 aprile Darfo ore 17.30 e ore 20.30

Accanto a veri e propri spettacoli prodotti dal festival come La fretada dei Apostoi, rientrano in questa sezione delle manifestazioni corali e spontanee degli abitanti di alcune comunità locali, che animano diversi episodi della Passione:

Via Crucis Vivente

Gli abitanti di una piccola frazione di Pisogne saranno i protagonisti di una suggestiva Via Crucis vivente che rivisita in sette scene il dramma di Gesù alle prese con la tentazione. Si rivivranno così tutti i momenti fondamentali delle ultime ore del Cristo: le Tentazioni, l'Ultima Cena, l'Orto degli Ulivi, il Sinedrio, Gesù e Pilato, la Crocifissione e la Morte, la Deposizione e la Risurrezione.

Mercoledì Santo, 7 aprile, ore 20.30 nella frazione TOLINE di Pisogne

La Passione di Cristo è la nostra passione

La Passione di Cristo venne seguita da una folla di persone che ne accompagnò, con gli atteggiamenti più diversi, il tradimento, la condanna, la crocifissione, la morte. Rivivere la Passione è entrare a far parte di questa folla scegliendosi un posto preciso, un ruolo definito. Grazie ai testi di Vittorio Corti, con le armonie della corale S. Ambrogio diretta da Massimo Minini, nell'intimità notturna di luci ed ombre dell'antico borgo di Sciano, uomini, donne e bambini di Gorzone si ritrovano per un momento forte della propria vita comunitaria.

lunedì 5 aprile - Gorzone di Darfo Boario Terme, Chiesetta di Sciano, ore 21

La Passione di Gesù

Gli abitanti di Esine, saranno i protagonisti di un'Ultima Cena Vivente che coinvolge tutta quanta la comunità, chiamata intorno ad una tavola non per far festa ma per ricordare uno dei momenti più significativi della vita di Cristo. I testi sono a cura di Edoardo Bonalda, le musiche di Sasà Massarelli e la voce solista è di Emanuela Bianciardi.

Venerdì 2 aprile Esine - Piazza Giuseppe Garibaldi, ore 21

Iniziative Parallele

Mostre

Il cammino della Croce. Il segno, la materia, il colore. Opere di Pericle Fazzini, Lello Scorzelli, Giuseppe Monguzzi. A cura del Centro Culturale Arsenale di Iseo, in collaborazione con il Comune di Iseo

Nel percorso delle arti sul tema della Passione di Cristo si inserisce la voce dell'espressione figurativa del Novecento attraverso le rappresentazioni della Via Crucis di Pericle Fazzini, Giuseppe Monguzzi, Lello Scorzelli, conservate presso l'Associazione Arte e Spiritualità di Brescia. Il ciclo a carboncino di Pericle Fazzini (1957 ca.) costituisce lo studio preparatorio per una Via Crucis in bronzo situata nella chiesa di Santa Barbara di Metanopoli (MI); le quattordici stazioni svolgono una narrazione serrata, concentrata sul Cristo e sui diversi personaggi, mediante un segno duro ed insieme dinamico, una sorta di fremito tragico che accompagna lo scorrere degli eventi. Giuseppe Monguzzi affida al colore la meditazione partecipe alla sconvolgente storia della Passione (1987), in una sequenza scandita da cieli ora diafani e leggeri, ora tempestosi, ora bui e tetri, a contrappunto dello svolgimento dell'azione, che si conclude con la Resurrezione, sfolgorante trionfo della luce sulle tenebre della morte. Lello Scorzelli (1976 ca.) realizza una serie di formelle bronzee irregolari, ritagliate intorno ai personaggi della narrazione, che sembrano emergere da una materia magmatica che ne accentua la forza espressiva.

Sale dell'Arsenale vicolo Malinconia Iseo 20 marzo 18 aprile 2004. Feriali ore 16 19 ; sabato e festivi ore 10 12 ; 15 19.

Lunedì chiuso.

Ingresso libero. Informazioni: 030.981011

Compianto.

Di Agostino Ghilardi, a cura di Roberto Consolandi.

In collaborazione con l'Università Cattolica di Brescia.

Attraverso un gruppo scultoreo composto da otto personaggi Ghilardi esplora e induce alla meditazione sul dialogo fra l'uomo e la morte, tra l'identità della persona che tenta di dissolversi e la bellezza. Il Compianto sul Cristo di Agostino Ghilardi, evento, installazione, allestimento del dramma è la messa in scena di un'idea dello spazio espositivo come rappresentazione della coscienza.

Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia. Cortile Paolo VI, via Trieste 17

25 marzo - 25 aprile 2004. Ore 9 18 da lunedì a sabato.

Ingresso libero. Informazioni: 030.2406377

Crucifixus Festival di Primavera e il turismo

ASSAGGIA LA VALCAMONICA

Itinerari culturalgastronomici a cura di Ecoturismo Italia e Kernunos Viaggi Con autobus in partenza da Milano, Bergamo, Cremona, Brescia e Mantova, Ecoturismo Italia ha elaborato per Festival di Primavera 3 percorsi turistici per scoprire l'arte e la cucina camuna e gli spettacoli di Crucifixus. Dalle sponde del lago d'Iseo alla media Valcamonica si sviluppa un itinerario nei luoghi in cui Girolamo Romanino lasciò alcune fondamentali testimonianze artistiche.

Da Pisogne con il vasto ciclo pittorico nel santuario di S. Maria della Neve, un capolavoro "anticlassico", pieno di foga ed eccitazione, capace di recepire le espressioni della religiosità degli strati popolari più poveri, si arriva a Breno per ammirare le immagini indimenticabili, dai toni grotteschi, lasciate dall'artista sui muri della chiesa di S. Antonio. Ultima tappa del percorso è Bienno dove, nella chiesa di S. Maria Annunciata, Romanino realizzò un ciclo dai toni più romantici e introspettivi, ispirato ai Vangeli apocrifi.

Dopo una cena a base di prodotti tipici si prende parte ad uno degli spettacoli del Festival.

Venerdì 2 aprile, spettacolo "La fretada dei apostoi"

Sabato 3 aprile, spettacolo "Requiem"

Lunedì 12 aprile, spettacolo "L'al di là di tutto"

LA TAVOLA DI PASQUA

Tridui a tavola

Il venerdì si potrà riscoprire la cucina di magro. Nata non solo da un costume religioso (quello del digiuno e della ristrettezza quaresimali), ma anche dalla saggezza stessa dei popoli che con quella saggezza "condivano" la necessità, la cucina di magro è fra le molte egregie maniere di imbandire tavola.

Il sabato e la domenica verranno cucinati i piatti di grasso, ricchi, festivi. Per fare Pasqua nel rispetto della tradizione lacustre e montana.

 

 

Il più importante festival italiano del sacro. Ogni Primavera in Valcamonica. Il PROGRAMMA di quest'anno.

Andrea Giordana chiude domani (Lunedì dell'Angelo, 28 marzo 2005, n.d.r.) il festival di teatro sacro Crucifixus»

«Nelle poesie di Alda Merini che reciterò, la sofferenza di Cristo diventa quella di tutta l'umanità E in questa esperienza c'è la più alta espressione del dono di sé»

di Pierachille Dolfini

La vita non fa sconti, l'ho sperimentato in prima persona: chi prima, chi dopo deve fare i conti con la sofferenza. Arrivato alla mia età, a58 anni, comincio ad avvertire questo dolore intorno a me, un dolore che a volte ti sfiora, che altre ti coinvolge, quel dolore degli altri che inevitabilmente diventa il tuo». Andrea Giordana, figlio d'arte - il padre era Claudio Gora, la mamma Marina Berti - attore di teatro, volto tv dal varietà alla fiction darà voce a questa sofferenza, «quella di Cristo che nella poesia di Alda Merini diventa la sofferenza di tutta l'umanità», facendola diventare teatro.

Domani sera , alle 21, nella chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne (Brescia), sarà interprete di Poema della croce, testo della Merini (regia di Fabio Battistini, al violoncello Marcella Moretti) che chiude Crucifixus, festival di teatro sacro giunto quest' anno alla sua quarta edizione.

Allora Giordana, è il suo scoprirsi uomo che deve fare i conti con il dolore, che l'ha spinta a portare in scena la sofferenza di Cristo?

«Mettiamola così. Essendo coinvolto anche io, per circostanze molto personali che fanno parte della mia storia, in quest'onda di dolore mi è sembrato opportuno accettare la proposta di portare in teatro il poema della Merini. Un testo che ha un grande merito: quello, cioè, di non descrivere una sofferenza fine a se stessa: la poetessa, infatti, vede nell'esperienza della croce di Cristo la più alta espressione del dono di se stessi, dell'uomo che non teme di affrontare il dolore per gli altri».

Perché proprio la poesia per parlare di sofferenza?

«Con il Poema della croce la Merini ha voluto dire che solo la poesia è in grado di rendere sopportabile il dolore. In questi versi trovo la sua sofferenza di donna che diventa la sofferenza dell'umanità, trovo il dolore di Cristo e di Maria che si confondono con quello dell'uomo e diventano comune denominatore di un'esistenza difficile. La Merini ha vissuto tutto questo sulla sua pelle e nei suoi versi ci fa capire come il dolore sia motore della sua come della nostra vita. Di fronte a tutto questo come non augurarle di ricevere presto il Nobel?».

Il pubblico come reagirà di fronte a tematiche tanto impegnative e drammatiche?

«Se pensiamo al momento storico che stiamo vivendo, in cui tutti gli spazi vengono riempiti dalla volgarità, dalla chiacchiera vuota, la nostra impresa appare impossibile. Ma sono fiducioso: il fatto che qualcuno abbia pensato di rimettere al centro la poesia, le domande sul senso della vita è un segnale incoraggiante. E sono sicuro che il pubblico, che oggi più che mai avverte il bisogno di trovare spazi di riflessione anche a teatro, capirà».

 

 

Debutti . Sabato a Milano la «La Pasión según San Marcos»

Un Gesù simile al Che in Sant' Ambrogio danzerà la «capoeira»

«Prima» italiana per l' opera di Golijov. Il compositore ha trasferito gli ultimi istanti della vita di Cristo sullo sfondo del continente latino-americano

MILANO - Sabato prossimo, vigilia delle Palme, nella basilica di Sant' Ambrogio, una delle più antiche e più belle della città, verrà eseguita la La Passione secondo San Marco. E fin qui niente di strano, si dirà. E invece questa La Pasión según San Marcos di scena in prima italiana a Milano (poi il 17 al Teatro Comunale di Ferrara e il 19 all' Auditorium di Roma per la stagione di Santa Cecilia) di sorprese ne riserva tante. A cominciare dal fatto che sotto quelle sacre volte si danzerà la capoeira e si darà voce a un Gesù somigliante nello spirito al Che Guevara. Quanto alla musica, Osvaldo Golijov, compositore ebreo argentino tra i più originali del nostro tempo, amato anche da Coppola che gli ha chiesto la colonna sonora del suo ultimo film, Un' altra giovinezza, ha voluto trasferire gli ultimi istanti della vita di Cristo sullo sfondo drammatico e vitalissimo del continente latino-americano.

Quel che ne esce è un grande rito di travolgente energia che intreccia sonorità classiche e klezmer, il tango di Piazzolla ed echi gitani, suggestioni afro-cubane e canto gregoriano. Ad eseguirlo un ensemble di 90 persone messo insieme da Golijov per l' occasione e formato da l' Orquestra La Pasión, il coro della Schola Cantorum del Venezuela, i Solisti di Mosca, il soprano Jessica Rivera, la jazzista Luciana Souza, direttore Maria Guinand. E con loro anche due danzatori, uno di formazione afro-cubana, l' altro un maestro di capoeira. «La capoeira è la danza di liberazione degli schiavi, e questo credo sia il senso profondo del messaggio di Cristo. Soprattutto riletto nel contesto sud americano», spiega Golijov, scelto con Sofia Gubaidulina, Tan Dun, Wolfgang Rihm per scrivere quattro nuove Passioni nell' ambito delle celebrazioni bachiane del 2000. «Mi tentava mettermi a confronto, io ebreo, con il momento clou della fede cristiana - racconta -. Io non credo nella natura divina di Cristo, né che sia il Messia, né che sia risorto. Lo stesso Vangelo di Marco non parla di resurrezione. Quella è una scena che qualcuno ha aggiunto qualche secolo dopo. Per me Gesù è solo un profeta capace di proporre un nuovo modo di vedere il mondo, dalla parte dei diseredati».

Stimmate sociali che Golijov paragona a quelle della più grande icona del continente latino-americano, il comandante Guevara. «Come Gesù anche il Che si battè per la dignità dei più poveri, come Gesù anche lui venne tradito proprio dalla sua gente. E gli stessi contadini che spifferarono alla Cia dove si nascondeva, dopo che fu ucciso tagliarono ciocche dei suoi capelli come reliquie... Che poi è quello che usano fare i cristiani con i loro santi e martiri». Nel calvario di Cristo il compositore rilegge le tappe della violenza e della tortura inflitte dal regime militare argentino. «Una feroce dittatura spalleggiata anche dalla chiesa ufficiale. Ho visto in tv i vescovi argentini benedire le armi dei militari. Una chiesa corrotta e violenta pronta ad accanirsi sui suoi stessi fratelli, i tanti preti della teologia della liberazione pronti a morire per seguire, loro sì il messaggio di Gesù. Mi rendo conto di dire parole forti, soprattutto pensando al Papa attuale, ma questa è la realtà», assicura Golijov. E conclude: «Gesù ha tanti volti. Oltre al Che somiglia alle madri di Plaza de Mayo, ai tanti desaparecidos... Il grido del Cristo morente sulla croce: Dio mio perché mi hai abbandonato è il grido dell' intero continente latino-americano».

Il personaggio Due Grammy con Lorca. Osvaldo Golijov è compositore in residence della Chicago Symphony Orchestra per il prossimo biennio. Con l' opera «Ainadamar» (sulla morte di García Lorca) ha vinto due Grammy

Manin Giuseppina

Pagina 53

(11 marzo 2008) - Corriere della Sera

 

Per il dramma medievale, i vangeli offrivano materiale in abbondanza.

Il Dramma medievale. Per il dramma medievale, i vangeli offrivano materiale in abbondanza. Di grande influenza per l'evoluzione del genere furono il grande poema didascalico proveniente dalla Northumbria Cursor mundi (1320 circa) e, soprattutto, il poema anonimo tedesco Die Erlosung ("La redenzione", fine del XIV secolo), nel quale la redenzione si compie sullo sfondo di un concilio celeste e con il commento dei profeti al Vecchio e al Nuovo Testamento.

I dialoghi contenuti in quest'opera vennero ripresi letteralmente nelle rappresentazioni teatrali. Ancora nel XVI secolo, nel solco di questa tradizione l'intero dramma della salvezza portato a compimento da Gesù fu messo in scena nell'Auto da historia de Deus di Vincente (1527). Oltre a un gran numero di testi medievali sui particolari della vita di Gesù (episodi, miracoli e parabole), ve ne sono alcuni che affrontano l'argomento nel suo insieme: Sankt Galler Spici ("Dramma di San Gallo", prima metà del XIV secolo) e un Ludus Christi del 1298 da Cividale, il cui allestimento scenico richiedeva tre giorni.

I poeti paleocristiani cantarono la figura di Gesù in inni.

Inni. I poeti paleocristiani cantarono la figura di Gesù in inni:

Clemente Alessandrino (III secolo)

Prudenzio (Corde natu ex parentis, IV-V secolo)

Ambrogio (Splendor paternae gloriae, 380 circa)

Sedulio (A solis ortu cardine, 450 circa)

Venanzio Fortunato (Vexilla regis prodeunt, seconda metà del VI secolo).

 

Il genere fu proseguito con risultati più o meno buoni:

dal monaco irlandese Blathmac, figlio di Cu' Brettan (750-777)

dal borgognone Wipo (inno pasquale "Victimae pascali laudes, 1025 circa)

da Notkero Balbulo ("il balbuziente", Liber hymnorum, X secolo)

e da molti autori anonimi;

ancora, da Lutero e, negli innari luterani a partire dal 1524, dal pastore islandese Pétursson (1666)

da Lorenzini (Coelestis agni, 1720 circa)

e dal papa Leone XIII alla fine del XIX secolo (O gente felix hospita, sulla sacra famiglia di Nazaret).

 

DA PALERMO per AVVENIRE. 16 marzo 2008

di DOMENICO RIGOTTI

Non succede spesso, se non nei gala, di vedere tante star della danza unite sulla stessa ribalta. Volti giovani e grandi icone del balletto. Come la Fracci e la Savignano, che ritroviamo insieme dopo sedici anni. Ma soprattutto succede raramente che un balletto consegni un forte messaggio d’amore e di pace come in questo 'I have a dream' ideato da Beppe Menegatti e di cui firmano le coreografie Luciano Cannito e Michele Merola (oltre a felici interventi di Ileana Citaristi e Tadashi Endo).

Spettacolo, che ha debuttato al Teatro Massimo di Palermo, ricco di momenti di forte intensità emotiva dove la danza si occupa di grandi tematiche di attualità, di grandi valori e di grandi personalità che hanno contribuito a cambiare la storia recente. Personaggi a noi vicini nel tempo che per la pace e la fratellanza umana hanno speso tutta la loro esistenza, in alcuni casi fino al sacrificio della vita stessa. Come Martin Luther King (sua la frase del titolo, suo il sogno che deve avverarsi) che apre la folta galleria di ritratti. Un Luther King «riflesso» dal danzatore di colore e canadese Hans Vacol, ma che prima viene evocato, con le sue stesse parole, da Remo Girone.

È infatti la voce narrante del popolare attore che fa da filo conduttore della serata e che ci porta, forse con enfasi eccessiva, ad ascoltare brani anche di altri personaggi d’eccezione. Fra i quali trova particolare risalto quello di Madre Teresa di Calcutta, l’intrepida suora che dedicò ogni attimo della sua esistenza al dolore degli emarginati. E che, in una delle sequenze più vivide, e in forma allegorica, è Carla Fracci a far rivivere. Con una danza che è al tempo stesso preghiera, canto, esaltazione e sofferenza trasfigurata. La nostra intramontabile étoile a regalare anche un secondo momento coinvolgente, nel quadro finale, che richiama la tragica primavera di Praga e il sacrificio del giovane Jan Palach (il bravo Alessio Carbone).

Ma, raccolti da un abbraccio ecumenico dalla scenografia di Italo Grassi, a sfilare altri e non meno grandi campioni della libertà e dell’amore. Gandhi compreso, che «risorge » in un intenso «a solo» affidato al bravissimo Giuseppe Picone. Mentre la scaligera Sabrina Brazzo anticipa e dà bella sensibilità al personaggio della Politkovskaya, la giornalista russa barbaramente uccisa da certi poteri politici. Poi le figure di due sacerdoti che, su fronti diversi, si batterono con coraggio: don Milani e don Puglisi. Toccante la morte di quest’ultimo, per mano della mafia, nell’interpretazione di Luca Panella. Come toccanti sono le interpretazioni dell’altra grande étoile della serata, Luciana Savignano. Prima nelle vesti della carmelitana ed ex ebrea Edith Stein, poi in quelle della birmana Aung San Suu Kyi: l’una e l’altra restituite con quel carisma e quella gestualità drammatica che sono sua prerogativa.

Fa leva, lo spettacolo, su una colonna sonora forse un po’ troppo ridondante, frutto com’è di un mix di pagine musicali alquanto eterogenee (tanto Sostakovic e poi Puccini, Bach, Prokofiev, Gluck, Gardel e persino Guccini e gli U2) ed è da rilevare che per le troppe figure che entrano in causa rasentano un po’ il Reader’s Digest. Tanto più che non tutti gli episodi, dove sempre i danzatori del Massimo appaiono impegnatissimi, vivono dello stesso afflato poetico. E anche gli interventi cantati affidati a Rossana Casale finiscono col dilatare troppo la serata. È però I have a dream un poema coreutico intelligente e generoso che lascia un segno nella nostra coscienza.

 

Valentina Cortese dà voce a una Madonna senza età.

MAGNIFICAT di Alda Merini adattamento e regia di Fabio Battistini, con Valeria Cortese.

Un tavolo e una sedia da giardino in ghisa bianca primo Novecento sono gli unici oggetti ad adornare la scena dell'elegante Teatro all'aperto della Biblioteca di via Senato. Lì, accompagnata dalle musiche barocche per violoncello (Roberto Giri) e arpa (Loredana Gintoli) di Marin Marais, Abel Caix D'Hervelois e, con un piccolo balzo temporale, Bach, Valentina Cortese dà voce a una Madonna senza età in "Magnificat" Alda Merini.

Diretta, essenziale, come l'abito di chiffon nero che indossa insieme all'immancabile turbante.-foulard, è una madre di Dio prima bambina, dolcemente umana nello stupore che accompagna la scoperta del suo ruolo, poi cosciente della gloria divina per cui è stata prescelta. Ma anche pronta ad assumersi la responsabilità di generare questo figlio che avrà sempre e mai.

Il libro, edito da Frassinelli, si compone di poesie contrappuntate da brevi prose che ripercorrono alcune tappe dell'esistenza di Maria: la scelta di fare di lei la madre di Dio l'incontro con l'arcangelo, Gabriele, il dubbio di Giuseppe e la sua accettazione della verginale maternità, per poi passare immediatamente al dolore; alla croce come peso da portare e segno del doloroso distacco dal figlio. «La raccolta della Merini, qui interpretata senza soluzione di continuità, - spiega Fabio Battistini, che cura l'adattamento e la regia dello spettacolo - ricorda. alcuni passi del 'Compianto della Madonna" di Jacopone da Todi, ma anche le laudi di San Bernardo di Clairvaux. Il tema della maternità di Maria è infatti affrontato nel suo aspetto più terreno e femminile: smarrita di fronte al destino sconvolgente di essere al contempo vergine e madre, ma anche pronta spiritualmente a fare pieno dono di sé accogliendo nel suo grembo il Cristo".

Nel finale, infatti, la «spiritualità laica» della Merini sottolinea l'accettazione da parte di Maria del suo destino, ma anche la consapevolezza del posto che occuperà nell'Empireo, tra Dio e Cristo, come già nella «Commedia» dantesca e nelle liriche di Rilke. «E' un concetto molto moderno e oggi molto dibattuto - prosegue Battistini - quello della presenza femminile nella Trinità, come sposa di Dio e madre di Cristo e che si ricollega, nel tema della "grande madre", a tute le altre religioni».

Claudia Cannella

 

di Lorenzo Rosoli

L eonardo Manera, attor comico della premiata scuderia Zelig, pochi lo sanno ma se ne intende, di cattivi ladroni. Quasi un esperto. Il più famoso di tutti, quello dei Vangeli, lo porterà in scena stasera e domani in due chiese bresciane. Sarà il suo contributo a Crucifixus, il festival di teatro sacro più importante d’Italia che ha preso il via ieri con il jazzista Paolo Fresu. Altri ladroni, invece, li ha conosciuti frequentando le carceri milanesi di Bollate e di San Vittore per portare anche dietro le sbarre la buona novella di un sorriso.

Mai tornando, confessa lui, a mani vuote. In quel peregrinare teatrale e umano fra esclusi e reclusi, infatti, ha sondato quanto possa essere profonda, insanabile, la sete di felicità e di libertà che abita anche le esistenze più disperate. Accorgendosi come analoghe inquietudini dimorino dentro di lui; le sue sbarre e catene, lascia intendere, il successo televisivo che inchioda il tuo talento alla routine di una maschera; la sua terra promessa racconta ad Avvenire nella 'tana' milanese di Zelig alla vigilia dell’esordio nei panni dell’evangelico reietto gli incontri con le persone che possono cambiarti la vita. Non solo quella professionale.

Per chi fa il suo mestiere, d’altronde, è difficile separare vita e lavoro. «Ho sempre fatto teatro; a 17 anni il primo spettacolo, dai vent’anni in poi è diventato la mia professione, nonostante avessi iniziato giurisprudenza. Ho fatto di tutto, anche gli spettacoli per bambini e l’animatore nei villaggi turistici; poi è arrivato il cabaret, poi la televisione: era il 1997, su Italia 7». Non ha più smesso: da Quelli che il calcio dell’era Fazio a Zelig (che quest’anno ha onorato con una parodia del cinema polacco di grande successo) alla sitcom Belli dentro, ambientata proprio in un carcere.

Nato a Milano quarant’anni fa, ha vissuto fino a vent’anni a Salò, sul lago di Garda: «Là stanno ancora i miei genitori, ogni tanto vado a trovarli; ma col mio mestiere farlo è un privilegio sono dovuto tornare a Milano».

Un mestiere che è una «vocazione». «Lo spettacolo, soprattutto dal vivo, è una forma di comunicazione che ti permette di esprimere quelle parti di te che nella vita quotidiana non riusciresti a tirar fuori. Sul palco mi sento più libero, penso di dare la parte migliore di me».

Stasera dovrà darla nel ruolo del Cattivo ladrone . Così s’intitola il testo scritto da Claudio Bernardi, docente dell’Università Cattolica, direttore artistico con la collega

 

CRUCIFIXUS

Lo spettacolo «Il Cattivo Ladrone » testo di Claudio Bernardi, musiche di Mario Mariani. Informazioni sul sito www.crucifixus.com.

SI RACCONTA

Carla Bino di Crucifixus. «Bernardi ha attinto ai Vangeli apocrifi nei canonici cè ben poco.

Sarà un monologo con parti recitate e parti lette, il testo di Bernardi e alcuni 'inserimenti' miei. Sarò in scena con un pianista, Mario Mariani. Mi è piaciuta subito l’idea di rileggere una storia grande dal punto di vista di un personaggio minore».

Un personaggio che la tradizione ha immortalato cattivo e irredento. «In realtà è un Forrest Gump al contrario: non è cattivo ma è sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gesta così si chiama il ladrone sale in scena per raccontare al pubblico la sua vera storia. Figlio di una lebbrosa abbandonata dal marito, rimasto orfano ancora bambino, venduto schiavo in Egitto, poi saltimbanco in Galilea e giullare alla corte di Erode, per un equivoco quando Gesù caccia i mercanti dal tempio viene arrestato quale agitatore delle folle e crocifisso alla sinistra del Nazareno».

La tradizione vuole inoltre che il cattivo ladrone finisca all’inferno dopo aver insultato il Cristo crocifisso con lui, mentre l’altro ladrone quello buono vola subito in paradiso. Nella «versione di Bernardi» va diversamente.

«Quando Gesù dopo la morte scende agli inferi, lo trova nel limbo nemmeno i diavoli lavevano voluto! , lo perdona, mostrando comprensione per la disperazione e il dolore che aveva patito sul Golgota, e lo porta con sé in paradiso... alla sua sinistra».

l cattivo ladrone simbolo di tutte le vittime delle circostanze? «Non solo. È anche il simbolo di chi si accontenta di seguire il corso degli eventi restare nel limbo e non fa niente per migliorare se stesso, la propria vita e quella degli altri». A cambiare le carte in tavola, gli incontri di Gesta con Gesù, nella vita terrena come nell’ultraterrena... «Ci sono incontri e persone che segnano il nostro cammino. L’anno scorso ho conosciuto alcuni cristiani praticanti molto assidui; ho avuto con loro un’esperienza che mi ha fatto riflettere e riavvicinare alla fede. Tutto è cominciato nel carcere di Bollate, parlando con una persona, anche lei 'dietro le sbarre' per uno spettacolo». In carcere Leonardo racconta di aver scoperto un’umanità a suo modo ricca e affascinante. Come quell’omicida, ormai anziano, «che si sentiva libero solo quando modellava le sue sculture in argilla. Me ne ha regalata una. E io l’ho regalata alla mia fidanzata, perché quando sono con lei vivo un’esperienza di libertà». Il carcere: un mondo a parte, «lontano dalla logica della nostra società dove tutto è basato sul produrre e consumare. Un mondo altro, come l’ospedale in cui ho ambientato lo spettacolo comico col quale sto girando ora. Si intitola Costole e racconta la storia di un uomo ricoverato perché si rompe quattro costole è successo anche a me... Dal letto d’ospedale comincia a vedere il mondo in modo diverso, più critico. Così, prima di dimetterlo, lo sottopongono a sedute di 'condizionamento' per riabituarlo alla società dei consumi».

Quale Manera vedranno gli spettatori di Crucifixus? Quanto diverso dal cliché televisivo? «Non ho mai fatto teatro sacro o ispirato a figure e temi religiosi. Ma non ho paura. Il testo mi calza a pennello. E poi pur toccando eventi drammatici come quelli del Golgota il racconto non rinuncia mai al sorriso. Credo sia possibile dire cose importanti col sorriso sulle labbra. Mi cimenterò col teatro di narrazione quello che ha in Marco Paolini, Marco Baliani o Ascanio Celestini gli esponenti più conosciuti.

Nella gente c’è un grande desiderio di incontrarsi e 'fare comunità' ascoltando storie... È a quel desiderio che vogliamo dare risposta. Così come all’inquietudine che mi porto dentro, mai veramente contento di quello che faccio. Non so come sarà la vita dopo la morte ma ho una speranza: che quell’inquietudine si possa placare nella gioia di quel che siamo, per noi stessi e per gli altri».

Rivisitazione sadomaso della passione di Cristo il 27-28 giugno 2007

Scola: «Sospendete Messiah Game»

Enrico Tantucci per Il Gazzettino di Venezia e Mestre 20. 06. 07

Il patriarca chiede alla Biennale di rinunciare allo spettacolo di danza

Ma la fondazione non cede e rifiuta ogni censura

 

Anche il Patriarca di Venezia Angelo Scola chiede alla Biennale di sospendere Messiah game, rivisitazione sadomaso della passione di Cristo firmata dal coreografo tedesco Felix Ruckert, nel cartellone della Biennale Danza in prima italiana il 27 e 28 giugno nelle Tese dell’Arsenale.

Il comunicato del Patriarcato ispirato dal cardinale Scola non lascia dubbi sul giudizio nei confronti dello spettacolo dell’ex danzatore di Pina Bausch che rivisita a suo modo alcuni episodi del Vangelo, trasformando l’Ultima Cena in un’orgia dissacrante.

«Di fronte all’esplicita intenzione provocatoria e offensiva della fede cristiana - si legge nella nota della Curia - da parte dello spettacolo Messiah Game, è opportuno interrogarsi sulla consistenza di tale iniziativa». La Biennale aveva già replicato alcuni giorni fa alla neonata Lega Cattolica Antidiffamazione, che aveva chiesto di annullare lo spettacolo. «Una simile decisione - aveva dichiarato il Consiglio della Biennale, presieduto da Davide Croff e di cui è vicepresidente il sindaco Massimo Cacciari - mai verificatasi nella lunga storia di questa istituzione, minerebbe alle radici il principio di autonomia e di libertà d’espressione sia della Fondazione La Biennale, sia del direttore artistico. Ogni giudizio di tipo etico, morale o religioso è pertanto lasciato alla coscienza del pubblico».

Ma per il cardinale Scola «l’identificazione degli intenti provocatori e offensivi con la libertà di espressione sembra nascondere un’incapacità di trovare e proporre nuovi linguaggi artistici che rispondano realmente alla sensibilità contemporanea. Quanto alla questione dell’eventuale censura preventiva è importante ricordare che lo spettacolo proposto risponde ad una scelta precisa da parte della direzione della Biennale Danza. Tale scelta di fatto non ha tenuto in considerazione il contesto sociale e culturale, veneziano e internazionale, che conta una rilevante presenza di cristiani per i quali un tale spettacolo risulta oggettivamente offensivo».

L’invito del Patriarca alla Biennale è perentorio: «Ci si augura, quindi, che lo spettacolo sia sospeso, come già successe a Strasburgo. Sarebbe triste constatare nell’arte contemporanea una deriva provocatoria ed offensiva. Essa lederebbe la società plurale in cui viviamo, società chiamata a vivere laicamente, cioè nella conoscenza e nel rispetto reciproci, evitando l’irrisione dell’identità e dei valori altrui».

Anche la Lega Nord interviene, sollecitando l’intervento della magistratura e chiedendo le dimissioni del presidente della Biennale. In una mozione presentata al Consiglio comunale, la Lega Nord chiede anche l’intervento della Regione e del Governo. «Vergognoso - dice il capogruppo del Carroccio Alberto Mazzonetto - impiegare i soldi dei cittadini per mettere in scena un volgare insulto alla nostra religione. In Messiah Game vengono messe in scena rappresentazioni pornografiche della vita di Gesù.

Sappiamo bene che alcuni ci additeranno come bigotti e codini, ma è un rischio che corriamo, quando la libertà di espressione di sedicenti ’artisti’ diventa alibi per offendere la sensibilità umana e religiosa di altre persone». Lo spettacolo è stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Luca Volontè (Udc) e ha provocato reazioni indignate in ambienti cattolici e della comunità ebraica.

Commenta il consigliere della Biennale Franco Miracco, portavoce di Giancarlo Galan: «Non capisco questa presa di posizione del Patriarca, perché qui si tratta di giudicare uno spettacolo - che si annuncia di qualità - sul piano artistico e non religioso. Se fosse osceno e blasfemo, si qualificherebbe da sé, ma la Biennale non può negare la sua storia autocensurandosi».

(20 giugno 2007)

 

Biennale Danza  5. Festival Internazionale di Danza Contemporanea  Felix Ruckert (Germania) Messiah Game 

Body & Eros 

27/28 giugno ore 20.00 - Teatro alle Tese, Arsenale

Messiah Game,  prima italiana

ideazione e coreografia Felix Ruckert musiche originali Christian Meyer

con Caroline Allaire, Vidal Bini, Matthieu Burner, Louise Chardon, Robert Clark, Laura Frigato, Catherine Jodoin, Lara Martelli, Vivien Roos, Ricardo de Paula, Frank Willens, Johanna Elisa

"Messiah Game dichiara la compagnia - non mette in dubbio i misteri della fede e nemmeno propone nuove letture esegetiche delle Scritture. Felix Ruckert si permette di affrontare un tema basilare nella cultura occidentale come materia di interpretazione soggettiva, poetica e sensibile Il Messiah del titolo si riferisce alla fonte dispirazione del coreografo: Felix Ruckert propone uninterpretazione libera di brani scelti dal Nuovo Testamento. Uninterpretazione audace, discutibile e talvolta inaccettabile, che pesca tra limmaginario della tradizione giudaico-cristiana e le pratiche del sadomasochismo, tra ciò che è considerato eredità della cultura ufficiale e ciò che invece è confinato in una subcultura.  Ruckert e la sua compagnia si azzardano a portare sulla scena una poetica del dolore e una passione dei corpi che riecheggiano nel fondo oscuro e arcaico dell’animo umano.

Game indica invece la forma dello spettacolo. Più che una coreografia scritta, la composizione segue infatti un corpus di regole-base che lasciano spazio all’improvvisazione, alla spontaneità e al caso. Come in un gioco di squadra, se ne conoscono le regole, ma non le dinamiche che interverranno, né tanto meno il risultato".

BIENNALE DANZA

Ieri sera a Venezia ha debuttato il contestato lavoro del coreografo Ruckert. Davanti al teatro una trentina di persone ha pregato e distribuito volantini alle poche centinaia di spettatori

«Messiah Game», una ferita inutile

Nello spettacolo sui Vangeli banalità, volgarità e grottesca violenza

di Domenico Rigotti. Avvenire 28 giugno 2007

Una macchia nera. Una grossa macchia nera difficile da cancellare. Che non può essere cancellata. Nell'anima del credente una ferita. Chiaro a ciò a cui ci riferiamo. A Messiah Game del coreografo Felix Ruckert, presentato ieri sera nel cupo Teatro alle Tese dell'Arsenale (davanti a poche centinaia di persone) nell'ambito di quella Biennale Danza veneziana che procede quest'anno tra spettacoli di non alto profilo artistico ed eventi che con la vera danza hanno a poco a che vedere, sotto un insegna più da night (Body&Eros) che da manifestazione culturale. E dire che si tratta di denaro pubblico.

Possono valere tutte le ragioni dell'arte, ma di fronte a ciò che l'uomo di fede e il cristiano ha di più sacro, l'arte ha il dovere di ritrarsi, soprattutto di non ferire, peggio, insozzare, il sentimento religioso: la parte più luminosa del cuore umano. L'orgoglio dell'artista, la presunzione dell'artista, a volte è così grande da non riconoscere l'errore che può commetere.

Così è per il coreografo tedesco Ruckert che ha inteso "rileggere" alcuni dei più straordinari passi del Vangelo, con intelligenza distorta, secondo una luce torbida e malata. (Che distanza, che abisso, anche morale, da quel famoso "mistero coreografico" Laudes Evangelii realizzato con mani delicate da Léonide Massine per una Sagra Musicale Umbra degli anni 50!; ma è epoca lontana, non così infelice, povera di etica quale è la nostra).

Gli episodi della vita di Cristo, cinque scene chiave, ivi comprese l'Ultima Cena e la Crocefissone, intrepretate (se pur con segno astratto e non figurativo) secondo un'ottica aberrante. Alla luce di tematiche quali dominio e sottomissione, devozione e possesso. Il tutto con un marcato, violento invio a estetiche e pratiche sadomasochistiche. Intollerabili a vedersi sulla scena, se non fosse che alla fine poi risultano anche di un ridicolo grottesco. Che dire di quei corpi ignudi, se pur in penombra, nel quadro delle Tentazioni? E glissons sul restante. Ivi compresa l'ultima scena ridotta a un banchetto finto-orgiastico.

Messiah Game, un lavoro segnato da un fallimentare, falso estetismo, che difficilmente troverà segnalazione nella storia o nelle storie della danza, se non forse per avere suscitato clamore e scandalo. Un frutto bacato che riceve scarsa considerazione anche presso i fan accaniti del Tanztheater tedesco di cui il 48enne bavarese Ruckert è uno degli ultimi, e a giudicare da questo lavoro, tra i meno interessanti epigoni.

Novanta minuti di grande tedio su una musica minimalista e martellante. Novanta minuti lunghi a passare tra noia e astrazione bizzarre, momenti di morbosità e sensualità. Novanta minuti durante i quali gli undici giovani danzatori, pur bravi e carichi di energia, qui male esplicitata, sono chiamati in continuazione ad esercitarsi (non dico esprimersi perché il termine sarebbe errato) con un linguagio contorto e bislacco.

Ad articolare i loro movimenti e i loro gesti, talvolta studiati, talvolta spontanei, intorno al motivo della Dominanza e della Sottomissione, in un gioco, un gioco di gruppo o solitario, che si ripete ossessivamente. Ora vittime, ora carnefici, in una funzione di ruoli in cui tirato in causa è l'Innocente per antonomasia, il Cristo Salvatore.

Non è mai bello usare il verbo biasimare. Ma di fronte a questo titolo non si può non sfoderarlo. La nostra coscienza e il nostro senso critico ce lo impongono.

 

La rottura con questa tradizione avviene nel XVIII secolo, quando sorge un nuovo approccio razionale a Gesù.

Nuovo approccio razionalista. La rottura con questa tradizione avviene nel XVIII secolo, quando sorge un nuovo approccio razionale a Gesù, parallelo ai primi passi della ricerca scientifica sulla sua figura (Reimarius, Apologie oder Schutzschrift fùr den vernùnftigen Verehrer Gottes, "Apologia del razionale adoratore di Dio", di cui Lessing pubblica alcuni frammenti nel 1774-78).

Caratteristica dello spirito del tempo è la Rede des Todten Christus vom Weltgebàude dass kein Gott sei ("Discorso del Cristo morto sull'edificio del mondo che non è Dio", 1796) di Jean Paul.

Con il poema epico di Klopstock Messiade (1748-73), si fa avanti un Gesù nuovo e umano, inserito in una drammatica lotta tra Dio e il diavolo.

Sarebbe passato un secolo prima che altri riuscissero a dare forma letteraria a questa nuova visione di Gesù: fino alla clamorosa Vita di Gesù, immediatamente bandita dalle autorità cattoliche con il suo dolce rabbi galileo, di Ernest Renan, docente di lingue semitiche a Parigi (1863).

In Goethe (1774), Blake (frammento, 1810-18 circa), Hòlderlin (Inni, 1791-93), Hebbel (1863) e Otto Ludwig (1850 circa), le opere su Gesù rimasero allo stadio di progetti e idee.

 

 

Farneto Teatro

San Paolo

Progetto per un film mai realizzato

 

di Pier Paolo Pasolini

con Elisabetta Vergani - Virginio Gazzolo - Maurizio Schmidt

regia Maurizio Schmidt

musica Ramberto Ciammarughi

elaborazione immagini Claudio Coloberti

Pasolini lavorò intensamente a un progetto di un film su San Paolo nel 1968, ma difficoltà produttive ne impedirono la realizzazione; vi tornò nuovamente sopra nel 1974, ma le correzioni apportate per la disillusione dei movimenti di quegli anni ne resero ancora più difficile l'attuazione.

L'abbozzo di sceneggiatura che rimane, mai rappresentata in teatro, testimonia con quale tensione tematica e inventiva Pasolini si fosse dedicato ad un lavoro che ''sentiva'' particolarmente.

L'idea poetica del film è quella di trasporre l'intera vicenda di Paolo ai nostri giorni, di sostituire le antiche capitali del potere e della cultura con New York, Londra, Parigi, Roma, la Germania. Pasolini voleva rendere cinematograficamente, nel modo più diretto e violento, l'impressione dell'attualità della passione militante dell'apostolato di Paolo: la sua vita viene inserita in forma visionaria all'interno di un'arcata della storia del mondo occidentale che va dalla guerra mondiale al '68.

La rappresentazione di Schmidt vuole ripercorrere, anche con musiche composte per l'occasione e proiezioni di immagini di repertorio derivanti da altri film di Pasolini, l'itinerario di un piccolo viaggio di fantasia e conoscenza che riflette la difficoltà, la fatica, il fascino da parte della cultura laica di ricercare il senso profondo dei valori religiosi.

 

Primi secoli. Il più antico tentativo di costruire una 'vita di Gesù' in senso letterario partendo dalle narrazioni dei vangeli fu intrapreso verso il 170 dal siriano Tatiano con To dia tessaron Euangelion (detto diatessaron: "armonia dei vangeli."). L'opera, impiegata nella liturgia, ebbe numerose traduzioni ed esercitò fino al Medioevo una profonda influenza sulla versione occidentale del testo evangelico e sulle sue rielaborazioni, quali Van den leven ons Heren ("Della vita di nostro Signore") in medio nederlandese.

'Armonie' simili furono compilate anche in epoche posteriori: in forma poetica dal sacerdote spagnolo Juvencus (Evangeliorum libri IV, 330 circa), con un approccio più o meno critico da Agostino (De consensu Evangelistarum, IV-V secolo) e in senso dogmatico dal monaco e poeta franco Offrid di Weissenhurg (Liber Evangeliorum, 863-871).

 

'Resurrexi'

Mercoledì 23 maggio nell'aula Paolo VI, in Vaticano, verrà rappresentato l'oratorio composto per il quarto Convegno ecclesiale di Verona. In questo modo si festeggerà l'80° compleanno di Benedetto XVI

Mimmo Muolo.  Avvenire 12 maggio 2007

Sarà l'omaggio della Cei e della Fondazione Arena di Verona al Papa per il suo 80° compleanno.

L'oratorio sacro Resurrexi, scritto dal compositore Alberto Colla su testo poetico di Roberto Mussapi, sarà rappresentato mercoledì 23 maggio prossimo nell'Aula "Paolo VI" in Vaticano alla presenza di Benedetto XVI, che di buon grado ha accettato l'invito a presenziare, e ha gradito particolarmente l'omaggio dei vescovi italiani e di una delle istituzioni musicali più prestigiose e importanti della Penisola. E così, ieri mattina, l'evento è stato annunciato ufficialmente a Roma, nell'ambito della conferenza stampa sul cartellone dell'Arena per il 2007 (di cui riferiamo in altra parte del giornale), alla presenza del sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Mauro Rivella.

Data, luogo e opera da rappresentare non sono stati scelti certamente a caso. L'esecuzione dell'oratorio, infatti, è inserita nel contesto dell'Assemblea generale della Cei, che si terrà a Roma (nell'Aula nuova del Sinodo, al piano superiore dell'Aula "Paolo VI") dal 21 al 25 maggio.

Anche il luogo appare adattissimo alla rappresentazione. Immaginate, infatti, l'effetto che la musica di Colla e il testo di Mussapi faranno sul pubblico presente in sala, avendo come sfondo il grande Cristo risorto di Pericle Fazzini, che domina il palco dell'Aula delle udienze generali. Resurrexi, infatti, fin dalle prime battute vede in scena il Cristo (interpretato dall'attore Massimo Popolizio) che pronuncia le parole: «Ho rimosso la pietra dal sepolcro, fu un soffio,/ Padre, venne da dentro, in me, all'improvviso/ nel bianco calcinato dell'urna di Giuseppe./ Si aprirono i miei occhi e la soglia del sepolcro,/ scivolarono via il masso, e la memoria./ Il vestibolo, il nome di Arimatea/ le piccole grotte bianche circostanti e le iniziali dei defunti impresse,/ e le date, e le impronte lasciate dai viventi,/ e la spugna d'aceto e il pianto del Golgota». Versi che sembran o rendere l'immagine plastica di Gesù che uscendo dalla tomba, si affranca dai lacci della materia (come il Gesù del Fazzini), per passare, come scrive Mussapi. all'«oltretempo».

Infine c'è il collegamento con il Convegno ecclesiale nazionale di Verona dello scorso ottobre, messo in evidenza anche da monsignor Rivella, nel suo intervento durante la conferenza stampa di ieri. «Questo oratorio - ha ricordato il sottosegretario della Cei - è stato rappresentato due volte nei giorni di Verona e poi il 1° novembre a Milano». E quindi in qualche modo contribuisce a restituire qualcosa dell'eco di quell'evento, che ha visto la partecipazione del Papa e che sarà ampiamente trattato durante l'assemblea dei vescovi a Roma.

Monsignor Rivella ha anche sottolineato che con questa operazione «la Chiesa italiana vuole essere presente nel mondo della cultura, innervandola con la luce della Scrittura». E questo, ha aggiunto, è sicuramente «un atto coraggioso». «Lo scopo dell'iniziativa - ha proseguito - è quello di dare al progetto culturale cristianamente orientato una dimensione anche artistica, nella consapevolezza che sempre l'arte è stata espressione del sacro e veicolo di evangelizzazione. Come in passato ci fu una committenza sacra capace di realizzare alcune delle opere più belle dell'arte e della musica italiana, così anche la Cei tenta oggi questa sfida: parlare agli uomini di oggi con il linguaggio artistico di oggi avvalendosi delle capacità, delle strutture e delle migliori realtà che operano in questo settore».

Per questo monsignor Rivella ha ringraziato pubblicamente la Fondazione Arena di Verona, per la collaborazione all'iniziativa. «Sicuramente l'evento del Convegno nazionale - ha concluso - ci ha stimolati in misura speciale a realizzare un'opera come Resurrexi. Ma questo vorrebbe essere un inizio. Si tratta di trovare ora sia gli spunti giusti per continuare il progetto, sia soggetti, autori e strutture tecniche in grado di portarlo a compimento».

Riforma e Controriforma. L'espressione lirica dell'esperienza personale di Cristo non è mai scomparsa durante e dopo la Riforma.

Si pensi alla ballata dai toni ancora medievali Het Soudaens Dochterkijn ("La figlioletta (fine pag. 150) del sultano", fine del XVI secolo), attribuita a Van Wervershoef;

all'anonimo Soneto a Cristo crucificado, molto diffuso anche in traduzione, scritto nel XVT secolo e stampato nel 1628;

a Der Weg zu Christo ("La via a Cristo", 1623) del pastore di greggi e teosofo luterano Bòhme;

ai diffusissimi inni a Gesù del gesuita Von Spee (1623-26);

all'Heilige Seelenlust dell'arciprete Silesio ("Santo desiderio dell'anima", 1657);

a Het Duyfken in de Steen-Rotse, dat is een medelydende siele op die bitter Passie Jesu Christi di Poirters ("La colomba nella roccia, ovvero la partecipazione di un'anima all'amara passione di Gesù Cristo", 1657);

a Steps to the Temple (1646) e Carmen Deo nostro (1652) del puritano convertito al cattolicesimo Crashaw, che influenzò Milton (1660 circa) e Pope (1710 circa);

a The Mount of Olives di Vaughan (1652) e ad alcune poesie di Jan Luyken, illustrate con stampe di mano dello stesso autore e del figlio Kaspar nel Duytscbe Lier (1671).

Il pietista Tersteegen (Geistliches Blùmen-Gartlein inniger Seeelen, "Piccolo giardino spirituale dell' anima interiore", 1792),

il romantico Novalis (Canti spirituali, 1802),

il lirico Brentano (poesia Ich bin aus fremden Land gekommen, "Sono venuto da un paese straniero", 1818)

e Guido Gezelle (badt op eenen berg alleen, "Pregasti da solo su un monte", 1880) si collocano ancora, ciascuno a suo modo, in questa tradizione "devota".

Nella stessa tradizione rientrano anche, seppure nel genere epico, le Leggende di Cristo di Selma Lagerlòf (1904).Soddisfazione è stata espressa nel corso dell'incontro con i giornalisti anche dal sovrintendente della Fondazione Arena di Verona, Claudio Orazi. «Per una istituzione come la nostra, depositaria di una grande tradizione musicale, l'innovazione artistica è importante. Vogliamo testimoniare il bello anche con il linguaggio della musica contemporanea. E siamo felici di poter offrire, insieme con la Cei, al Santo Padre Benedetto XVI uno dei frutti di questa ricerca culturale».

Romanzo e teatro del secolo XIX e XX. Mentre i teologi affrontavano razionalmente la figura di Gesù e la Chiesa lo presentava come personaggio esangue e asettico - soprattutto esente da qualsiasi forma di critica sociale o politica -, i romanzi e il teatro della fine del XIX secolo ne davano una grande varietà di interpretazioni: secondo le idee dell'autore, da mite e sensibile a rivoluzionario e combattivo.

Sul Gesù di Renan sono modellati i romanzi di Lepsius (1917), Papini (1921), Emil Ludwig (Der Menschensohn, "Il figlio dell'uomo", 1928), Schaper (1936), i drammi di Grandmougin (1892) e Avenarius (1927) e, in un certo senso, anche il romanzo di Douglas The Great Figherman (1948), che risente l'influsso di Christian Science.

In queste opere, Gesù è inserito nel contesto del suo tempo e sottoposto a un'analisi psicologica.

Dal dramma di Sauriac (1849) in poi, a Gesù viene assegnato un posto nella lotta di classe: per esempio nei romanzi di Holz (come Bueh der Zeit, "Libro del tempo", 1885), di Barbusse (1927) e Sayers (1949).

Alcuni giunsero a interpretare liberamente o modificare arbitrariamente le notizie su Gesù: così Rosegger (1905) e Graves (1954).

Altri creano un'immagine di Gesù che emerge riflessa in una figura del suo "ambiente": Wallace (Ben Hur, 1880), Sienkiewicz (Quo vadis?, 1894), Brod (Der Meister, "Il maestro", 1952) e Luise Rinser (Miriam, 1983).

Altri autori ancora fanno ritornare Gesù in una figura del proprio tempo, oppure lo proiettano in circostanze contemporanee. Entrambe le tecniche sono presenti in Dostoevskij (Il grande inquisitore, 1880, e il principe Myc'kin nell'Idiota, 1868).

La prima è impiegata già da Balzac in Gesù Cristo in Fiandra (1831) e, dopo di lui, dal romanziere Kretzer in Das Gesicht Christi ("Il volto di Cristo", 1896), da Eduardo Calderòn in El Cristo de espaldas (1910), Timmermans in Kindeke Jesus in Vlaanderen ("Il bambino Gesù in Fiandra", 1917), Ricarda Huch in Der Wiederkehrende Christus ('Il ritorno di Cristo', 1926) e dai drammaturghi Gerhart Hauptmann in L'ascensione di Hannele (1893), Saint-Georges de Boubélier in La tragédie du nouveau Christ (1905) e Fabbri in Processo a Gesù (1955).

La seconda tecnica, a volte molto evidente, a volte velata, si incontra in romanzi di Gerhart Hauptmann (Emanuele Quint, il pazzo di Cristo, 1910), Borchert (Jesus macht nicht mehr mit, "Gesù non partecipa più", 1949), Faulkner (A Fable, 1954), Grass (Il tamburo di latta, 1959) e in opere teatrali di Wilbrandt (Hairan, 1899), Dùrrenmatt (Die Wiedertàufer, 'L'anabattista', 1946-66), Hochhuth (Der Stellvertreter, 'Il sostituto', 1961), Kipphardt (Màrz, 'Marzo', 1967), Weiss (Hòlderlin, 1971), Jens (Der Fall Judas, 'Il caso Giuda', 1975) e Drewitz (Eingeschlossen,'Rinchiuso', 1986).

Ne 1l dramma del sogno di Strindberg (1902), Agnes, figlia del dio Indra, torna in cielo dopo il suo fallimentare passaggio sulla terra e ha una visione di Gesù, che offre la speranza di risolvere il problema posto dall'autore dell'imperfezione terrena.

E ancora Gesù che porta avanti la bandiera della rivoluzione durante la dura marcia da Pietroburgo di dodici guardie rosse in una delle ultime opere di Blok, I dodici (1918).

Unamuno supera morte e caducità in una serie di poesie dedicate a Gesù (El Cristo de Velàzquez, 1920: riflessioni sul Crocifisso di Velàzquez del 1630).

L'attrice Jonasson "Negli ultimi mesi si rivolgeva a Cristo, era credente a suo modo"

Strehler: Dio è troppo, io prego Gesù

Di Roberto Beretta. Avvenire

Il Piccolo e l'Immenso. A Natale ricorre l'anniversario della morte di Giorgio Strehler, il "padre" del Piccolo Teatro di Milano. E da un'intervista alla vedova, l'attrice tedesca Andrea Jonasson, spuntano alcuni particolari di un rinnovato interesse per Dio. Anzi: per Cristo.

"Questa notte ho pregato: Ma non ho pregato Dio perché penso che Dio sia troppo grande per ascoltare me, Dio per me non è raggiungibile. Ho pregato Gesù Cristo, perché era un uomo, uno che ha conosciuto la nostra condizione e le nostre sofferenze". E' l'inattesa confessione che, poche settimane prima della morte, Strehler fece alla donna con cui ha vissuto 24 anni: lui, la "bandiera" degli intellettuali progressisti e anticlericali. Eppure, secondo l'intervista rilasciata dalla Jonasson a Renzo Allegri e pubblicata sul settimanale Chi, il grande regista negli ultimi tempi si interrogò su Dio.

"Nel dicembre 1997 rivela infatti l'attrice -, eravamo nella nostra casa di Milano e Giorgio aveva la febbre altissima. Non riusciva a respirare e a un certo punto, nel cuore della notte, si è alzato, si è messo a pregare, forte, con voce disperata. Ma pregava in una lingua che io non capivo, forse il latino o il greco, e quella preghiera è durata a lungo. Poi si è calmato ed è riuscito ad addormentarsi. Al mattino mi ha detto: "Andrea, questa notte ho pregato. Ho pregato Gesù Cristo. Sento che lui è vicino a noi. L'ho pregato e sono certo che mia ha aiutato".

Secondo la Jonasson, Strehler "sia pure a modo suo era un credente. Ufficialmente Giorgio era agnostico. Aveva quel tipico atteggiamento borghese che non si pone problemi religiosi. Ma Giorgio si poneva interrogativi, anche se non ne parlava con nessuno". La donna racconta un secondo episodio: "Eravamo seduti sul bordo della piscina. Una libellula era in crisi sull'acqua. Le sue ali si erano bagnate e stava annegando. Giorgio ha preso un bastoncino e l'ha soccorsa, la libellula ha spiccato il volo. "Vedi Andrea, questa libellula racconterà: Oggi ha capito che cos'è Dio". Una tardiva resipiscenza "religiosa", dovuta al progredire della malattia? La solita "conversione" in articulo mortis? In realtà, nessuno dei critici teatrali più attenti sembra sorpreso dalle nuove rivelazioni: "Strehler era un laico, ma non a caso negli ultimi anni aveva scelto il Faust di Goethe, dove il tema dell'anima è dominante", rileva Domenico Rigotti: "Che abbia avuto una sensibilità per il sacro non solo lo ritengo probabile, ma sicuro, vista la sua apertura mentale", osserva Giovanni Raboni. E Luca Doninelli: "Sono stato colpito dalle sue lettere, dove si trova un'attenzione per la realtà certamente "religiosa".

Sulla base di argomenti non dissimili, il regista e storico del teatro Fabio Battistini ogni 24 dicembre fa dire una messa per l'amico e collega nella chiesa di San Gottardo a Milano: "Qualcuno del Piccolo non viene perché dice che il fondatore era ateo… E' vero, però la religiosità fu sempre presente nella sua opera. Strehler non avrebbe fatto ben tre edizioni di Assassinio nella cattedrale di Eliot, dal 1949 in poi, se non avesse avuto fin da giovane un'attenzione religiosa.

Il Figlio di Dio e il Profeta: così li immagina Moral (performance/allestimento a Milano)

 

Corriere della Sera, venerdì 29 giugno 2007

MOSTRA I In via Calvi le provocatorie opere della turca Sukran Moral

Il bacio di pace tra Gesù e Maometto

Recinto e filo spinato, sopra e tutto intorno infuriano i bombardamenti. Proiettate sul soffitto della galleria fotogrammi di guerra, in Vietnam, Medio Oriente, nell'ex Jugoslavia. Nessuno nel recinto può sfuggire al bombardamento di immagini, il rito ossessivo della guerra. Alla fine dello steccato, al buio, un tappeto orientale invita alla preghiera: lo spettatore si inginocchia per poter spiare in un piccolo foro che improvvisamente si illumina all'altezza degli occhi.

Finalmente la luce, di più, l'incontro, il dialogo, la pace suggellata da un casto bacio tra Gesù Cristo e Maometto - le due statue ad altezza d'uomo, a piedi nudi sulla sabbia, si abbracciano dentro il box illuminato. L'artista turca Sukran Moral dopo performance provocatorie come «Hammam per lstanbul», «Bordello», «Dolore», «Zina», «Bulbul» in cui si confrontava con la religione, il maschilismo islamico, gli stereotipi del potere occidentale, con questa «azione» a Milano, tratta la pace. Con semplicità e immediatezza. Con capacità simbolica e al tempo stesso dissacrante di cui è impregnato il suo lavoro.

Scappata quindici anni fa (a 27 anni) dal suo Paese, per sfuggire alle persecuzioni sulle donne; Sukran Moral tratta la pace in modo quasi romantico. Ricongiungendo in un abbraccio il figlio di Dio e il profeta dell'Islam sovverte le leggi del Corano che vietano di riprodurre l'immagine di Maometto. Poi, in una sala sotterranea, il progetto «Peace ... fucking fairytale» mostra la sua vera faccia. Contro ogni ipocrisia.

Antonia Jacchia

PEACE ... FUCKING FAIRYTALE, a cura di Maria Grazia Torri, fino al 15 luglio, Tomasorenoldibracco, via Pietro Calvi, 18/1 tel. 02-54122563. Da lunedì a sabato (10.30 -19.30)

Un Giuda milanese per «Jesus Christ»

Un Giuda milanese per «Jesus Christ» Dopo essere stato visto in tutta Italia da più di 900 mila spettatori, «Jesus Christ Superstar»,versione italo-americana del celebre musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, per la regia di Massimo Romeo Piparo (cantato in inglese con soprattitoli in italiano), tocca ora il traguardo del decimo anniversario di vita con un cast che accosta nomi legati alla sua storia, come i collaudatissimi Paride Acacia (Jesus) e Olivia Cinquemani (Maddalena), a nomi che osano nuove alchimie: per il ruolo di Giuda è stato chiamato il milanese Luca Jurman, mentre per incarnare Pilato e i suoi dubbi è stato ingaggiato Bob Simon. Per Jurman è addirittura un debutto come interprete di musical: artista eclettico cresciuto all'ombra della Soul Music, ha ideato più di 200 jingle pubblicitari prima di diventare produttore artistico e direttore vocale di musical, in tour internazionali e produzioni discografiche, insegnando ad «allievi» come Irene Grandi e Alex Baroni. Per Bob Simon è una svolta verso un ruolo quasi «intimista»: l'incontenibile Frank'n'Furter del Rocky Horror Show, ha già lasciato guèpière e calze a rete per calarsi in due musical di Piparo, «La Febbre del Sabato Sera» (dj Monty) e «Evita» (Che Guevara).

 

Vite di Gesù

Una delle prime grandi vite di Gesù del Medioevo è quella composta nel 1120 da Frau Aya, reclusa nella valle del Danubio, che fa parte di una storia della redenzione in forma poetica.

Segue, fino all'età della Riforma, una lunga serie di 'vite' , le più importanti delle quali sono:

la già citata Van den leven ons Heren anonima del XIII secolo (ambientata in Fiandra), le Meditationes vitae Christi dello Pseudo Bonaventura (1300 circa), quella del certosino Ludolf di Sassonia (1350 circa), uno dei libri più letti del tardo Medioevo, De gestis Domini Salvatoris dell'agostiniano Simon Fidati de Cascia (1338-47; in 15 parti) e l'Harmonia di Osiander (1537).

Soprattutto le opere dello Pseudo Bonaventura e di Ludolf di Sassonia esercitarono una profonda influenza sulla religiosità e sull'iconografia del tardo Medioevo.

Di tutte queste opere si può dire che sono prive di qualsiasi spirito critico, in alcuni casi arricchite di particolari fantastici e impregnate di forte religiosità. Ogni atto di Gesù è espressione della sua divinità.

Lo stesso vale per le Visioni di Brigida di Svezia, madre, monaca e fondatrice di conventi del XIV secolo, che descrive con gusto narrativo particolati minuti della vita e della passione di Gesù.

La perfetta letizia di Fabio Volo? «Fidarsi di Dio»

E’ una raffica di battute. Mette allegria solo a vederlo. Ma quando Fabio Volo - sì, lui, quello delle «Iene» e di film come «Casomai» parla della fede, esprime una profondità che conquista al solo ascoltarlo. «Sono affascinato dal mistero», dice di fronte alle centinaia di giovani accorsi per vedere il film di Eugenio Cappuccio (anche lui al dibattito) «Volevo solo dormirle addosso». «Sento il bisogno di cercare Dio in quello che faccio, nella mia vita di ogni giorno, nelle persone che incontro. Un Dio che non mi tolga la fatica e la difficoltà di cercarlo. Perché la vita è ricerca continua». I giovani lo ascoltano in silenzio.

«Per me la fede conta molto». Poi, estrae da sotto la camicia un crocifisso che ha appeso al collo. «Certo, la macchina la chiudo sempre a chiave - butta lì, scherzoso - perché di Dio mi fido. Degli uomini a volte un po' meno... Però la fede è qualcosa di grande, che sento in me profondamente». «Sia ringraziato Dio per l'allegria che Fabio Volo trasmette a tutti noi», esclama il regista Cappuccio, che lo avrà come protagonista insieme ad Anna Galiena anche del suo prossimo film intitolato «Uno su due». …«Ho visto che i giovani sono stati molto colpiti dal tema del film, cioè il lavoro precario e disgregante, che oggi è così diffuso - esclama il regista Cappuccio -. Ormai c'è una logica di potere che determina il destino degli uomini e che inghiotte anche il riposo e la domenica. L'uomo non può più fermarsi, deve ottenere il risultato. A qualunque costo. Come si vede nel film». Ai giovani che lo interrogano, Cappuccio dice di non arrendersi, di combattere il vuoto nichilista in cui spesso si perde la società d'oggi, di provocare una coscienza nuova.

E la fede. «Il mio lavoro è una continua ricerca di fede - risponde il regista -. Mi colpisce la forza spirituale della bellezza, non tanto in senso estetico ma filosofico. Ciò che l'attore mette in scena è veicolo di bellezza. Io ne ho la convinzione profonda. Questa bellezza è nutrimento forte della fede».

Pierangelo Giovanetti