(Da D.F. Strauss, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet, Tübingen, Osiander, I, 1835, sezione seconda: “Storia della vita pubblica di Gesù”, capitolo quarto: “Gesù come messia”, §§ 57-58, pp. 463-465; 477)

 

David Friedrich STRAUSS (1808-1874)

 

Solo a un certo punto Gesù si considerò il “figlio dell'uomo”

 

L'espressione più comune con cui, stando agli evangelisti, Gesù indica la sua propria persona è: ho hyiòs toû anthrópoû [il figlio dell'uomo] [...]. Alcuni sono dell'avviso che Gesù volesse così qualificarsi come l'uomo nel senso più nobile, come l'uomo ideale; ma queste sono solo rappresentazioni moderne, che qui vengono introdotte senza nessun fondamento storico, dato che manca qualsiasi traccia di un tale significato dell'espressione al tempo di Gesù, mentre è riscontrabile piuttosto il significato opposto: di un uomo umile e disprezzato; tanto che molti lo hanno appunto presupposto per la maggior parte dei luoghi in cui Gesù si nomina così. Se si prescinde dal fatto che anche in tal caso si nota la mancanza di un aggettivo dimostrativo di appoggio, questo significato andrebbe bene per molti luoghi, come Mt 8,20, Gv 1,51; al contrario, in luoghi come Mt 17,22, ed altri, dove Gesù indica se stesso come ho hyiòs toû anthrópoû nella previsione della sua morte violenta, viene richiesta assolutamente la contrapposizione di questo misero destino a un'alta dignità; così in Mt 10,23 l'assicurazione data ai discepoli inviati in missione, che il figlio dell'uomo sarebbe venuto prima che essi avessero fatto il giro completo delle città d'Israele, ha senso solo se con tale espressione risulta indicata una persona significativa [...]. Da Mt 26,64, e paralleli, ci si può rendere conto come un'espressione che suona in modo così indeterminato possa indicare proprio il messia. Qui il discorso riguarda il venire del figlio dell'uomo epì tôn nephelôn toû ouranoû [sulle nubi del cielo], e sta innegabilmente in rapporto con Dan 7,13 ss. [...].

Non pare tuttavia una forzatura presupporre che Gesù - che inizialmente era un discepolo del Battista, ma che dopo il suo imprigionamento ne proseguì il cammino come predicatore della metánoia [conversione] e dell'avvicinarsi della basileía tôn ouranôn [regno dei cieli] - inizialmente, in rapporto al regno messianico, si sia attribuito, anche se con modalità più liberali e grandiose, semplicemente la stessa posizione del Battista, e che solo a poco a poco si sia innalzato al pensiero di essere egli stesso il messia. Ammettendo ciò, si possono anche sufficientemente spiegare le proibizioni più sopra prese in considerazione, e in particolare quella che Gesù fa seguire alla confessione di Pietro: Gesù, tutte le volte che il pensiero che egli potesse essere il messia fu suscitato in altri e gli fu posto innanzi dall'esterno, per così dire si spaventò di udire espresso in modo manifesto e determinato ciò che egli in se stesso osava appena supporre, o su cui solo da poco aveva fatto chiarezza, Gli evangelisti pongono talvolta in bocca a Gesù tali proibizioni in luoghi del tutto non appropriati, come ad esempio in Mt 8,4, dove non ha senso, dopo una guarigione fatta fra la calca del popolo, proibire al risanato di diffondere la notizia della cosa; è probabile che, nella tradizione evangelica, che si sentì attratta da quell’incognito in cui Gesù giuocò il suo ruolo, tali casi siano stati moltiplicati senza fondamento storico.

Come hanno lavorato i sinottici nella redazione dei discorsi di Gesù

 

(Da D.F. Strauß, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet, Tübingen, Osiander, I, 1835, seconda sezione, capitolo sesto: “Discorsi di Gesù nei primi tre evangelisti”, § 72, pp. 569.572, 586-587).

I tre primi evangelisti si distinguono fra di loro in questo settore in quanto Matteo preferisce riunire i discorsi in insiemi più grandi, i quali si trovano invece in Luca disgiunti in luoghi ed occasioni differenti, ed in quanto Matteo e Luca hanno inoltre brani di discorso propri all'uno o all'altro, mentre in Marco l'elemento discorsivo regredisce notevolmente [...]. Il primo grande insieme di discorsi in Matteo è il cosiddetto discorso della montagna, capp. 5-7. Infatti questo evangelista, dopo aver narrato il ritorno di Gesù in Galilea dal battesimo e la chiamata delle due coppie di pescatori, ci riferisce che Gesù attraversava tutta la Galilea insegnando e facendo guarigioni e che molto popolo lo seguiva da ogni contrada della Palestina; avendo appunto visto tale folla, Gesù sarebbe salito su un monte e avrebbe tenuto il suddetto discorso (4,23 ss.). Mentre risulta vano cercare un parallelo di questo discorso in Marco, Luca 6,20-49 ce ne fornisce uno che non solo ha lo stesso inizio e la stessa conclusione, ma che con quello manifesta un'affinità evidentissima anche per ciò che concerne il contenuto e lo sviluppo del pensiero situati tra tali estremi [...].

Il concordismo antico ha considerato i due discorsi come distinti. Ciò per non dover ammettere che uno dei due evangelisti ispirati ha torto allorché l'uno fa dire le stesse cose a Gesù sulla montagna e l'altro in pianura, l'uno da seduto e l'altro in piedi, l'uno prima e l'altro dopo, e per non dover supporre che l'uno si è permesso di omettere cose essenziali; secondo tale concordismo Gesù avrebbe trattato più volte settori importanti della sua dottrina e potrebbe pertanto avere anche ripetuto alla lettera certi detti particolarmente efficaci. Se è vero che ciò va senz'altro ammesso per le singole sentenze, lo si deve recisamente negare per esposizioni più lunghe; un maestro dotato di inventiva sa mutare il posto e la connessione anche di quei brevi motti ogni volta che li usa; del tutto privo di risorse mentali sarebbe colui che ripete più volte un esordio e un finale condotti in modo così determinato quali troviamo, per il discorso in questione, nei macarismi e nell'immagine della casa costruita sulla roccia o sulla sabbia.

Ci si dovette così decidere per l'identità dei due discorsi; ed allora si trattò subito di appianare le differenze fra le due redazioni, o di spiegarle in modo da non intaccare l'attendibilità di queste ultime. Per quanto concerne la diversa indicazione del luogo, il Paulus, facendo pressione sull’epí di Luca, ha parlato di uno star sopra la pianura, ossia di uno stare su una collina; meglio il Tholuk, che ha distinto il tópos pedinós [luogo pianeggiante] da una pianura vera e propria, e lo ha portato così sul monte intendendolo come un luogo un po' meno ripido del pendio di questo; ma ecco che un evangelista collega immediatamente il discorso di Gesù con una salita, mentre l'altro con una discesa. Seguendo l'indicazione di Olshausen si dovrà allora dire che, se Gesù ha secondo Luca parlato in pianura o in posto pianeggiante del monte, allora Matteo ha trascurato la discesa seguita alla salita, mentre se, secondo Matteo, Gesù ha parlato sulla sommità del monte, allora Luca ha omesso di riferire che Gesù, dopo che già era sceso, risalì tuttavia un po' verso la cima prima di parlare a motivo della calca. Ma in verità non vi è alcun dubbio che ciascuno dei due non sapeva nulla di ciò che non riferisce.

Dato che nella tradizione questo discorso risultava collegato con la permanenza di Gesù su di un monte, ecco che Matteo pensò bene che proprio il monte costituisse un posto elevato idoneo per un discorso alla folla, mentre Luca ritenne indispensabile una discesa verso la moltitudine; a ciò si collega anche l'altra differenza: sembrò bene che colui che parlava dalla montagna se ne stesse seduto, dato che il monte lo faceva già a sufficienza emergere al di sopra degli ascoltatori collocati sul pendio sottostante; al contrario, se l'oratore si trovava in pianura, doveva starsene naturalmente in piedi. Si dovrà poi ammettere non solo la differenza dei luoghi, ma anche quella cronologica, rinunciando a vani tentativi di armonizzazione [...].

Dal confronto finora condotto già vediamo che, se i granitici discorsi di Gesù non poterono venire disgregati dalla fiumana della tradizione orale, non raramente sono stati strappati dalla loro collocazione naturale, portati via lontano dal loro luogo originario e spostati come ciottoli in posti a cui propriamente non appartenevano. Fra i tre primi evangelisti troviamo inoltre questa differenza: Matteo non è sempre in grado di ricostruire il contesto originario, tuttavia, simile a un collezionista competente, per lo più ha saputo mettere in fila sensatamente pezzi affini; negli altri due, invece, molti piccoli pezzi sono stati lasciati là dove solo il caso li aveva buttati, preferibilmente nelle spaccature di più ampie masse di discorsi; in alcuni casi Luca si è sforzato di conferire loro un'unità artificiale, cosa che non poté sostituire la connessione naturale.