Non sono molti gli autori impegnati nello studio sociologico del cristianesimo primitivo. Esso trova impegnata in particolare l’area americana, mentre in Europa rimangono sporadici ed arditi tentativi di analisi. Tra questi emerge tuttavia in modo imponente il lavoro di Gerd Theissen.

La sua Sociologia del Cristianesimo Primitivo1 è un’opera che parte dell’acquisizione di dati sociologici dal Nuovo Testamento anche da passi che non hanno prettamente un’intenzione sociologica; non esiste intatti nel Nuovo Testamento una trattazione sistematica che ci presenti il contesto sociologico del Cristianesimo nascente. L’autore si propone inoltre di analizzare la primitiva società cristiana osservandone la simbolica religiosa e mitica.

Il metodo sociologico è uno dei criteri analitici del testo biblico e fa parte del metodo storico-critico. La stessa ricerca storica tuttavia ha avuto impulso dallo studio sociologico delle origini cristiane ed è la complementarità tra approccio storico e sociologico che permette all’autore di impostare metodologicamente il suo lavoro proponendosi il suo principale obiettivo. “È nostro intendimento illustrare la continuità di tale metodo nella storia della ricerca sotto due aspetti: mostreremo, in primo luogo, come esso rappresenti una conseguenza dell’esegesi storico-critica del Nuovo Testamento e, in secondo luogo, come la ricerca storica abbia tratto a sua volta impulso dalle teorie sociologiche” 2.

 

1 THEISSEN G., Sociologia del Cristianesimo Primitivo, Marietti, Tubinga 1979.

2 Ibid., p.5.

 

di Fabio Ferrario

 

UN’ANALISI IN TRE MOMENTI

G.Theissen conduce la sua analisi suddividendola in tre momenti. Il procedimento costruttivo con cui analizza le testimonianze dirette del Sitz im Leben (contesto di vita) neotestamentario, in particolare di tipo sociografico, riferite alla presenza di gruppi sociali e di tipo prosopografico, circa l’apporto sociale dato dalle singole persone.

Il procedimento analitico che analizza il passaggio dalle testimonianze al fondamento, quindi allo specifico contributo che le fonti offrono per tratteggiare la sociologia del Cristianesimo nascente.

Infine il procedimento comparativo che studia le opposizioni e le analogie con il Sitz im Leben entrando in dialogo complementare con i criteri di discontinuità e molteplice attestazione.1

Sulla base dei criteri esposti G.Theissen avvicina i Vangeli con l’analisi sociologica sapendo che “esaminare il Nuovo Testamento da un punto di vista sociologico-letterario significa indagare intenzioni e condizionamenti del comportamento sociale tipico di autori, tradenti e destinatari, dei testi neotestamentari” 2.

 

1 Cfr. ibid., pp.34-51.

2 Ibid., p.74.

 

IL RADICALISMO ITINERANTE

La categoria sociologica portante nei testi evangelici è quella di radicalismo itinerante. Gesù si ispira alle filosofie coeve per proporre un suo ethos apolide in cui la carismaticità itinerante che doveva caratterizzare i suoi discepoli era costituita dalla mancanza di stanzialità in un luogo fisso, l’assenza di una famiglia e la rinuncia alla proprietà. G.Theissen muove dall’analisi dei detti di Gesù per dedurre le sue intuizioni. In particolare si riferisce all’avvertimento di Gesù “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”1. Circa la rinuncia alla famiglia Gesù propone la priorità del regno di Dio2, mentre sulla rinuncia alla proprietà è classico il racconto del giovane ricco3. L’analisi di questi ed altri passi porta all’elaborazione sociologica del radicalismo etico nello specifico dell’itineranza; tuttavia afferma l’autore che “esso è praticabile e tramandabile solo in condizioni di vita eccezionali… solo ai margini della società questo ethos ha una probabilità di realizzazione”.4 L’obbligo della vita apolide era costitutivo del mandato missionario di Gesù ma poteva trovare accoglimento in una circostanza ai margini della normalità e solo in essa i carismatici itineranti che accettarono il radicalismo etico ed itinerante di Gesù, divennero di fatto i primi missionari.

La sequela di Gesù proposta in questi termini era favorita dal contesto religioso e sociale ellenistico con cui gli imperatori romani tentarono invano di sottomettere religiosamente e socialmente la Palestina del I secolo. I carismatici itineranti erano già presenti nei primi due secoli nella persona di vari filosofi cinici che nel loro anticorformismo si opposero agli stessi Vespasiano e Domiziano che non mancarono di combatterli. Tra questi emerge l’umanesimo di Epitteto che nelle sue Dissertazioni sul cinismo arriva a dire “Ecco, v’ha mandato Dio uno che, a fatti, ve ne dimostri la possibilità. Guardatemi: sono senza casa, senza città, senza beni, senza schiavi. Il mio giaciglio è la terra: non ho moglie, non ho figli, non una casetta, ma la terra soltanto e il cielo e un unico mantelletto. Eppure che mi manca? Non sono senza dolori, non sono senza timori, non sono libero?” 5.

Il contesto sociale in particolare cinico entro cui i “detti” sull’itineranza sono stati espressi ci porta a concludere che quei detti sono autentici perché non avulsi da una reale cornice sociale che permetteva il loro accoglimento e non sono stati intesi dai discepoli in modo allegorico ma realmente vissuti nel radicalismo itinerante cristiano inaugurato dal loro Maestro.

 

È ancora una volta solo D.Crossan6 che partendo da questa tesi si spinge fino ad inscrivere Gesù nel quadro dello stesso Cinismo e non mancò di interpretarlo per comparazione ad altri filosofi cinici. Egli considera le sette proibizioni fatte da Gesù ai suoi carismatici itineranti tratte dalle fonti evangeliche, dalla Didaché e dall’apocrifo Vangelo di Tommaso.7 A suo discutibile parere il contesto è quello dello stile di vita cinico. Riferendosi al Vangelo di Tommaso: “Se andrete in qualche paese e viaggerete nelle (sue) regioni, se vi accoglieranno mangiate ciò che vi porranno davanti e guarite quanti tra loro sono infermi”8, l’autore nota che non si parla di abbigliamento come invece risulta dal confronto con le fonti di Marco e Luca in cui compaiono anche denaro/borsa, sandali, bisaccia, pane, bastone, due tuniche, saluto.9

D.Crossan nota che le ultime tre proibizioni appaiono in una sola fonte, pertanto fa attenzione solo alle prime quattro e, alla ricerca dell’originalità di Gesù, subito nota il contrasto con l’ambiente cinico greco-romano. Il rifiuto del denaro ed il camminare scalzi, è tipico della povertà cinica ma per bisaccia e pane la situazione è opposta: il cinico doveva essere autosufficiente mentre Gesù si oppone al cercare la sicurezza materiale e ciò ha funzione simbolica nell’identificazione dell’appartenenza al suo “movimento sociale”. Pertanto, mentre l’appartenenza al Cinismo era caratterizzata dall’autosufficienza nello stretto indispensabile, l’appartenenza al movimento di Gesù aveva la sua simbolica nella mancanza del necessario e nel bisogno di dipendenza.

Una prima contraddizione in D.Crossan appare dalla collocazione dei testi in un contesto cinico che ne costituisce la chiave ermeneutica, per poi contraddittoriamente distanziarsi da esso rilevando l’originalità del “movimento di Gesù”. È inoltre da osservare che la povertà proposta da Gesù e poi ripresa dalla Chiesa primitiva, non aveva finalità simboliche di appartenenza ad un ceto sociale ma aveva il valore teologico della priorità della ricerca del regno di Dio a cui il resto è relativo e sarà dato in più. Lo ricorda Matteo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).

Per quanto possiamo prendere le distanze dall’interpretazione di D.Crossan, rimane tuttavia ancora confermato il reale quadro storico-sociologico che dà conferma ai detti di Gesù.

 

1 Mt 8,20.

2 Cfr. Lc 14,26.

3 Cfr. Mc 10,17-22 e parr.

4 Ibid., p.79.

5 EPITTETO, Dissertazioni, 22,46-48.

6 Cfr. CROSSAN J.D., The Historical Jesus: The life of a Mediterranean Jewish Paesant, Harper & Row,

San Francisco 1991, pp.338-339.

7 Cfr. p.X

8 Vangelo di Tommaso 14,2.

9 Cfr. Mc 6,7-13; Lc 10,1-12. Crossan usa come riferimento anche la Didaché che cita in questa circostanza in Did. 11,6.

 

LO SRADICAMENTO SOCIALE

“Noi che abbiamo lasciato tutto” (Mc 10,28) è il riferimento di Theissen per parlare di un fenomeno diffuso in Palestina nel I secolo che egli definisce con sradicamento sociale.1 Questo è indice di una profonda crisi su vari fronti in cui versava la Palestina di allora. Fenomeni di sradicamento sociale erano presenti sia all’interno del Giudaismo sia come disintegrazione generale. Nel primo caso parliamo di partigiani zeloti, movimenti profetici e gli stessi esseni, nel secondo troviamo emigranti e neocoloni, briganti e mendicanti vagabondi. L’atteggiamento sociale delle diverse categorie variava dalla dominanza del comportamento di evasione inteso come fuga mundi ed allontanamento dalla stessa Legge, fino alla dominanza del comportamento di aggressione, come il caso degli zeloti, ed in ultimo il comportamento di dipendenza espresso dalla richiesta di elemosina o di attesa di intervento divino.

Erano portati all’evasione i mercenari alla ricerca di commercio migliore, i giudei venduti come schiavi all’estero, i profughi che erano fuggiaschi per motivi politici, i nullatenenti alla ricerca di condizioni di vita migliori. Una particolare evasione fu quella essena a Qumran motivata dalla ricerca “monastica” di una più autentica religiosità.

Briganti e partigiani si davano alla macchia per organizzare forme varie di aggressione contro la dominazione romana. Infine l’impoverimento ulteriore degli strati sociali meno abbienti, il diffondersi di malattie, la mancanza di assistenza sociale nei casi di invalidità e la forte disoccupazione crearono forme di evasioni sociali in cui l’atteggiamento dominante era la dipendenza attraverso l’elemosina e l’attesa dell’intervento miracoloso.

 

Il quadro sociale della Palestina del I secolo si presentava quindi alquanto complesso e già intriso di vari tentativi, in forma di disgregazione sociale, per tentare di ovviare la gravità dei problemi. Il movimento di Gesù che in esso si propose, fu il tentativo di risolvere le varie forme di crisi religiose, economiche, politiche e culturali ma come altri movimenti che tentarono la “fuga organizzata” anche questo movimento fallì nella terra in cui nacque ma per riprendere piede in una prospettiva universalistica sotto la spinta missionaria di San Paolo.

 

1 Cfr. THEISSEN G., Sociologia del Cristianesimo primitivo…, pp.100-116.

 

GESÙ E L’ISTITUZIONE DEL TEMPIO

È da leggersi sullo stesso sfondo la lotta di Gesù contro alcune istituzioni ed in particolare il Tempio. Questo era la roccaforte della cesura sociale tra gli abitanti della campagna che vedevano in esso lo status symbol dell’aristocrazia cittadina e dall’altra parte gli abitanti di Gerusalemme che in gran parte traevano sostentamento e sicurezza sociale dalle attività del tempio. “Da un lato la massima parte di coloro che esprimono un atteggiamento di minaccia nei confronti del tempio viene dalla campagna e, dall’altro, Gesù esce allo scoperto con la sua profezia sul Tempio in un’occasione in cui le manifestazioni delle tensioni fra città e campagna erano particolarmente frequenti” 1. Tutto ciò giustifica le tensioni riportate dagli evangelisti quando descrivono una folla incitata contro Gesù ed il motivo dell’incitazione è proprio da ricercarsi nell’opposizione del Maestro alla distorta interpretazione del Tempio che suscitò le reazioni dell’aristocrazia gerosolimitana la quale non tardò ad aizzare gli abitanti della capitale palestinese contro di lui.

 

1 Ibid., p.131.

 

LA RINUNCIA ALLA VIOLENZA E L’AMORE AL NEMICO

Un ultimo dato rilevante dell’insegnamento di Gesù che muove da un significativo contesto sociale è la rinuncia alla violenza e l’amore per il nemico.1 G.Theissen fornisce dapprima le motivazioni teologico-morali a sostegno di questa etica, poi si sofferma sulla “collocazione sociale dell’amore per il nemico e della rinuncia alla violenza”.2

Nella riflessione filosofica coeva si contemplava a tale riguardo una duplice accezione di giustizia della relazione. La prima di tipo asimmetrica che vedeva in tensione un superiore ed un inferiore, la seconda di tipo distributiva-simmetrica che regolava il rapporto tra due nemici dello stesso rango sociale. Le due posizioni hanno lo sfondo culturale nella sociologia espressa già da alcuni filosofi. Seneca esorta l’inferiore o il sottomesso ad essere alieno all’ira ed accettare la situazione in cui versa;3 mentre al superiore propone la rinuncia alla violenza: “Se nei benefici è onorevole compensare i meriti con i meriti, così non è delle offese. Nel primo caso è vergognoso lasciarsi superare, nel secondo superare. È inumana, anche se ritenuta giusta, la parola vendetta; la legge del taglione differisce dall’offesa solo per la successione dei fatti”.4 Il grande modello filosofico che preferisce subire l’ingiustizia piuttosto che commetterla resta comunque incarnato da Socrate e dal suo allievo Platone: “Socrate, quando Aristocrate lo ebbe colpito, non gli diede altra risposta né gli fece altro rimprovero che questo: disse ai passanti che egli era malato della malattia dei muli. E Platone, quando uno lo minacciava di ucciderlo, gli si rivolgeva minacciandolo di tranquillizzarlo”.5

 

In questo pensiero già in fieri, due evangelisti riportano l’insegnamento di Gesù applicandolo a contesti differenti. Matteo ha come sfondo la guerra giudaica ed il periodo post-bellico della repressione, quindi parla ad un popolo sottomesso alle vessazioni di una classe dominante. Nel suo Vangelo applica il concetto di giustizia asimmetrica e propone l’insegnamento di Gesù che offre ai sottomessi la virtù di essere interiormente superiori ai loro oppressori ed in quanto operatori di pace saranno chiamati figli di Dio (Cfr. Mt 5,9).

Luca scrive il suo vangelo per cristiani provenienti dall’Ellenismo quindi la sua proposta entra in dialogo con questa cultura proponendosi come una giustizia simmetrica. In particolare è il tema del prestito del denaro che domina come paradigma: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,36-38).

Mentre quindi Matteo pensa ad un nemico nazionale, Luca si riferisce ad un nemico personale, nel quadro non di un’ostilità pubblica come il caso della vessazione straniera del primo evangelista ma in quello della ostilità privata, in cui il nemico non è un superiore ma è della stessa classe sociale. Matteo propone un’etica popolare, rivolta alla gente degli strati sociali più bassi; Luca alza il tiro e propone “un cristianesimo che penetra anche fra gli strati sociali superiori e può quindi affrontare il mondo che gli sta intorno elevando la pretesa di un’eguaglianza di principio”.6

 

1 Cfr. ibid., pp.142-175 dove G.Theissen si riferisce a Mt 5,38-48 e Lc 6,27-38.

2 Cfr. ibid., p.154.

3 DI, II,34,1.

4 Ibid., II,32,1.

5 Vir 46.

6 THEISSEN G., Sociologia del Cristianesimo Primitivo…, p.163.

 

UN BILANCIO

Il messaggio di Gesù consiste non solo nel superamento dell’istinto vendicativo arrivando alla non-violenza ma il passo ulteriore, che rende originale il suo insegnamento, propone l’amore verso il nemico.

È importante notare che l’ambiente in cui Gesù si colloca è già favorevole a questo tipo di etica sociale che pur avendo origini nella filosofia ellenistica, viene ulteriormente arricchito da Gesù con una proposta nuova, la quale manterrà la connotazione universalistica della morale cristiana ovvero l’amore per i nemici. Ciò sarà fondamentale sin dal II secolo come argomento apologetico a favore dei cristiani e contro la facile accusa di odio settario per chi non appartiene alla Chiesa.

Il metodo sociologico ci permette di avvicinare i Vangeli analizzandoli come documenti sociali e ci porta a concludere che le varie espressioni di etica della vita sociale già presenti nella Palestina del I secolo danno attendibilità alla proposta etica di Gesù riportata dagli evangelisti Matteo e Luca che presentano il Maestro in dialogo con il pensiero filosofico del suo tempo ed acquistano così credibilità storica.