LA PASSIONE DEL SIGNORE nelle visioni di Anna Katharina Emmerick

Il volume contiene il racconto della passione del Signore secondo le visioni della Emmerick per la penna dello scrittore Clemens Brentano: dal Cenacolo al Getsemani; la passione, morte e sepoltura; la risurrezione. I personaggi che vi appaiono sono vivi e realistici. L'umile monaca, mistica e stimmatizzata, fra l'altro rese noti particolari geografici e storici che la scienza e l'archeologia riscontrarono attendibili. Spiritualità - Maestri 1a serie, 226D24, formato 12,5x20, pp. 206.

 

ANNA KATHARINA EMMERICK nacque nel 1774 a Flamske, presso Munster, in Germania, e fin da giovane manifestò una particolare devozione alla passione del Signore. Entrata nel 1802 fra le agostiniane di Agnetenberg, subì non pochi contrasti a motivo degli speciali doni soprannaturali di cui era favorita. Quando, nel 1811, le leggi napoleoniche soppressero il convento, venne accolta in una casa privata a Dulmen. Nel 1812 ricevette le stimmate ai piedi e alle mani. Costretta sempre a letto dalle malattie e da una debolezza continua, conobbe nel 1818 Clemens Brentano (grande scrittore e poeta tedesco) che prese a registrare le visioni-contemplazioni della passione del Signore, di cui la Emmerick, in mezzo a gravi sofferenze, fu a lungo favorita. Tra l'altro, rese noti alcuni particolari geografici e storici non raggiungibili dalla scienza, come ad esempio la presunta casa di Maria a Efeso, che fu ritrovata dagli archeologi grazie alle notizie fornite da lei. Morì il 9 febbraio 1824.

La deposizione del corpo di Gesù

Il venerdì santo 30 marzo 1820, mentre suor Anna Katharina Emmerick contemplava la deposizione di Gesù dalla croce, svenne improvvisamente, al punto di sembrare morta. Quando si riebbe, nonostante le sue sofferenze non fossero cessate, così proferì: “Mentre contemplavo il corpo di Gesù steso sulle ginocchia della Madre dissi a me stessa: Guarda come è forte Maria, non ha nemmeno un istante di debolezza!” di Anna Katharina Emmerick (nella trascrizione di Clemens Brentano)

[...] Vidi la Vergine seduta al suolo sopra una coperta, col dorso appoggiato su alcuni mantelli arrotolati. Aveva il ginocchio destro un poco rialzato, sul quale riposava il santo capo di Gesù, il cui corpo era steso sul sudario. La santa Madre teneva per l'ultima volta tra le braccia le sacre spoglie del Figlio amatissimo, al quale, durante il lungo martirio, non aveva potuto dare alcuna testimonianza d'amore. Ella baciava e adorava quel corpo orribilmente sfigurato e insanguinato, contemplandone le profonde piaghe e i terribili patimenti, mentre Maria Maddalena abbandonava delicatamente il volto sui suoi sacratissimi piedi.

Nel contempo gli uomini si erano ritirati in un piccolo avvallamento a sud-ovest del Calvario per preparare gli oggetti necessari all'imbalsamazione.

Cassio e i soldati convertiti erano rimasti a rispettosa distanza in attesa di prestare aiuto. Giovanni si prodigava tra il gruppo degli uomini e quello delle donne, le quali porgevano a questi primi i vasi, le spugne, i lini, gli unguenti, gli aromi e tutto quanto serviva. Fra le donne vidi Maria di Cleofa, Salomè e Veronica. Maria Maddalena stava sempre accanto a Gesù. Maria Heli, seduta, contemplava tutta la scena. Accanto al gruppo delle discepole vidi degli otri e un vaso pieno d'acqua collocato sopra un fuoco a carbone.

Nel suo indicibile dolore la santa Vergine conservava una magnifica prontezza d'animo. Ella non poteva lasciare il corpo di suo Figlio in quell'orribile stato, perciò incominciò a cancellare le tracce degli oltraggi che aveva sofferti. Con estrema delicatezza gli tolse la corona di spine, aprendola dal lato posteriore, quindi posò la corona vicino ai chiodi.

Servendosi di una specie di tenaglia rotonda, tolse le spine che erano rimaste nel capo del Signore e le mostrò mestamente alle pie donne e ai discepoli. Anche queste vennero raccolte vicino ai chiodi e alla corona; alcune furono conservate a parte. Vidi la Vergine lavare il capo e il volto insanguinato del Signore, passando la spugna bagnata sui suoi capelli per toglierne il sangue raggrumato. Via via che ella detergeva il santo corpo del Figlio, contemplandone le numerose piaghe, aumentavano la compassione e la tenerezza per le immani sofferenze che egli aveva subito. La santa Vergine gli lavò le piaghe del capo, il sangue che riempiva gli occhi, le narici e le orecchie, con una spugna e un piccolo lino steso sulle dita della mano destra.

Allo stesso modo gli pulì la bocca semiaperta, la lingua, i denti e le labbra.

Poi la santa Madre suddivise la capigliatura di suo Figlio in tre parti, una per ogni tempia e l'altra dietro il capo. Quando ebbe sgrovigliati i capelli davanti e li ebbe resi lucidi e lisci, li fece passare dietro le orecchie. Una volta ripulito il capo, dopo aver baciato il Figlio sulle guance, passò infine a ripulire il collo, le spalle, il petto, il dorso, le braccia e le sue tenere mani piagate.

La Madonna addolorata lavò e ripulì, ad una ad una, tutte le numerose e orribili piaghe. Allora solamente le fu possibile vedere in tutti i minimi particolari gli spaventosi martiri subiti dal Figlio. Le ossa del petto e le giunture delle membra erano tutte slogate e non si potevano piegare. La spalla conservava la spaventosa ferita della croce e la parte superiore del santissimo corpo era coperta dalle lividure e dalle ferite dello staffile.

Al lato sinistro del petto si trovava una piccola piaga, da cui era uscita la punta della lancia di Cassio; al lato destro si apriva la larga ferita dov'era entrata la lancia che aveva attraversato il cuore da parte a parte.

Maria Maddalena, in ginocchio, aiutava la santa Madre, senza lasciare i piedi del Signore. Li bagnava per l'ultima volta con le sue lacrime, li asciugava con la sua capigliatura e vi appoggiava il suo pallido volto, con il quale, per rispetto, non osava toccare quello di Gesù.

 

Il santissimo corpo, che aveva assunto un colore bianco bluastro, perché dissanguato al suo interno, riposava sulle ginocchia di Maria, la quale, lavati il capo, il petto e i piedi del Figlio, li copri con un velo e iniziò a passare il balsamo su tutte le sante piaghe. La pie donne, in ginocchio, davanti a lei, le passavano di volta in volta una scatola, dove ella prendeva gli unguenti e i preziosi balsami con cui ungeva le ferite del Figlio.

Maria santissima gli unse anche i capelli, poi prese nella sua mano sinistra entrambe le mani di Gesù e le baciò con profondo rispetto, alla fine riempì con un unguento i larghi buchi prodotti dai chiodi, e lo stesso fece con la profonda piaga del costato.

L'acqua che era servita a lavare le ferite non veniva gettata, ma era raccolta solertemente in otri di cuoio in cui venivano spremute anche le spugne. Vidi Cassio e i soldati attingere acqua alla fontana di Gihon.

Quando la santa Vergine ebbe imbalsamato tutte le ferite, avvolse il sacro capo nei lini, ma senza coprire ancora il santo volto. Ella chiuse gli occhi semiaperti del Signore, lasciando riposare sopra la sua mano; poi gli chiuse anche la bocca, baciò il santo corpo e accostò il suo viso a quello del Figlio. Fu interrotta da Giovanni, che la pregò di separarsi dal corpo del Figlio perché il sabato era vicino e lo si doveva seppellire. Obbediente, ella abbracciò per l'ultima volta le sante spoglie e se ne distaccò con profonda commozione.

Dopo averle tolte dal grembo materno, gli uomini portarono le sante spoglie nell'avvallamento del Golgota dove avevano preparato tutto il necessario per l'imbalsamazione. Lasciata di nuovo ai suoi dolori, Maria santissima, con il capo coperto, cadde svenuta tra le pie donne. Maria Maddalena, come se fosse stata derubata del suo amato Sposo, fece qualche passo avanti tenendo le braccia protese verso il corpo del Signore, poi ritornò vicino alla Vergine. Il corpo del Salvatore venne adagiato su un lino lavorato a maglia [...].

 

Chi è questo figlio cometa? Chi è questo mio clandestino?

di Erri De Luca

Sudavo. Appoggiata di schiena mi tenevo il pancione con due mani per aiutare le mosse del bambino. L’incoraggiavo a bassa voce, col respiro corto. Lo chiamavo. Le bestie alle spalle mi davano forza. Le gambe mi facevano male per la posizione. Mi inginocchiai per farle riposare. “Affacciati bimbo mio, vienimi incontro, mamma tua è pronta a prenderti al volo appena spunta la tua testolina. I muscoli del ventre andavano dietro al respiro, una contrazione e un rilassamento, spinta, rincorsa, spinta. Quando lo strappo era più forte mi mordevo il labbro per non far scappare il grido. Josef era di sicuro davanti alla porta, di guardia.

Ho tagliato il cordone, un solo taglio, ho fatto il nodo del sarto e ho strofinato il suo corpo in acqua e sale. Eccolo finalmente. L’ho palpato da tutte le parti fino ai piedi. L’ho annusato e per conferma gli ho dato una leccatina. 'Sei proprio un dattero, sei più frutto che figlio’. Ho messo l'orecchio sul suo cuore, batteva svelto, colpi di chi ha corso a perdifiato. Al poco lume della stella l'ho guardato, impastato di sangue mio e di perfezione. “Somigli a Josef”. Così ho voluto vederlo. “Tuo padre in terra è un uomo coraggioso, tu gli assomiglierai”. Mi sono stesa sotto la coperta di pelle e l’ho attaccato al seno.

Il bue ha muggito piano, l'asina ha sbatacchiato forte le orecchie. È stato un applauso di bestie il primo benvenuto al mondo di Jeshu, figlio mio. Non ho chiamato Josef. Gli avevo promesso un figlio all'alba ed era ancora notte. Fino alla prima luce Jeshu è solamente mio. È solamente mio: voglio cantare una canzone con queste tre parole e basta.

Signore del mondo, benedetto, ascolta la preghiera della tua serva che adesso è tua madre. Quando nasce un bambino la famiglia si augura che diventi qualcuno, intelligente, si distingua dagli altri. Fa' che non sia così. Fa' che questo brivido salito sulla mia schiena, questo freddo venuto dal Futuro sia lontano da lui. Lo chiamo Jeshu come vuoi tu, ma non lo reclamare per qualche tua missione. Fa' che sia un cucciolo qualunque, anche un poco stupido, svogliato, senza studio, un figlio che si mette a bottega da suo padre, impara il mestiere, lo prosegue.

Che vuoto mi hai lasciato, che spazio inutile dentro di me deve imparare a chiudersi. Il mio corpo ha perso il centro, da adesso in poi noi siamo due staccati, che possono abbracciarsi e mai tornareuna persona sola.

CANTO

DI MIRIÀM / MARIA

Di chi è questo figlio perfetto,

chiederanno frugandolo in viso,

di chi è questo seme sospetto,

la paternità del suo sorriso?

È solamente mio, è solamente mio,

di nessun'altra carne, è solamente mio.

È’ solamente mio, è solamente mio,

finché dura la notte è solamente mio.

Chi è questo figlio cometa?

Chi è questo mio clandestino?

Spillato da fonte segreta,

venuto al travaso del vino?

È’ Solamente Mio, è Solamente Mio,

il suo nome stanotte è Solamente Mio.

È’ Solamente Mio, è Solamente Mio.

Domani avrà un altro nome,

adesso è Solamente Mio.

Erri De Luca