Filosofo marxista perseguitato dal marxismo ufficiale, Bloch, pur non accettando la trascendenza, vede in Gesù un profeta anche per il nostro tempo, un rivoluzionario che sprona alla costruzione di una nuova realtà umana e sociale.

 

BLOCH ERNST (1886-1977)

 

Un segno della nostra buona causa si chiamò e si chiama Gesù. Invero neppure ciò ha terminato di fermentare e di essere in cammino, tuttavia è legato come null'altro agli uomini e rimane al loro fianco come il segno più dolce e il più bruciante nella sua dolcezza, il segno che più ci spezza e più ci ama. Altrimenti si ridurrebbe a qualcosa di affatto ipocrita, come è accaduto già per lungo tempo, e da esso non sarebbe sorto nessun rampollo, nessuno" io sono", ma ancora una volta una qualche ninna nanna. Ma qualcosa di ben diverso viene ora impostato e applicato, testimone di questo Gesù che Viene a chiamarci per nome. Ed il richiamo è forse sommesso, ma tuttavia ci può sempre sconvolgere e rinnovare.

Vi sono agnelli nati che si fanno piccoli piccoli spesso e volentieri. Ciò è insito nella loro specie e Gesù non ha predicato per essi con violenza, come si dice nella Scrittura. Tanto meno egli ci compare di fronte in un aspetto cosi mitigato, come intende la brava gente, meno che mai come i lupi lo hanno adattato ad uso delle pecore, affinché esse possano conservare doppiamente la loro natura. Il loro ben noto pastore viene presentato cosi succube, così illimitatamente paziente, come se egli non fosse null'altro che questo. Il fondatore avrebbe dovuto essere libero da ogni passione e tuttavia veniva preso da una delle più forti: l'ira.

Tanto che egli rovesciò nel tempio i tavoli dei cambiavalute, né si dimenticò di usar la frusta. Gesù dunque è paziente solo quando si trova nel cerchio silenzioso dei suoi: invero non pare affatto che egli ami i loro nemici. Veniamo ora alla predicazione della montagna: essa non si propone di certo di eccitare gli uomini l'uno contro l'altro per amore di Cristo, come Gesù fanaticamente consiglierebbe ai suoi discepoli (Matt. 10, 35).

La predicazione della montagna in cui vengono chiamati beati i miti e i pacifici non è legata ai giorni della lotta ma alla fine dei giorni, che Gesù credeva già vicina conformemente alla predicazione del mandeo Giovanni; dal che consegue il rapporto istantaneo e chiliasticamente immediato con il regno dei cieli (Matt. 5, 3).

Nondimeno a sancire la lotta necessaria per l'avvento del regno sta la parola: "Io non sono venuto a portare la pace ma la spada" (Matt. 10,34).

E giunge parimenti il fuoco che scava, in un sènso che non è affatto solo interiore ma esteriore: "Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso" (Luc. 12, 49). Questo intendono appunto i versi di William Blake nella conclusione riferibile al 1789: "Lo spirito della rivolta si precipitò giù dal Salvatore e nei vigneti di Francia apparve la luce del suo furore".

Certamente la spada, che come il fuoco non solo distrugge ma purifica, viene rivolta nella predicazione di Gesù contro qualcosa di più dei semplici palazzi: essa si scaglia contro tutto il vecchio eone, poiché esso deve sparire, e prima tra tutti i ricchi, nemici dei miseri e degli oppressi, che così a fatica entrano nel regno dei cieli come - con tutta la ironia dell'impossibile - il cammello attraverso la cruna d'un ago. In seguito la chiesa ha di molto allargato la cruna dell'ago e di conseguenza il suo Gesù è stato strappato via dalla prospettiva della rivolta. Così accadde che contro i facitori d'ingiustizia si giocò la carta della mitezza e non dell'ira di Gesù.

Tuttavia lo stesso Kautsky, che non vi scorse altro che un "mantelletto religioso", dovette riconoscere nella Origine del cristianesimo: "L'odio di classe del moderno proletariato ha ben difficilmente raggiunto forme così fanatiche come l'odio di quello cristiano". E da tutt'altra parte, schierato cioè con il "mantelletto religioso" ci sorprende Chesterton quando illumina malgré lui sulla vana apparenza del buon Gesù e sulla probità etica e soprattutto sulle sue posteriori riforme. Nell'Uomo immortale egli è molto caustico contro di ciò: "Quelli che hanno incolpato i cristiani di aver distrutto Roma con il fuoco furono calunniatori, ma colsero la natura del cristianesimo molto più giustamente di quelli che fra i moderni ci raccontano che i cristiani sarebbero stati una comunità etica, e che subirono un lento martirio per aver dichiarato agli uomini di avere un dovere da compiere nei confronti del prossimo; ovvero poiché la loro mitezza li avrebbe resi facilmente disprezzabili".

Chiaramente percepibile anche sotto questa forma si alza l'elemento sovversivo del cristianesimo primitivo, che prende il posto della precedente visione e della sua espressione. Ciò rappresenta esattamente l'antidoto contro tutta la dolcezza melliflua della mentalità religiosa, un contrattacco sferrato all'illuminazione nel fango. Gesù volle vomitare dalla sua bocca i tiepidi, e nessuna sua parola trova una corrispondenza ideologica nella nostra società precedente, meno che mai la predicazione della montagna; ognuna è rivolta all'attesa della fine assai più che alla sua preparazione. Ogni sua allusione morale non è comprensibile senza l'apocalittica, e ciò precede di. molto la tarda rivelazione di Giovanni. che non è nata solo da Gesù ma che tuttavia era sempre stata implicata nella sua predicazione. "Chi persevera fino alla fine di questo eone che si spezza, costui sarà beato", questa è una rigorosa aggiunta alla richiesta della predicazione della montagna. "Ma quello che-io vi dico, io lo dico a tutti: vegliate!" (Marc. 13, . 36). Tutto ciò è meno che mai quietistico, anzi come dice William Blake fa tutt'uno con la luce di questo innegabile furore.