Il critico e saggista ligure è uno dei pochi letterati che detengono, in Italia, una funzione di maestro. Bo è l'indicatore di una precisa rotta cristiana nel mare delle piccole e grandi eresie che ci circonda. Molti suoi interventi rimangono memorabili: come la seguente risposta ad un articolo di Elio Vittorini apparso sul primo numero della rivista Il ‘Politecnico’.

 

BO CARLO (1911)

 

Gli apostoli sbigottiti

Cristo non è cultura

Per un cattolico Cristo è l'unica immagine di vita e la sua rivoluzione non sopporta le condizioni del tempo: non m'importa l'influenza che può aver avuto Cristo, m'importa soltanto quella che può avere dentro di me come misura attiva, come una proposta di correzione continua. È fallita quella rivoluzione?

Ma noi non possiamo dirlo, finché ci sarà un uomo sulla terra quella rivoluzione resta intatta, resta da inventare, deve diventare davvero sangue dei nostri giorni. E così non si può pretendere di vedere dei risultati pratici di questa rivoluzione: in questo senso non c'è progresso e la nostra miseria raggiunge quella dei primi cristiani, l'ultima guerra che ricorda Vittorini ne è la più bella conferma. E in questo senso ci lascia molto perplessi la sua speranza in un mondo “ridotto”, “rinnovato”, irriconoscibile: sono utopie, il cattolico sa che il male è insuperabile, anzi è necessario: così come il peccatore conta più del santo.

Come si potrebbe dare la vita senza questi oggetti di prova, senza queste misure offerte al nostro sacrificio o alla nostra viltà? I rimedi in cui spera Vittorini non ci possono dare nessun aiuto vero; siamo pronti a combattere con lui contro l'ingiustizia ma qualcosa dentro di noi ci avverte che questa ingiustizia comincia da noi, che il male che vediamo in spaventose forme esteriori ha una esatta rispondenza nel nostro cuore. Vittorini lo chiama per nomi di uomini e anch'io grido contro queste figure il mio bisogno di giustizia e di verità ma immediatamente devo mettermi al posto di questi uomini e calcolare la mia condotta, fare le proporzioni e allora troverò che sono malato dello stesso male: non conta qui la misura del veleno: e se devo essere sincero sento di cominciare la lotta da me stesso, vincere il male dentro di me se voglio vederlo annullato al di fuori.

Non per niente il povero è l'immagine reale del Cristo, in quanto il povero è l'unica figura irraggiungibile, perfetta: il quale soltanto si può inseguire e raggiungere ma non il bene che è la voce reale di Dio. Solo Dio è buono: che spaventosa parola per tutti noi, per gli stessi Santi, per questi nostri fratelli maggiori, ma ancora fratelli, uomini offerti alla loro parte di male. La rivoluzione a cui aspira Vittorini si può avverare, e io stesso divido questo desiderio, ma in quel nuovo mondo so benissimo che la mia posizione non muta, resta tale e quale, e cioè la vera rivoluzione è ancora da iniziare.

Al cristiano importa solo salvare l'anima: tutto il resto lo può sacrificare a Dio e non già per una vana rassegnazione ma per un dolore che si trasforma, che frutta. Né pensare soltanto all'anima vuol dire lasciar carta bianca a Cesare, la parola del Vangelo che cita Vittorini avvilisce molto, ma molto, la figura di questo Cesare e nello stesso tempo limita l'importanza del tempo immediato della politica. La vita per noi è una prova e resterà sempre una prova anche se cambiano le sue condizioni, anche se le nostre domande pratiche vengano soddisfatte.

D'altra parte se tutti, anzi se noi applicassimo queste parole di Cristo avremmo eliminato di colpo queste cause di dolore che fanno gridare Vittorini: ma avremmo vinto il male, saremmo soltanto buoni e questo sappiamo che non è possibile, che la morte soltanto può far cessare questa disperazione che ci tiene legati e divisi: Vittorini ed io allo stesso modo, seppure con diverse intensità.

Ma davvero Vittorini ha mai pensato alla realtà del mondo fantastico a cui aspira? o meglio quel mondo annullerà di colpo questa sua disperazione che oggi ci chiama e ci colpisce? Ho paura di no, ho paura che non ci voglia pensare, ho paura che questo mondo prenda il posto della cultura che rifiuta: un mondo che consoli nelle sofferenze, lo protegga e cioè lo illuda ancora. Ancora, ma fino a quando? Crede cioè davvero che cambiato l'ordine della casa la sua anima muti sostanza, e ancora che il male sia soltanto nelle cose?

No, il male è dentro di noi e la strada più breve per combatterlo - non per annullarlo - comincia proprio dalla nostra anima: più sicuri di noi saremo anche più forti mentre se ci presentiamo avviliti corriamo il rischio di confondere i piani, di oltrepassare i limiti delle speranze e delle nostre possibilità. Infine tra il cattolico e il comunista il punto di partenza può essere uguale ma dove il comunista si ferma il cristiano sente di dover fare ancora molta strada, forse tutta la strada.

C'è ancora un'altra parola del Vangelo che mi serve, quella per il povero e per il ricco: il miserabile è il ricco, è un'anima con più “impedimenta ”, arriverà sempre dopo, se arriverà. Il vero cristiano dovrebbe pensare a questo: lo so, sono pochissimi a pensare queste cose, la maggior parte ignora questo peso del peccato e quindi non conta, un'altra accetta una lotta politica ma con un bersaglio ben limitato, fa la sua piccola guerra e non può interessarci, accetta troppe cose perché gli sia consentito il peso dell'aggettivo che proclama e in questo senso Unamuno ha parlato ben chiaro nella sua Agonia.

Agonia, che bella definizione per noi che dovremmo sempre essere svegli, che dovremmo temere soltanto il sonno dell'anima e poi se davvero seguissimo questo emblema interiore nessuna cultura potrebbe servirci. Anche noi siamo per una cultura interessata ma sappiamo che non può essere definitiva: lotto con Vittorini per rifiutare una cultura che consoli - per noi, traduco, che addormenti - e per sollecitare una cultura che ci aiuti sulla strada della verità: parli ancora al nostro cuore, sia attiva.

Attiva, cioè legata alla vita ma senza nozione di riposo. Vittorini vuole abolire un paradiso artificiale per conquistare un paradiso naturale ma sono tutt'e due legati al tempo: e poi? e la morte? e noi che continuiamo oltre questi segni sensibili? Non ci è concesso di credere a un senso così diminuito della nostra natura ma forse qui il mio discorso esula dalle intenzioni stesse di Vittorini le mie amplifìcazioni ci portano troppo in là, troppo lontano dalla guerra in fondo moderata che Vittorini conduce con amore nelle. file del suo partito.

Per un cristiano ogni rivoluzione che non sia la sua, così assoluta e così bruciata, è sempre troppo poco, un rimedio inefficace. E non contano le accuse che potrebbe farci, nessuno come un cristiano - buono o cattivo che sia, anzi più cattivo è,meglio conosce la forza del suo errore - sa scavare dentro la propria anima e trovare i nomi dei suoi delitti e delle sue vergogne.

Quando Cristo ci dice “io sono la via, la verità, la vita” non sceglie a caso quest'ordine, questa progressione interiore: la via, e qui vediamo ancora Vittorini vicino, ma dopo al momento della verità? e Cristo lascia per ultimo “la vita”: la vita è soltanto lui e il cristiano che muore dei suoi peccati dovrebbe morire d'amore.

E sottolineiamo questa parola, amore: non crede Vittorini che proprio l'amore, un amore continuo, sacrificato, perduto contro noi stessi potrebbe essere l'unico mezzo per cambiare davvero il mondo, per annullare tutti i padroni del mondo, ma si badi quei padroni che hanno il nome dei nostri peccati? Ma la vita è Cristo, se non avessi paura di errare direi che è Dio, Dio ottenuto attraverso l'amore di Cristo: e anche qui nella leggenda divina non ci sono ostacoli, non c'è il dolore, il bene non vive sulle radici stesse del male? Ma Vittorini vuole limitare il giuoco e un cristiano deve buttare sul tappeto. tutti i suoi capitali: una volta per sempre., Lo so io che sono cristiano, un pessimo cristiano: un uomo che conosce il senso della sua disperazione.