Un Cristo senza trascendenza, questo del russo Bulgakov, con motivazioni e avvenimenti che si discostano parecchio dai Vangeli. Ma è visto con un'intensità, con una simpatia straordinarie, e se gli manca - a parte il soprannaturale - anche l'autorevolezza e l'energia che i Vangeli ci tramandano, è. però irresistibile per la sua dolcezza umana, per il disarmato candore che lo rende indimenticabile all'inquieto Pilato.

 

BULGAKOV MICHAIL (1891-1940)

 

Ponzio Pilato

Dal ripiano del giardino due legionari condussero subito sul balcone del porticato e fermarono davanti alla scranna del procuratore un uomo che dimostrava circa ventisette anni. Indossava un vecchio e logoro chitone azzurro. La testa era coperta da una fascia bianca con una cinghia intorno alla fronte, e le mani erano legate dietro la schiena. Sotto l'occhio sinistro l'uomo aveva un grosso livido, e all'angolo della bocca un'escoriazione con un po' di sangue raggrumato. L'uomo guardava il procuratore con una curiosità piena d'inquietudine.

Pilato tacque per un istante, poi chiese piano in aramaico:

- Sei tu che inciti il popolo a distruggere il tempio di Jerushalajim?

Il procuratore sedeva immobile come se fosse stato di pietra, e solo le sue labbra si muovevano appena quando pronunciava le parole. Era come di pietra perché temeva di muovere la testa che ardeva di un dolore infernale.

L'uomo dalle mani legate si sporse un po' in avanti e cominciò a parlare:

- Buon signore! Credimi...

Ma il procuratore, sempre senza muoversi e senza alzare la voce, lo interruppe subito:

- È me che chiami “ buon signore ”? Ti sbagli. A Jerushalajim tutti sussurrano che io sono un mostro crudele, e questa è la pura verità, - e con la stessa voce monotona aggiunse: - Chiamate il centurione Ammazzatopi.

Sembrò a tutti che la luce sul balcone si offuscasse quando davanti al procuratore apparve il centurione della prima centuria Marco, detto l'Ammazzatopi. Egli superava di tutta la testa il più alto soldato della legione e aveva le spalle così larghe che nascose completamente il sole ancora basso sull'orizzonte.

Il procuratore si rivolse in latino al centurione:

- Questo delinquente mi chiama “ buon signore ”. Portalo fuori un momento e spiegagli come deve parlare con me. Ma non rovinarlo.

Tutti, tranne l'immoto procuratore, seguirono con lo sguardo Marco l'Ammazzatopi che con un cenno della mano indicò all'arrestato che doveva seguirlo. In genere l'Ammazzatopi era sempre seguito dagli sguardi di tutti, dovunque apparisse, a causa della sua statura, e quelli che lo vedevano per la prima volta erano colpiti anche dal suo. volto deturpato: il naso gli era stato rotto da una clava germanica.

Sul mosaico risuonarono i pesanti stivali di Marco, l'uomo legato lo seguì senza far rumore, un silenzio assoluto regnò nel porticato, e si sentivano tubare i colombi sul ripiano del giardino presso il balcone, e l'acqua della fontana cantava una bizzarra e gradevole canzone.

Al procuratore venne voglia di alzarsi, di mettere la tempia sotto un getto d'acqua e di rimanere così.

Ma sapeva che questo non gli avrebbe recato sollievo.

Dopo aver condotto il prigioniero fuori del porticato, nel giardino, l'Ammazzatopi prese una frusta dalle mani di un legionario fermo ai piedi di una statua di bronzo, e colpi le spalle dell'arrestato quasi senza prendere lo slancio. Il movimento del centurione fu incurante e lieve, ma l'uomo crollò immediatamente a terra come se gli avessero colpito i tendini delle gambe, boccheggiò, il colore gli scomparve dal volto e gli occhi persero ogni espressione.

Con la sola mano sinistra, Marco sollevò facilmente il caduto come se fosse stato un sacco vuoto, lo rimise in piedi e disse con voce nasale, pronunciando a stento le parole aramaiche:

- Il procuratore romano va chiamato egemone. Non usare altre parole. Devi stare sull'attenti. Hai capito, o vuoi ancora una botta?.

L'arrestato barcollò, ma si dominò, il colore ritornò sul suo viso, riprese fiato e rispose con voce rauca:

- Ti ho capito. Non picchiarmi.

Un minuto dopo era di nuovo davanti al procuratore.

Si senti una voce fioca, malata: - Nome?

- Il mio? - replicò in fretta l'arrestato, esprimendo con tutto il suo atteggiamento che intendeva rispondere a tono, senza più provocare l'ira.

Il procuratore disse con voce sommessa:

- Il mio lo so. Non far finta di essere più stupido di quanto sei. Il tuo.

- Jeshua, - rispose rapido l'accusato.

- Hai un soprannome?

- Hanozri.

- Di dove sei?

Della città di Gamala, - rispose l'arrestato indicando con un movimento della testa che laggiù, lontano, alla sua destra, verso nord, esisteva una città chiamata Gamala.

- Di che sangue sei?

- Non lo so di preciso, - rispose pronto l'arrestato. - Non ricordo i miei genitori. Mi dicevano che mio padre era siriano...

- Dove vivi di solito?

- Non ho una dimora fissa, - rispose con timidezza l'arrestato. - Vado da una città all'altra.

- Tutto questo può essere detto in modo più breve, con una parola soltanto: vagabondo, - disse il procuratore, e chiese: - Hai parenti?

- Non ho nessuno. Sono solo al mondo.

- Sai leggere e scrivere?

- Sì.

- Sai qualche lingua oltre l'aramaico?

- Si, il greco.

Una palpebra enfiata si sollevò e un occhio velato dalla sofferenza fissò il prigioniero. L'altro occhio rimase  chiuso.

Pilato cominciò a parlare greco:

- Sei tu che intendevi distruggere il tempio e incitavi il popolo a farlo?

L'arrestato si animò, i suoi occhi non esprimevano più spavento, e disse in greco:

- Io, buon... - il terrore balenò nei suoi occhi perché per poco non si era sbagliato, - io, egemone, non ho mai avuto l'intenzione di distruggere il tempio e non ho mai incitato nessuno a commettere una simile azione insensata.

Lo stupore si dipinse sul volto del segretario, curvo su un tavolino basso a scrivere la deposizione. Alzò la testa, ma la riabbassò subito sulla propria pergamena.

- Molta gente diversa affluisce in questa città per le feste. Vi sono tra di loro maghi, astrologi, indovini e assassini, - diceva con voce monotona il procuratore. - Si trovano anche dei bugiardi. Tu, ad esempio, sei un bugiardo. È scritto chiaramente: incitava a distruggere il tempio. Lo attesta la gente.

- Questa buona-gente, - cominciò l'arrestato, e aggiunse rapidamente: - egemone... - continuò: - ... è ignorante e ha confuso tutto quello che dicevo.

E io comincio a temere che questo pasticcio andrà avanti assai a lungo. La colpa è tutta di chi ha trascritto le mie parole travisandole.

Subentrò il silenzio. Ora entrambi gli occhi sofferenti guardarono pesantemente l'arrestato.

- Te lo ripeto per l'ultima volta, smettila di fingerti pazzo, furfante, - proferì Pilato con voce dolce e monotona, - poche delle tue parole sono state trascritte, ma bastano a farti impiccare.

- No, no, egemone, - disse l'arrestato, tutto teso nel desiderio di essere convincente, - un tale mi segue dappertutto con la sua pergamena di capra e trascrive di continuo le mie parole. Ma una volta ho dato un'occhiata a quella pergamena e sono rimasto inorridito. Di tutto quello che c'era scritto, non avevo detto una parola. L'ho supplicato: “Brucia la tua pergamena, ti prego! ” Ma me l'ha strappata di mano ed è fuggito.

- Chi? - domandò Pilato con un senso di ripugnanza, e si toccò una tempia con la mano.

- Levi Matteo, - spiegò di buon grado l'arrestato. - faceva il pubblicano; l'ho incontrato per la prima volta sulla strada di Betania, all'angolo del giardino dei fichi, e ci siamo messi a parlare. Dapprima mi trattava con ostilità, ed era persino offensivo, cioè credeva di offendermi chiamandomi cane. - L'arrestato ridacchiò.

- Personalmente non vedo nulla di male in quella bestia perché debba offendermi il suo nome...

Il segretario smise di scrivere, e lanciò di sottecchi uno sguardo sorpreso, ma non all'arrestato, bensì al procuratore.

- ... Però dopo avermi prestato ascolto si addolcì, - continuò Jeshua, - infine gettò il denaro sulla via e disse che mi avrebbe seguito nei miei viaggi...

Pilato sogghignò con una sola guancia, mettendo in mostra denti gialli, e disse, voltando tutto il torso verso il segretario:

- Oh, città di Jerushalajim! Che cosa non vi puoi udire! Un pubblicano, sentite, che getta il denaro nella via!

Non sapendo come rispondere, il segretario ritenne opportuno imitare il sorriso del procuratore.

- Disse che da quel momento il denaro gli era divenuto odioso, - così Jeshua spiegò lo strano atteggiamento di Levi Matteo, e aggiunse: - E da allora mi accompagna.

Senza smettere di sghignazzare, il procuratore guardò l'arrestato, poi il sole che saliva inesorabile al di sopra delle statue equestri dell'ippodromo in basso a destra, e in un parossismo di tormento assillante pensò che la cosa più semplice sarebbe stata cacciare dal balcone quello strano furfante, pronunciando un'unica parola: “impiccatelo ”. Cacciar via anche la scorta, rientrare dal porticato nel palazzo, dare ordine di oscurare la stanza, buttarsi sul letto, chiedere acqua fresca, chiamare con voce lamentosa il cane Banga, lagnarsi con lui dell'emicrania. Allora il pensiero del veleno balenò seducente nella testa tormentata del procuratore.

Guardava l'arrestato con occhi torbidi, e tacque per un po', cercando penosamente di ricordare perché sotto lo spietato solleone mattutino di Jerushalajim stava davanti a lui un arrestato dal volto tumefatto dalle percosse, e quali altre domande inutili dovesse ancora rivolgergli.

- Levi Matteo? - chiese l'ammalato con voce rauca, e chiuse gli occhi.

- Sì, - echeggiò la voce alta che lo torturava.

- . Ma che cosa dicevi a proposito del tempio alla folla del mercato?

La voce dell'accusato sembrava trafiggere la tempia di Pilato, tormentandolo in modo indicibile; questa voce diceva:

- Io, egemone, dicevo che il tempio della fede antica deve crollare e al suo posto deve sorgere il nuovo tempio della verità. Dissi così perché fosse più comprensibile.

- Ma perché, vagabondo, turbavi la gente del mercato parlando di una verità di cui non hai idea? Che cos'è la verità?

Appena ebbe detto questo, il procuratore pensò: “Oh numi! Gli sto chiedendo delle cose che non c'entrano col processo... non riesco più a dominare la mia mente... ” E di nuovo gli balenò davanti la visione d'una coppa di liquido scuro. “Del veleno, voglio del veleno... ”.

Di nuovo udì la voce:

- La verità anzitutto è che ti fa male la testa, ti fa talmente male che pavidamente pensi alla morte. Non solo non sei in grado di parlare con me, ma ti è perfino difficile guardarmi. E adesso sono involontariamente il tuo torturatore, il che mi amareggia. Non riesci neppure a pensare e sogni solo che venga il tuo cane, l'unico essere, evidentemente, al quale sei affezionato. Ma il tuo tormento cesserà subito, la testa non ti farà più male.

Il segretario spalancò gli occhi sull'arrestato e non terminò la parola che stava scrivendo. Pilato alzò gli occhi di martire sul prigioniero e vide che il sole era già abbastanza alto sopra l'ippodromo, che un raggio era penetrato sotto il porticato e strisciava verso i sandali logori di Jeshua e che questi se ne scostava.

Il procuratore si alzò allora dalla scranna, strinse la testa fra le mani, e sul suo giallognolo volto sbarbato si dipinse il terrore. Ma lo represse subito con uno sforzo di volontà e si abbandonò di nuovo nella scranna.

Nel frattempo l'arrestato continuava il suo discorso, ma il segretario non scriveva più nulla: cercava solo, allungando il collo come un'oca, di non perdere una parola.

- Ecco, tutto è finito, - diceva l'arrestato guardando con benevolenza Pilato, - ne sono molto lieto. Ti consiglierei, egemone, di lasciare temporaneamente il palazzo e di farti una passeggiata a piedi nei dintorni, anche solo nei giardini sul monte Elion. Il temporale avrà inizio... - il prigioniero si voltò, socchiuse gli occhi guardando il sole - ... più tardi, verso sera. La passeggiata ti farebbe molto bene, e io ti accompagnerei volentieri. Mi sono venute in mente alcune idee che, credo, ti potrebbero sembrare interessanti, e te ne farei volentieri partecipe, tanto più che dai l'impressione di essere assai intelligente. - Il segretario diventò pallido come un cadavere e lasciò cadere a terra il rotolo di pergamena.

- Il guaio è, - nessuno interrompeva l'uomo legato, - che sei troppo rinchiuso in te stesso, e non hai più alcuna fiducia negli uomini. Non si può, ammettilo, riporre tutto il proprio affetto in un cane. La tua vita è vuota, egemone, - e qui l'uomo si permise di sorridere.

Il segretario pensava solamente a una cosa: credere o no alle proprie orecchie. Bisognava crederci. Allora cercò di immaginare quale forma capricciosa avrebbe assunto la furia dell'irascibile procuratore dopo quell'inaudita insolenza del prigioniero. Ma non vi riusciva, benché conoscesse bene il procuratore.

Si udì allora la voce rotta e rauca del procuratore che disse in latino:

- Slegategli le mani.

Uno dei legionari della scorta batté la lancia in terra, la passò a un altro, si avvicinò e tolse le corde all'arrestato. Il segretario raccattò il rotolo e decise di non scrivere nulla per il momento e di non stupirsi di nulla.

- Confessa, - disse piano in greco Pilato, - sei un grande medico?

- No, procuratore, non sono un medico, - rispose il prigioniero, sfregandosi con voluttà la mano paonazza formata e tumefatta.

Pilato trafiggeva il prigioniero con gli occhi, guardandolo fisso di sotto le sopracciglia aggrottate, e in quegli occhi non c'era più nulla di torbido: vi erano apparse le scintille ben note a tutti. - Non te l'ho chiesto, - disse Pilato, - forse sai anche il latino? - Sì, lo so, - rispose l'arrestato.

Il colore affiorò sulle guance giallastre di Pilato, che chiese in latino:

- Come hai fatto a sapere che volevo chiamare il mio cane?

- È facilissimo, - rispose il prigioniero nella stessa lingua. - La tua mano ha fatto un gesto nell'aria, e ripeté egli stesso quel gesto, - come se tu volessi fare una carezza, e le tue labbra...

- Già, - disse Pilato.

 

Tacquero. Poi il procuratore chiese in greco:

- Allora sei un medico?

- No, no, - rispose con vivacità il prigioniero, - credimi, non sono un medico.

. - E va bene, se vuoi che resti 'un segreto, fai pure. Questo non riguarda direttamente la tua causa. Quindi tu affermi che non incitavi a distruggere... o incendiare, o annientare in qualche altro modo il tempio?

- Io, egemone, non ho incitato nessuno a tali azioni, lo ripeto. Sembro forse un demente?

- No, non lo sembri proprio, - rispose con voce sommessa il procuratore, ed ebbe un sorriso terribile.

- Allora giurami che non è vero.

- Su che cosa vuoi che io giuri? - chiese pieno di animazione l'uomo slegato.

Be', anche sulla tua vita, - rispose Pilato, - è proprio il momento giusto per giurare sulla tua vita, perché è appesa a un :filo, sappilo.

- Credi di essere stato tu ad appenderla, egemone? - chiese il prigioniero. - Se fosse così, ti sbaglieresti di grosso.
Pilato trasalì e rispose tra i denti:

- Posso tagliare quel filo.

- Anche qui ti sbagli, - ribatté il prigioniero con un sereno sorriso e riparandosi con la mano dal sole. - Ammetterai che il :filo può essere spezzato solo da chi lo ha teso.

- Già, già, - sorrise Pilato, - adesso non dubito più che gli oziosi perdigiorno di Jerushalajim ti seguissero a passo a passo. Non so chi ti abbia messo la lingua in bocca, ma te l'ha messa bene. A proposito, dimmi, è vero che sei giunto a Jerushalajim dalla Porta di Susa cavalcando un asino. e accompagnato da una folla che ti acclamava come un Profeta? - Dicendo questo, il procuratore fece un cenno verso il rotolo di pergamena.

L'arrestato guardò perplesso il procuratore.

- Non ho nemmeno l'asino, egemone, disse. - È vero che sono giunto a Jerushalajim dalla Porta di Susa, ma a piedi, accompagnato dal solo Levi Matteo, e nessuno mi acclamava, perché allora a Jerushalajim nessuno mi conosceva.

- Conosci queste persone, - continuò Pilato senza distogliere gli occhi dal prigioniero: - un certo Disma, un certo Resta, e infine Bar-Raban?

- Non conosco questa buona gente, - rispose il prigioniero.

- Davvero?

- Davvero.

- E adesso dimmi perché usi sempre le parole “buona gente ”. Chiami tutti così?

- Sì, tutti, - rispose il prigioniero. - Non esistono uomini cattivi.

- È la prima volta che lo sento dire, -: sogghignò Pilato. - Magari conosco poco la vita!... Puoi fare a meno di scrivere, - disse al segretario, benché questi non scrivesse più da un pezzo, e continuò, rivolto al prigioniero: - L'hai letto in qualche libro greco?

- No, ci sono arrivato da solo.

- E lo predichi?

- Sì.

- Ma, per esempio, il centurione Marco, l'hanno soprannominato l'Ammazzatopi, è buono anche lui?

- Sì, - rispose il prigioniero, - però è un infelice. Da quando certa buona gente l'ha mutilato, è diventato crudele e duro. Vorrei sapere chi l'ha mutilato.

- Te lo dirò volentieri, - ribatté Pilato, - perché ero presente. La buona gente gli si buttava addosso come i cani fanno con gli orsi. I germani lo avevano afferrato per il collo, le braccia, le gambe. Il manipolo di fanteria era stato preso in una sacca, e se dal fianco non si fosse incuneata una torma di cavalieri (la comandavo io), tu, filosofo, non avresti avuto l'occasione di chiacchierare con l'Ammazzatopi. Fu nella battaglia di Idistaviso, nella Valle delle Vergini.

- Se si potesse parlargli, - disse con voce sognante il prigioniero, - sono certo che cambierebbe subito.

- Ritengo, - rispose Pilato, - che farebbe poco piacere al legato della legione, se ti venisse in mente di parlare con qualcuno dei suoi ufficiali o soldati Del resto, questo non succederà, per il bene comune, e il primo che provvederà a questo sarò io.

In quel momento sotto il porticato entrò di slancio una rondine, descrisse un cerchio sotto la volta dorata, si abbassò, sfiorò con l'ala appuntita il volto di una statua di rame dentro una nicchia e scomparve dietro il capitello di una colonna. Forse le era venuta l'idea di farvi il suo nido. Durante quelle evoluzioni, nella testa del procuratore, ridiventata limpida e leggera, era nata una formula: l'egemone ha preso in esame la pratica del filosofo vagabondo Jeshua, soprannominato Hanozri, e non vi ha riscontrato gli estremi del reato. In particolare, non ha trovato il menomo legame tra l'attività di Jeshua e i disordini avvenuti da poco a Jerushalajim.

Il filosofo vagabondo è un malato di mente, per cui il procuratore non conferma la condanna a morte di Hanozri emanata dal piccolo Sinedrio. Ma considerato che i pazzeschi discorsi utopistici di Hanozri possono causare disordini a Jerushalajim, il procuratore esilia Jeshua da Jerushalajim e lo fa confinare a Cesarea, sul Mediterraneo, cioè proprio nel luogo di residenza del procuratore.

Rimaneva da dettare questo al segretario.

Le ali della rondine frullarono sopra la testa dell'egemone, l'uccello si slanciò verso la vasca della fontana e volò via. Il procuratore alzò lo sguardo verso il prigioniero e vide che vicino a lui una colonna di pulviscolo riluceva al sole.

- È tutto? - chiese Pilato al segretario.

- No, purtroppo, - rispose inaspettatamente questi, e porse a Pilato un altro pezzo di pergamena. - Che altro c'è?' - chiese Pilato aggrottando la fronte.

Dopo che ebbe letto, il suo volto mutò ancora di più espressione. Un sangue scuro gli affluì al viso e al collo, o qualcos'altro successe, fatto sta che la sua pelle perdette il colore giallognolo, diventò brunastra, e gli occhi sembrarono sprofondare nelle orbite.

La colpa era probabilmente del sangue che era affluito di nuovo alle tempie e vi pulsava, fatto sta che al procuratore si turbò la vista. Gli sembrò infatti che la testa del prigioniero dileguasse in un punto e che al suo posto ne apparisse un'altra. Su questa testa calva era posata una corona d'oro dalle punte distanziate. Sulla fronte si vedeva una piaga rotonda che corrodeva la pelle ed era unta di unguento. Una bocca infossata, senza denti, dal capriccioso labbro inferiore pendulo. A Pilato sembrò fossero scomparse le rosee colonne del porticato e i tetti lontani di Jerushalajim, e che tutto annegasse nel denso verde dei giardini capresi. Anche al suo udito stava succedendo qualcosa di strano: aveva l'impressione che in lontananza delle trombe suonassero lievi e minacciose, e percepì con grande chiarezza una voce nasale, che strascicava arrogantemente le parole: “Legge di lesa maestà... ”.

Passarono in un lampo pensieri brevi, sconnessi e straordinari. “Sono perduto!...” Poi: “Siamo perduti!...” e un altro ancora, del tutto assurdo tra quelli, su chi sa quale immortalità, un'immortalità che provocava un'angoscia intollerabile.

Pilato fece uno sforzo, scacciò la visione, rivolse nuovamente lo sguardo al balcone, e si ritrovò davanti gli occhi del prigioniero.

- Senti, Hanozri, - disse il procuratore guardando Jeshua con una strana espressione: il suo volto era minaccioso, ma gli occhi inquieti, - hai mai parlato del grande Cesare? Rispondi! Ne hai parlato?.. O... non... ne hai parlato? - Pilato prolungò la parola “ non” alquanto più di quanto si convenga in tribunale, e lanciò un'occhiata a Jeshua come se volesse suggerirgli un pensiero.

- È facile e grato dire la verità, - osservò l'arrestato.

- Non m'interessa, - ribatté con voce strozzata e cattiva Pilato, - se ti è grato o no dire la verità. Ma tu la dovrai dire. Però dicendola, pesa ogni tua parola se non vuoi una morte non solo inevitabile, ma anche tormentosa.
Nessuno sa che cosa succedesse al procuratore della Giudea, ma egli si permise di alzare la mano come per proteggersi da un raggio di sole, e dietro quella mano, come al riparo di uno scudo, di lanciare al prigioniero uno sguardo d'intesa.

-- Dunque, - disse, - rispondi. Conosci un certo Giuda di Kiriat, e che cosa gli hai detto di preciso su Cesare, semmai gliene hai parlato?

- È andata così, - cominciò di buon grado a raccontare il prigioniero, - l'altro ieri, di sera, ho fatto conoscenza vicino al tempio con un giovane che diceva. di chiamarsi Giuda, della città di Kiriat. Mi invitò a casa sua nella città bassa e mi offrì da mangiare...

- È un uomo buono? - chiese Pilato, e un fuoco diabolico guizzò nei suoi occhi.

- Un ottimo uomo, desideroso di sapere, - confermò il prigioniero; - espresse il più vivo interesse per le mie idee, mi accolse con molta cordialità...

- Accese i candelabri... - disse Pilato tra i denti, con lo stesso tono del prigioniero, mentre i suoi occhi scintillavano.

- Proprio così, - continuò Jeshua, un po' stupito di quanto bene informato fosse il procuratore. - Mi chiese che cosa pensassi del potere statale. Questo problema lo interessava moltissimo.

- E che cosa gli dicesti? - s'informò Pilato. - O mi dirai che hai dimenticato ciò che gli dicesti? - ma nel tono di Pilato non c'era più speranza.

- Tra l'altro, ho detto, - raccontò il prigioniero, - che ogni potere è violenza sull'uomo, e che verrà un tempo in cui non vi saranno né potere, né cesari, né qualsiasi altra autorità. L'uomo giungerà ai regno della verità e della giustizia, dove non occorrerà alcun potere.

- Poi?

- Poi non ci fu altro, - disse il prigioniero, -entrarono di corsa degli uomini che mi legarono e mi portarono in prigione.

Il segretario scriveva rapido sulla pergamena, cercando di non lasciarsi sfuggire-neppure una parola.

- Non vi è mai stato al mondo, non vi è e non vi sarà mai, un potere più grande e più splendido per li uomini del potere dell'imperatore Tiberio! - La voce stentata e ammalata di Pilato crebbe. Il procuratore guardava con odio il segretario e la scorta.

- E non spetta a te, pazzo criminale, discuterne! - Poi Pilato esclamò: - La scorta esca dal balcone! - E voltandosi verso il segretario, aggiunse: - Lasciami solo col criminale, si tratta di un affare di Stato!

I legionari alzarono le lance, e sbattendo ritmicamente le calighe chiodate, uscirono nel giardino; dietro la scorta uscì anche il segretario.

Per un certo tempo, il silenzio del balcone fu interrotto soltanto dal canto dell'acqua nella fontana. Pilato vedeva la parte superiore del getto alzarsi piatta sullo zampillo, infrangersi ai bordi e ricadere a rivoli.

Il prigioniero parlò per primo: - Vedo che è successo un guaio per colpa di quello che ho detto a quel giovane di Kiriat. Io, egemone, ho il presentimento che gli succederà una disgrazia, e mi fa molta pena.

- Io credo, - rispose il procuratore con uno strano sogghigno, - che c'è al mondo un'altra persona che ti dovrebbe fare più compassione che Giuda di Kiriat, perché le toccherà una sorte ben peggiore di quella di Giuda!... Dunque, secondo te, Marco l'Ammazzatopi, boia freddo e convinto, la gente che, come vedo, ti ha picchiato per le tue prediche, i briganti Disma e Resta, che coi loro complici hanno assassinato quattro soldati, e infine quello sporco traditore di Giuda, sono tutti buona gente?

- Sì, - rispose il prigioniero. - E verrà il regno della verità? - Sì, egemone, - rispose convinto Jeshua. - Non verrà mai! - gridò a un tratto Pilato con voce così terribile che Jeshua barcollò. Con la stessa voce, molti anni prima, Pilato aveva gridato ai suoi soldati nella Valle delle Vergini: “Ammazzateli! Ammazzateli! Hanno preso l'Ammazzatopi! ” Alzò ancora la voce, rovinata dai comandi, in modo. da essere sentito in giardino: - Criminale! Criminale! Criminale! - Poi, abbassando la voce, chiese: - Jeshua Hanozri, tu credi negli dèi?

- Dio è uno, - rispose Jeshua, - io credo in lui. - Allora prega! Prega fortemente! Del resto... qui Pilato arrochì, - non ti servirà. Hai moglie? chiese malinconicamente il procuratore, senza capire che cosa gli stesse succedendo.
- No, sono solo. - Odiosa città... - borbottò a un tratto il procuratore, e le sue spalle ebbero un brivido come se avesse freddo, si fregò le mani come se le stesse lavando, - se ti avessero ammazzato prima del tuo incontro con Giuda di Kiriat, davvero, sarebbe stato meglio.

- E tu lasciami andare, egemone, - chiese inaspettatamente il prigioniero, e la sua voce divenne inquieta, - vedo che mi vogliono uccidere. II volto di Pilato fu deformato da un crampo; egli voltò verso Jeshua i suoi occhi infiammati, coperti di venuzze rosse, e disse: - Tu credi, disgraziato, che un procuratore romano lasci libero un uomo che ha detto le cose che hai detto tu? Oh, numi! O credi che io sia pronto a prendere il tuo posto? Non condivido le tue idee! E ascoltami: se da questo momento tu pronuncerai anche una sola parola, se ti rivolgi a qualcuno, guardati da me! Ripeto, stai attento!

- Egemone... - Silenzio! - gridò Pilato, e con uno sguardo furioso seguì la rondine che era di nuovo volata nel balcone. - Venite! - esclamò Pilato. Quando il segretario e la scorta furono tornati ai propri posti, Pilato dichiarò che confermava la condanna a morte pronunciata nell'assemblea del piccolo Sinedrio contro il criminale Jeshua Hanozri, e il segretario scrisse quello che aveva detto il procuratore.

Un attimo dopo, Marco l'Ammazzatopi stava davanti a Pilato. Questi gli ordinò di consegnare il condannato al capo del servizio segreto, riferendogli nel contempo l'ordine del procuratore di separare Jeshua Hanozri dagli altri condannati, e di vietare che gli agenti del servizio segreto parlassero con Jeshua di qualsiasi argomento o rispondessero a qualsiasi sua domanda. A un segno di Marco, la scorta circondò Jeshua e lo condusse via dal balcone.