Il teologo protestante di Basilea scrisse nel 1919 il suo celebre e laborioso Commento all’Epistola ai Romani di san Paolo. Egli è un teologo della crisi ed il suo pensiero ha avuto una forte eco nell'esistenzialismo. Gesù, dimostra in queste pagine, è l'ultima parola della fedeltà di Dio: è la parola che chiarisce ogni altra parola.

 

BARTH KARL (1886-1968)

 

La giustizia di Dio si rivela " per mezzo della sua fedeltà in Gesù Cristo." La fedeltà di Dio è la divina pazienza in virtù della quale in molti punti sparsi della storia si danno sempre di nuovo possibilità, occasioni, attestazioni per la conoscenza della sua giustizia. Gesù di Nazareth è, tra questi molti punti, quello in cui gli altri sono riconosciuti nel loro significato complessivo come linea, come il vero e proprio filo rosso della storia. Cristo è il contenuto di questa conoscenza: la giustizia stessa di Dio. La fedeltà di Dio, Gesù Cristo, devono verificarsi reciprocamente.

La fedeltà di Dio si dimostra in questo, che in Gesù, il Cristo ci incontra. Se nonostante ogni insufficienza umana, nelle sparse indicazioni storiche di Dio noi possiamo vedere reali possibilità per Dio, se nelle orme terrene dell'annunzio divino noi possiamo trovare qualche cosa di più che fatti casuali di questo mondo, se rimanendo al nostro posto nel tempo, possiamo ricevere il conforto di una eterna promessa, ciò avviene perché, e a condizione che incontriamo in un determinato tempo, in un punto della realtà, un tempo e una realtà permeati di luce, una verità d'un altra; ordine, una risposta divina.

Il giorno di Gesù il Cristo è il giorno di tutti i giorni. , La luce rivelata e veduta di questo singolo punto è la luce nascosta, invisibile di tutti i punti. La conoscenza della giustizia di Dio che si ottiene una volta, qui, è la "speranza della giustizia" (Gal. 5,5) per ogni volta e dovunque. Gesù riconosciuto come il Cristo, conferma, invera e fortifica ogni umana attesa. Egli ci comunica che non l'uomo, ma Dio, nella sua fedeltà, aspetta. La dimostrazione che appunto in Gesù di Nazareth abbiamo trovato il Cristo, è in questo, che tutte le manifestazioni della fedeltà di Dio sono indicazioni profetiche di quello che appunto in Cristo abbiamo incontrato.

La potenza nascosta della legge e dei profeti è il Cristo che ci incontra in Gesù. Il significato di ogni religione è la salvezza, il cambiamento di evo, la risurrezione, l'invisibilità di Dio, che appunto in Gesù ci costringe a sostare. Il valore di ogni avvenimento umano è il perdono, sotto il quale sta, come appunto è annunziato da Gesù e in lui è personificato. Non vi è alcun bisogno di muoverci l'obiezione, che questa forza, questo significato, questo valore si può trovare anche altrove, oltre che in Cristo; noi stessi affermiamo questo, proprio noi possiamo affermarlo. Poiché appunto in Gesù noi scopriamo che Dio può essere trovato per ogni dove; che l'umanità prima e dopo Cristo è trovata da Dio, appunto in Gesù abbiamo il criterio secondo il quale ogni scoperta di Dio e ogni essere-trovato-da-Dio è conoscibile come tale, appunto in Gesù abbiamo la possibilità di concepire questa scoperta e questo essere-trovati come una verità di ordine eterno. Molti camminano nella luce della salvezza, della remissione,. della risurrezione; ma se li vediamo camminare, se abbiamo occhi per questo, ne siamo debitori all'Unico.

Nella sua luce, noi vediamo la luce. Inversamente, la dimostrazione che in Gesù abbiamo trovato il Cristo, è in questo,. che Gesù è l'ultima parola della fedeltà di Dio attestata dalla legge e dai profeti, la parola che chiarisce ogni altra parola e la conduce alla sua più energica espressione. La fedeltà di Dio è il suo penetrare e permanere nella più profonda problematicità e tenebra dell'uomo. Ma la vita di Gesù è la perfetta obbedienza alla volontà del Dio fedele. Egli si unisce come peccatore ai peccatori.

Egli si sottopone completamente al giudizio, al quale il mondo sottostà. Egli pone se stesso colà dove Dio può essere presente soltanto più come problema. Egli assume forma di servo. Egli va incontro alla morte sulla croce. Al vertice, alla meta della sua via egli è una grandezza puramente negativa: non è un genio, non è un portatore di forze psichiche manifeste od occulte, non è un eroe, un capo, un poeta, o un pensatore, e appunto in questa negazione ("Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"), appunto in quanto egli sacrifica a un impossibile" di più", a un invisibile "altro" tutte le possibilità geniali, psichiche, eroiche, estetiche, filosofiche, anzi, tutte le possibilità umane pensabili, appunto in questo egli attua in sé la pienezza delle condizioni umane di sviluppo, che rimandano al di sopra e al di là di sé, e che raggiungono il loro grado più elevato nella legge e nei profeti.

Per questo Dio lo ha elevato, in questo egli viene riconosciuto come il Cristo, in questo egli diventa la luce delle ultime cose, c1m risplende al disopra di tutti e a tutti. In lui vediamo veramente la fedeltà di Dio nella profondità dell'inferno. Il Messia è la fine dell'uomo. Anche in questo, appunto in questo, Dio è fedele. Il nuovo giorno della giustizia di Dio sorge col giorno della negazione dell'uomo.

"Per tutti coloro che credono." La parola "ma" ("ma ora"!) contiene una riserva feconda. La visione del nuovo giorno è e rimane indiretta, la rivelazione in Gesù è un fatto paradossale - per quanto oggettivo e universale sia il suo contenuto.

Che le promesse della fedeltà di Dio in Gesù Cristo siano adempiute, che appunto Gesù sia il Cristo a cui si riferiscono tutte le profezie, e che Gesù sia il Cristo appunto perché in lui la fedeltà di Dio appare nel suo estremo incognito, nel suo più profondo mistero, tutto questo non è e non sarà mai una cosa per sé ovvia. Non è un dato psicologico, storico, cosmico, naturale, sia pure di altissimo rango. Non diviene accessibile a una considerazione diretta: né mediante una esplorazione dell'inconscio, né mediante il profondo raccoglimento mistico nella preghiera, né mediante lo sviluppo di facoltà occulte dello spirito; anzi, per tutti i tentativi di questo genere, diventa sempre più inaccessibile. Non può essere trasmesso, insegnato, elaborato; se lo fosse, non sarebbe la verità universalmente valida, la giustizia- di Dio per il mondo, la salvezza per tutti.

La fede è la conversione, il radicale nuovo orientamento dell'uomo che sta nudo davanti a Dio, che per acquistare la perla di gran prezzo è diventato povero, che per amore di Gesù è pronto a perdere la sua anima. La fede stessa è fedeltà di Dio, sempre ancora e sempre di nuovo nascosta dietro e sopra le affermazioni, le buone disposizioni, le conquiste spirituali dell'uomo nei riguardi di Dio. La fede perciò non è mai compiuta, data, assicurata, è sempre e sempre di nuovo, dal punto di vista della psicologia, il salto nell'incerto, nell'oscuro, nel vuoto. La carne e il sangue non ci rivelano questo (Matt. 16, 17): nessun uomo può dirlo all'altro, nessuno può dirlo a se stesso. Quello che ho udito ieri, devo udirlo ancora oggi, dovrò udirlo ancora domani, come una cosa nuova, e sempre il rivelatore è il Padre celeste di Gesù, Lui solo.

La rivelazione in Gesù, appunto in quanto è rivelazione della giustizia di Dio, è anche quella che avvolge Dio nella più profonda Segretezza e lo rende inconoscibile. In Gesù, Dio diventa veramente mistero, si fa conoscere come lo Sconosciuto, parla come l'eterno silenzioso. In Gesù Dio si premunisce contro ogni confidenzialità indiscreta, ogni religiosa inverecondia: Rivelato in Gesù, Dio diventa uno scandalo per i Giudei e una pazzia per i Greci. In Gesù la comunicazione di Dio comincia con una ripulsa, con l'apertura di un abisso incolmabile, con l'offerta consapevole del più grave scandalo.

"Se si toglie la possibilità dello scandalo, come si è fatto nella cristianità, tutto il Cristianesimo è partecipazione diretta e allora tutto il Cristianesimo è abolito. Esso è diventato una cosa leggera e superficiale, la quale non ferisce abbastanza profondamente, né risana, l'invenzione speciosa di una compassione soltanto umana, che dimentica l'infinita differenza qualitativa tra Dio e l'uomo (Kierkegaard). La fede in "Gesù" è il radicale "Nondimeno!" come anche il suo contenuto, la giustizia di Dio, è un radicale "Nondimeno!".

La fede in Gesù è questa così inaudita: sentire e comprendere l'amore del Dio del tutto "non amorevole"... fare la volontà sempre sconcertante e scandalosa di Dio, dare a Dio, nella sua totale invisibilità e segretezza, il nome di Dio. La fede in Gesù è il rischio di tutti i rischi. Questo "Nondimeno!", questo atto inaudito, questo rischio è la via che additiamo.

Noi domandiamo fede, nulla più e nulla meno. Noi la domandiamo, non in nome nostro, ma in nome di Gesù, in cui questa esigenza si. è 'imposta a noi senza scampo. Non domandiamo fede nella nostra fede; poiché sappiamo che, nella nostra fede, quello che è nostro è incredibile. Non pretendiamo la nostra fede dagli altri uomini; poiché se altri crederanno, lo faranno come noi stessi a proprio rischio e con promessa propria. Noi domandiamo fede in Gesù.

Noi la chiediamo a tutti, a tutti qui e ora, al livello di vita al quale appunto essi si trovano. Non vi è nessuna presupposizione umana (pedagogica, intellettuale, economica, psicologica, ecc.) che debba essere adempiuta come preliminare della fede. Non vi è nessuna introduzione umana, nessun itinerario di salvezza, nessuna scala graduata verso la fede che debba essere in qualche modo percorsa.

La fede è sempre l'inizio, la presupposizione, il fondamento. Si può credere come Giudeo e come Greco, come fanciullo e come vegliardo, come uomo colto e come ignorante, come uomo semplice e uomo complicato, si può credere nella tempesta e nella bonaccia, si può credere a tutti i gradini di tutte le immaginabili scale umane. L'esigenza della fede interseca trasversalmente tutte le differenze della religione, della morale, della condotta e della esperienza della vita, della penetrazione spirituale e della posizione sociale. La fede è per tutti altrettanto facile e altrettanto difficile. La fede è sempre lo stesso "Nondimeno", la stessa cosa inaudita, la stessa impresa rischiosa. La fede è per tutti la stessa distretta e la stessa promessa. La fede è per tutti lo stesso salto nel vuoto. Essa è possibile a tutti, perché è a tutti ugualmente impossibile.

 

Accusa a Dio per le sofferenze dell'Agnello innocente, atroce elogio a san Pietro per aver rinnegato Gesù sconfitto: sembrano versi blasfemi, ma nascono da una torturante compassione per il sacrificio del Calvario, una compassione noti ancora illuminata da quella fede che il grande poeta francese avrebbe trovato solo al termine della vita, ma che qui forse già si preannuncia.

Che cosa Iddio fa dunque di quel flusso d'anatemi che tutti i giorni sale verso i suoi cari Serafini? Come un tiranno impinzatosi di vini e di carne, egli piglia sonno al dolce suon delle nostre orribili bestemmie. L'urlo che danno suppliziati e martiri è, certo, un'inebriante sinfonia, se i Cieli ancora non ne sono sazi, e ciò malgrado tutto il sangue sparso per acquistare tale voluttà!

- Gesù, ricorda l'Orto degli Ulivi! Tu pregavi in ginocchio, nella tua semplicità, colui che nel suo cielo rideva al suon dei chiodi che i carnefici ti conficcavan nelle carni vive.

E quando sulla tua divinità sputar vedesti l'ebbra soldataglia e schiumatura di cucine, e quando nel cranio, ove l'immensa Umanità viveva, ti sentisti penetrare la corona di spine; quando atroce il peso del tuo corpo rotto dava strazio alle tue distese e tese braccia, e ti grondavan dall'impallidita fronte sudore e sangue, e quando fosti davanti a tutti posto a far bersaglio, ritornavi con l'anima a quei giorni sì belli e luminosi in cui venisti per mantenere la promessa eterna, e quando, in groppa ad un'asina mite, tu calpestavi lungo il tuo cammino ramoscelli d'olivo e fiori sparsi, quando, gonfio d'ardore e di speranza, a tutta forza fustigavi il branco di quei vili mercanti, e quando, infine, fosti re? Più profondo della lancia non ti è entrato il rimorso nel costato?

- Quanto a me, me ne andrò, certo, contento, da un mondo ove non è sorella al sogno l'azione; possa adoperar la spada e perire di spada! Ha rinnegato il suo Gesù, San Pietro... Ha fatto bene!