(Da A. Rosmini, Introduzione alla filosofia, a c. di Pier Paolo Ottonello, Roma-Stresa, Città Nuova-CISR, 1979, pp. 187-192)

 

Antonio ROSMINI (1797-1855)

 

Il Cristo maestro di verità e carità

 

108. Ma, come abbiamo detto, in ogni discepolo dimora il Verbo e vi effonde il suo Spirito, di maniera che ciascuno è un cotal centro e fine del tutto, benché sia anche membro, maggiore o minore, esercente una funzione più o meno importante, del corpo di cui Cristo è il capo. Ciascuno dunque ha il suo lume di verità, e ciascuno ha il suo fuoco di carità: non v'ha pure il minimo cristiano che si tenga nella grazia, il quale non l'abbia. Quindi ciascuno e s'attiene più che mai stretto all'associazione grande essenziale e fondamentale della Chiesa, e ha in sé il principio e l'inclinazione ad altre associazioni benefiche: e più o meno v'inclina, secondo che più o meno egli coopera alla carità, e più o meno questa, per le cognizioni esteriori e pe' doni, in lui s'esplica. Di qui tutte quelle religiose associazioni, le quali si propongono d'esercitare, con più d'attività e d'estensione e di ordine, la carità e la beneficenza verso il prossimo: le quali non sono, come manifestamente apparisce, che propaggini della verità e della carità, radici sempre feconde, e conseguenti naturali e necessari della Scuola, di Dio fatto maestro, e redentore degli uomini, che è la sua Chiesa.

 

Perocché la carità può essere esercitata da ogni individuo, ma con più frutto da una collezione d'individui associati, cospiranti tutti d'accordo, come un cotale esercito pacifico ben ordinato, istrutto, e disciplinato, nello stesso esercizio. E veramente chi ama una cosa, la ama tutta e non una parte; e come la verità di cui parliamo non ha confini, così la carità pure è di natura sua infinita, né può mai dire: basta, senza ripugnare a sé medesima: tende dunque al sommo, a fare tutto il bene che ella può. I confini di lei non sono che soggettivi: poiché s'ella si trova nell'uomo ancora implicata ed involta, non può spandersi nell'opere esteriori, e rimane così implicata quanto nell'uomo stesso rimane implicata la verità. Quell'ignoranza dunque, che può trovarsi anche nel cristiano in ordine a quel sapere che appartiene alla riflessione, e la scarsa cooperazione della libera volontà all'esplicazione della verità stessa, sono i due limiti che riceve ne' diversi uomini l'operosità della carità di Cristo.

Ma questi limiti possono essere sempre più in là sospinti ed allontanati: e quindi l'indefinito e sempre nuovo svolgimento della carità nel Cristianesimo. Perocché la carità giugne a far tutto, e con ogni sacrificio. Or tutti i beni, eziandio che temporali, possono inservire alfine de’ beni, che è il fine stesso dell'uomo, sul quale, per conghietture o argomentazioni non autorevoli, fu tanto disputato da' filosofi prima di Cristo, senza che mai ne vedessero il chiaro, o convenisser fra loro; ma dopo Cristo a niuno può essere oscuro o dubbioso quale, quel fine, egli sia. Laonde la carità è uno amore, pel quale l'uomo, dimenticando se stesso pe' suoi simili, altro diletto non cerca a se medesimo che quello di procacciar loro ogni bene, con ogni suo studio, fatica e patimento, sia questo bene corporale, intellettuale, o morale; ordinando i due primi all'ultimo, che è il fine degli altri.

I quali tre sommi generi di carità, se si considerano attentamente, ritornano alle tre forme dell'essere, la reale, l'ideale, e la morale: e spettano a quelle tre categorie supreme, in cui si riassumono tutte le cose concepibili dalla mente, le quali nelle tre forme primordiali dell'essere si fondano. Onde si vede, che l'ultimo intento della carità è di fare che gli uomini tutti partecipino dell'essere al maggior grado, e in tutt'e tre le sue forme. E come in quest'essere appunto uno e trino si assolve la verità, così nuovamente si raccoglie in che modo la carità termini nella verità, e come pure questa in quella si trasfonda. Ora la compiuta verità è ordinata, perché l'essere è ordinato; di maniera ché, secondo l'ordine di generazione, precede l'essere reale all'ideale, ed entrambi al morale, che tutto l'essere seco congiunge e perfeziona. Così, allo stesso modo appunto, è ordinata altresì la carità. Di che, ogn'altro amore, che si diparta da quest'ordine, s'oppone all’ordine della verità, e di conseguente convien dire che è falso, ed anzi che benefico, dannoso. Cristo dunque portò il vero amore in terra, il quale non poté essere del tutto vero se non a condizione d'essere altresì sublimissimo e divino, come vi portò la vera sapienza, pure sublimissima e divina; ed a buon diritto egli poté dire, che questo precetto era il suo.

 

109. Come poi la carità s'esercita dai discepoli o separati, o uniti in società; così ella s'esercita del pari a favore d'individui, e a favore di società, quantunque il termine umano della carità sia sempre l'individuo; che le società stesse hanno condizione di mezzi e non di fini, non potendo esse aver altro fine che o il bene degl'individui associati, o d'altri. Quindi nella carità v'ha il principio immortale della ristorazione e della riforma non solo della Chiesa, come abbiam detto parlando della verità, ma ancora della società domestica, essendo principalmente l'educazione opera gratissima alla carità, e della società civile, procacciando la carità, ove ne sieno animati i membri di lei, che essa si fondi sulla giustizia, di cui tempera il rigore, conciliando le opinioni e gl'interessi colla reciproca stima e colle vicendevoli concessioni e ragionevoli transazioni de' cittadini, e soprattutto spuntando l'orgoglio e il dispotismo tanto famigliare e quasi inseparabile da questa potente società, coll'insegnarle che cosa ella sia, cioè unicamente l'ancella, non punto la signora né della Chiesa, né della Famiglia, l'una e l'altra delle quali società pel loro concetto a lei precedenti, ella dee riverire come suo proprio fine, e rispettare e servire. Laonde anche la famiglia, e la nazione partecipano di quella immortalità, che la cristiana sapienza comunica a tutte le cose che ella tocca od affetta, e che prima di null'altro ella assicurò di sua propria bocca alla grande scuola da lei aperta, cioè alla Chiesa universale.

 

110. Ma la carità non si ferma, come dicevamo, nell'uomo, ma termina in Dio; ché ella ama gli uomini o perché partecipano della divina natura, o perché ne possono partecipare. Onde come Iddio, maestro del mondo, è la Verità, e questa, nel suo movimento comunicativo agli uomini, termina alla Verità, di maniera che ella è il principio e ad un tempo il termine del divino insegnamento, che in un circolo non già vizioso, ma potente e vitale incessantemente si volge e dimora; così Iddio, Spirito di verità, è la Carità, la quale comunicandosi agli uomini ritorna continuamente in sé stessa, di maniera che, secondo l'osservazione di S. Agostino, si ama in fine lo stesso amore, e tutt'è amore, Dio Amore il principio, e Dio Amore il fine.

E così disvelato, ed anzi comunicato all'uomo il fine de’ beni, furono all'umanità assicurate quelle due cose supreme, ch'ella da sé va sempre, a tastone e nelle tenebre, ricercando, cioè la compiuta virtù e la beata vita. Perocché quella maniera di vivere e d'operare che si limita, che si ferma per via, che non intende nel fine assoluto di tutte le cose, Iddio, può bene dimostrare in sé stessa qualche similitudine o piuttosto analogia colla virtù, a cui è avviata, e questa simili tu dine o analogia o avviamento, può esser preso dagli uomini in fallo per la virtù, ma essere la virtù, egli non può, “né, siccome dice S. Agostino, è vera sapienza quella, che nelle stesse cose da lei vedute con prudenza, operate con fortezza, raffrenate con temperanza, distribuite con giustizia, non indirizza la sua intenzione a quel fine, nel quale Iddio sarà tutto in tutti, con eternità certa, e con pace perfetta”. Nella quale virtù completa l'uomo trova già su questa terra, in cui tutto è incipiente, nulla consumato, in cui la verità sussistente è percepita come un enigma, in cui la carità è operosa come un esercizio e uno sforzo, trova, dico, su questa terra la vita beata, ravvolta certo in fra quei veli della verità, e in fra quei patimenti della carità, ma pure verissima; ché l'uomo posto in tale condizione dichiara sé a se medesimo contento, e lo dichiara con ogni sincerità.

Egli sa di possedere l'infinito, e nella volontà di lui, di cui sente l'infinita amabilità e maestà, come in luogo sicurissimo riposa, e confida d'una speranza, che non può confonderlo: ché anzi egli, educato da Dio medesimo alla generosità de' sentimenti, non si risolve tampoco di preferire l'eterno godere al temporaneo meritare, e o controbilancia il valore di questi due egualmente infiniti tesori, come una femminella diceva: “o patire o morire”, e lo stesso Apostolo mostra esitar nel dubbio, quale de' due gli deva esser più caro; ovvero antepone il merito alla stessa visione, come dicea un'altra femminella: “non morire, ma patire”, e come il medesimo Apostolo Paolo in un altro luogo: “lo desideravo di essere anatema da Cristo (cioè separato dalla vista di lui) pel bene de' miei fratelli”.

Ma se nel tempo della scuola, della palestra, del merito, basta a rendere felice l'umana vita “quella speranza, per usar le parole di S. Agostino, della contemplazione di Dio, la quale ha pur seco dilettevole e certa intelligenza della verità”: cessato il corso del tempo, la verità sussistente, che or è nell'uomo come principio, manifestandosi anche come termine, apre a lui davanti ed offre tutti i tesori eterni, che nella profondità dell'essere reale si nascondono, e così Cristo, secondo la frase ammirabile della Scrittura, restituisce il Regno al Padre già svelato agli uomini; e la Carità che alla Verità, da cui è spirata, s'accompagna e si proporziona, rompendo, per così dire, la fornace che comprimea le sue fiamme, innalza ed espande il corno dell'incendio che non consuma, ed avventandosi a tutto l'Essere discoperto, fa che l'uomo di lui viva, quasi d'una vita di fuoco divino ed immortale.

La promessa, come chiaramente apparisce, è degna del Maestro, ella è consentanea alla sublimità della scuola: tutto s'attiene, se il maestro è Dio, dunque egli dovea essere tutt'insieme e l'oggetto della dottrina, la verità, e il fonte e l'oggetto della carità, e finalmente anche l'eterno oggetto della beatitudine: qualunque altra scienza, fuori di questa, sarebbe stata inferiore a un tale maestro e a una tale scuola, come qualunque altro fine del mondo sarebbe stato inferiore alla grandezza del Creatore.

 

111. S. Agostino osserva che v'ha certe cose, l'aver le quali non è altro che il conoscerle; e queste non possono esser sottratte dagli uomini al nostro amore. Ma in pari tempo alcune di esse non possano esser conosciute a pieno, e però né tampoco avute, da chi non ne fruisce, e la fruizione è un atto d'amore; non possono dunque essere avute se non sono conosciute, né conosciute se non sono amate e godute. Il bene è appunto in tali condizioni: bonum quod non amatur, nemo potest perfecte habere vel nosse: quis enim potest nosse quantum sit bonum, quo non fruitur? Non autem fruitur, si non amat: nec habet igitur quod amandum est, qui non amat.

Dalla qual dottrina applicata alla beata vita si conferma quello che noi dicevamo, cioè:

1 ° Che nella cognizione della verità s'acchiude la carità, perché quella essendo un bene, non può essere a pieno conosciuta, se non s'ami e fruisca, e viceversa nella carità s'acchiude necessariamente la cognizione della verità, perché avere quell'oggetto amabile è un medesimo che conoscerlo. Il che non involge punto alcun vizio di circolo, ma bensì la necessità che verità e carità inabitino, quasi direi, l'una nell'altra, acciocché possano reciprocamente comunicarsi e completarsi.

2° Che quelle due parole, a cui si riduce tutta la scuola di Cristo, Verità e Carità, non solo contengono la sapienza dell'uomo nella presente vita, ma altresì la beatitudine della futura: di maniera che questo riceve il discepolo da una tale scuola, d'avere in sé una sapienza, che, dopo averlo appagato in mezzo alle sofferenze presenti, e datogli una somma dignità e una somma pace in mezzo alle lotte che intorno a lui s'agitano o dalla natura in perpetui e fatali attriti, o dall'umanità in incessanti e volontari dissidi, si rivela colla morte temporale, e si cangia in eterna beatitudine.

Laonde siccome il precetto del divino Maestro: “Amerai il Signore Dio tuo in tutto il cuor tuo, e in tutta l'anima tua, e in tutta la mente tua” non è solamente un documento di giustizia, ma ancora un avviso di prudenza dato all'uomo, acciocché egli conosca dove possa rinvenire quella vita di eterna beatitudine, che è l'ultimo de' suoi voti e la somma de' suoi bisogni, e ciò perché nella perfetta carità si rinviene la compiuta verità; così, simigliantemente, la stessa vita beata gli è mostrata, e quasi a dito indicata dallo stesso divino Maestro, nella perfetta cognizione della verità, la quale non può esser perfetta, se l'uomo ne ignori quella parte che la sola carità. gli rivela, avendo egli favellato così: “Ora questa è la vita eterna, che conoscano te, solo Dio vero, e colui che tu hai mandato, GESÙ Cristo”.