Lo scettico, tormentato Ivàn Karamàzov narra al suo serafico fratello Aljòsha la trama di un poema che vorrebbe scrivere e in cui sirebbero contrapposti, nella Spagna del Cinquecento, Cristo e il Grande Inquisitore, cioè amore e autorità, libertà e dogma. L'immagine moderna di Gesù nasce forse in queste pagine del celebrato scrittore russo dove un amore intensissimo per la figura del Salvatore coesiste coi dubbi e la problematica più lancinante dell'uomo contemporaneo.

 

DOSTOEVSKIJ FÈDOR MICHAJLOVIC (1821-1881)

 

Il Grande Inquisitore

Io metto in scena Lui; Egli, a dir vero, nel poema non dice nulla, ma compare e passa soltanto. Già quindici secoli sono trascorsi dacché Egli promise di tornare nel regno Suo, quindici secoli dacché il Suo profeta scrisse: “ Verrò ben presto ”. “ Quanto poi a quel giorno e all'ora, non li conosce nemmeno il Figlio, ma solo il Padre Mio celeste ”, come disse Egli stesso sulla terra. Ma l'umanità Lo attende con l'antica fede e con l'antica commozione. Oh, con fede anche maggiore, poiché già quindici secoli sono passati da quando cessarono i pegni dati dal cielo all'uomo:

Credi a quel che dice il cuore: pegni i cieli non dan più.

E c'è solo più la fede in quel che dice il cuore! In verità, avvenivano allora anche molti miracoli. C'erano dei santi che compivano guarigioni miracolose; alcuni giusti, secondo le loro biografie, li visitava la Regina dei Cieli in persona. Ma il diavolo non sonnecchiava e l'umanità cominciò a dubitàre della verità di tali prodigi. Per l'appunto allora comparve nel settentrione, in Germania, una nuova terribile eresia. Un'enorme stella, “ simile a una fiaccola ” (cioè alla Chiesa), “ cadde sulle sorgenti delle acque, ed esse divennero amare ”. Questi eretici si misero a negare empiamente i miracoli. Ma tanto più fervidamente credono quelli che sono rimasti fedeli. Le lacrime dell'umanità si innalzano a Lui come prima, Lo si attende, Lo si ama, si spera in Lui, si anela a soffrire e a morire per Lui come prima... Per tanti secoli l'umanità aveva pregato con fede e con ardore: “ Apparisci a noi, Signorè! ”, per tanti secoli. L'avevano invocato, che Egli volle, nella sua infinita misericordia, scendere agli oranti. Già prima Egli era sceso sulla terra e aveva visitato alcuni giusti, martiri e santi anacoreti, così com'è scritto nelle vite loro. Da noi Tjùtcev, che credeva profondamente nella verità delle proprie parole, ha cantato:

Dalla greve croce oppresso, natia terra in umili vesti, tutta quanta il Re Celeste ci percorse e benedisse.

Che fu proprio così, è quello che ora ti dirò. Ecco che Egli volle, almeno per un istante, mostrarsi al popolo: al Suo popolo dolorante e sofferente, immerso nel peccato, ma che Lo ama come un fanciullo. La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più pauroso dell'inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.

Oh, certo, non è così che Egli scenderà, secondo la Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste> improvviso “ come folgore che splende dall'Oriente all'Occidente ”. No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitare i roghi degli eretici. Nell'immensa Sua misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini in quel medesimo aspetto umano col quale era passato per tre anni in mezzo agli uomini quindici seéoli addietro. Egli scende verso le “ vie roventi ” della città meridionale, in cui appunto la vigilia. soltanto, in un “ grandioso autodafé ”, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, qùasi un centinaio di eretici. Egli è comparso in silenzio, inauvertitamente, ma ecco - cosa strana - tutti Lo riconoscono. Spiegare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno dei più bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a loro silenzioso, con un dolce sorriso d'infinita compassione. Il sole dell'amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, del Sapere e della Forza si sprigionano dai Suoi occhi e, inondando gli uomini, ne fanno tremare i cuori in una rispondenza d'amore. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto di Lui, e perfino dalle Sue vesti, emana una forza salutare.

Ecco che un vecchio, cieco dall'infanzia, grida dalla folla:

“ Signore, risanami, e io Ti vedrò ”, ed ecco che cade dai suoi occhi come una scaglia, e il cieco Lo vede. Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e Lo acclamano: “ Osanna! ”. “ E Lui, è Lui ” ripetono tutti “ dev'essere Lui, non può esser che Lui ”. Egli si ferma s'il sacrato della cattedrale di Siviglia nel preciso momento in cui portano nel tempio, fra i pianti, una candida bara infantile aperta: c'è dentro una bambina di sette anni, unica figlia di un insigne cittadino. La bimba morta è tutta coperta di fiori. “ Egli risusciterà la tua bambina ”, gridano dalla folla alla madre piangente. Il prete della cattedrale uscito incontro alla bara guarda perplesso e aggrotta le sopracciglia. Ma ecco risonare a un tratto il grido della madre della bambina morta. Essa si getta ai Suoi piedi: “ Se sei Tu, risuscita la mia creatura! ” esclama, tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si ferma, la bara è deposta sul sacrato ai Suoi piedi. Egli la guarda con pietà e le Sue labbra pronunziano piano ancora una volta: “ Talitha kum ”, “ e la fanciulla si levò ”. La bambina si solleva nell> bara, si siede e guarda intorno sorridendo éon gli occhietti sgranati, pieni di stupore. Ha nelle mani il mazzo di rose bianche col quale era distesa nella bara. Il popolo si agita, grida, singhiozza; ed ecco in quello stesso momento passare accanto alla cattedrale, sulla piazza, il cardinale grande inquisitore in persona. E un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce. Oh, egli non ha più la suntuosa veste cardinalizia di cui faceva pompa ieri davanti al popolo, mentre si bruciavano i nemici della fede di Roma: no, egli non indossa in questo momento che il suo vecchio e rozzo saio monastico.

Lo seguono a una certa distanza i suoi tetri aiutanti, i servi e la “ sacra ” guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva da lontano. Ha visto tutto, ha visto deporre la bara ai piedi di Lui, ha visto la bambina risuscitare, e il suo viso si è abbuiato. Aggrotta le sue folte sopracciglia bianche e il suo sguardo brilla di una luce sinistra. Egli allunga un dito e ordina alle sue guardie di afferrarlo. E tanta è la sua forza e a tal punto il popolo è docile, sottomesso e pavidamente ubbidiente, che la folla subito si apre davanti alle guardie e queste, in mezzo al silenzio di tomba che si è fatto di colpo, mettono le mani su Lui e Lo conducono via. Per un istante tutta la folla, come ùn sol uomo, si curva fino a terra davanti al vecchio inquisitore; questi benedice il popolo in silenzio e passa oltre. Le guardie conducono il Prigioniero sotto le volte di un angusto e cupo carcere nel vecchio edificio del Santo Uffiz:io e ve lo rinchiudono. Passa il giorno, sopravviene la scura, calda, “ afosa ” notte di Siviglia. L'aria “ odora di lauri e di limoni ”. In mezzo alla tenebra profonda si apre a un tratto la ferrea porta del carcere, e il grande inquisitore in persona con una fiaccola in mano lentamente si avvicina alla prigione. E solo, la porta si richiude subito alle sue spalle. Egli si ferma sulla soglia e considera a lungo, per uno o due minuti, il volto di Lui. Infine si accosta in silenzio, posa la fiaccola sulla tavola e Gli dice: - “ Sei Tu, sei Tu? ”. - Ma, non ricevendo risposta, aggiunge rapidamente: - “ Non rispondere, taci. E che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto, non hai il diritto di aggiunger nulla a quello che Tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei infatti venuto a disturbarci, lo sai anche Tu.

Ma sai che cosa succederà domani? Io non so chi Tu sia, e non voglio sapere se Tu sia Lui ò soltanto una Sua apparenza, ma domani stesso io Ti condannerò e Ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici, e quello stesso popolo che oggi baciava i Tuoi piedi si slancerà domani, a un mio cenno, ad attizzare il Tuo rogo, lo sai? Sì, forse Tu lo sai ”, - aggiunse, profondamente pensoso, senza mai staccare, neppure per un attimo soltanto, lo sguardo dal suo Prigioniero. Io non comprendo bene, Ivàn, che voglia dir questo, -sorrise Abòsva, che aveva sempre ascoltato in silenzio; - è semplicemente una fantasia delirante, o un errore del vecchio, un assurdo qui pro quo? Ammetti pure quest'ultima ipotesi, - scoppiò a ridere Ivàn, - se il realismo contemporaneo ti ha già tanto guastato che tu non possa tollerare nulla di fantastico; vuoi che sia un qui pro quo? E sia pure! E vero, - e tornò a ridere, - il vecchio ha novant'anni e da un pezzo la sua idea poteva averlo fatto impazzire. Egli poteva essere stato colpito dall'aspetto esteriore del Prigioniero. Poteva infine essere un semplice delirio, la visione di un vecchio novantenne sulla soglia della morte, sovreccitato per giunta dall'autodafé dei cento eretici bruciati la vigilia. Ma qui pro quo o fantasia troppo sfrenata, non è lo stesso per noi? L'importante qui è solo che il vecchio deve infine manifestare il proprio pensiero e lo manifesta e dice ad alta voce ciò che per novant'anni ha taciuto. - E il prigioniero rimane zitto? Lo guarda e non dice nemmeno una parola?

- Ma è così che deve essere, in ogni caso, - rise nuovamente Ivàn. - Il vecchio stesso Gli osserva che Egli non ha il diritto di aggiunger nulla a quanto già fu detto. C'è appunto qui, se vuoi, il tratto più fondamentale del cattolicesimo romano, come a dire:

“ Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo ”. In questo senso non solo parlano, ma anche scrivono i cattolici, i gesuiti almeno. L'ho letto io stesso nelle opere dei loro teologi. “ Hai Tu il diritto di rivelarci anche un solo segreto del mondo da cui sei venuto? ”. - Gli domanda il mio vecchio e risponde egli stesso per Lui:

- “ No, Tu non l'hai, se non vuoi aggiungere qualcosa a quello che già fu detto e togliere agli uomini quella libertà che tanto difendesti quando eri sulla terra. Tutto ciò che di nuovo Tu ci rivelassi attenterebbe alla libertà della fede umana, giacché apparirebbe come un miracolo, mentre la libertà della fede già allora, millecinquecent'anni or sono, Ti era più cara di tuttQ. Non dicevi Tu allora spesso: “ Voglio rendervi liberi? ”. Ebbene, adesso Tu li hai veduti, questi uomini “ liberi ”, - aggiunge il vecchio con un pensoso sorriso.

- Si, questa faccenda ci è costata cara, - continua, g~ardandolo severo, - ma noi l'abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l'opera è compiuta e saldamente compiuta. Non credi che sia saldamente compiuta? Tu mi guardi con dolcezza e non mi degni neppure della Tua indignazione? Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono più che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l'hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo, ma è questo che Tu desideravi, è una simile libertà? ”

- Io torno a non comprendere, - interruppe Aljòsva, - egli fa dell'ironia, scherza?

- Niente affatto. Egli fa un merito a sé ed ai suoi precisamente di avere infine soppresso la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini. “ Ora infatti per la prima volta (egli parla, naturalmente, dell'inquisizione) è diventato possibile pensare alla felicità umana. L'uomo fu creato ribelle; possono forse dei ribelli essere felici? Tu eri stato avvertito, - Gli dice, -avvertimenti e consigli non Ti erano mancati, ma Tu non ascoltasti gli avvertimenti. Tu ricusasti l'unica via per la quale si potevano render felici gli uomini, ma per fortuna, andandotene, rimettesti la cosa nelle nostre mani. Tu ci hai promesso, Tu ci hai con la Tua parola confermato, Tu ci hai dato il diritto di legare e di slegare, e certo non puoi ora nemmeno pensare a ritoglierci questo diritto. Perché dunque sei venuto a disturbarci? ”.

- Ma che cosa significa: “ Non Ti sono mancati avvertimenti e consigli ”? - domandò Aljòsha.

- Ma qui appunto sta l'essenza di ciò che il vecchio deve esprimere. “ Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell'autodistruzione e del non essere, - continua il vecchio, - il grande spirito Ti parlò nel deserto, e nei libri ci è riferito come egli Ti avesse “ tentato ”. Non è così? Ma si poteva mai dire qualcosa di più vero di quanto egli Ti rivelò nelle tre domande che Tu respingesti e che nei libri sono dette “ tentazioni ”? Tuttavia, se mai ci fu sulla terra un vero e clamoroso miracolo, fu in quel giorno, nel giorno di quelle tre tentazioni. Precisamente nella formulazione di quelle tre domande era racchiuso il miracolo. Se si potesse, soltanto a mo' di esempio e di ipotesi, immaginare che quelle tre domande dello spirito terribile fossero scomparse dai libri senza lasciar traccia e che occorresse ricostruirle, pensarle e formularle di nuovo, per rimetterle nei libri, e se per questo si riunissero tutti i sapienti della terra - governanti, prelati, dotti, filosofi, poeti, - e si assegnasse loro questo compito:

immaginate, formulate tre domande tali da corrispondere all'importanza dell'eveni;o non solo, ma da esprimere per giunta in tre parole, in tre proposizioni umane, tutta la futura storia del mondo e dell'umanità, - ebbene, credi Tu che tutta la sapienza della terra, insieme raccolta, potrebbe concepire qualcosa di simile per forza e profondità a quelle tre domande che Ti furono allora rivolte nel deserto dallo spirito intelligente e possente? Già solo da quelle domande e dal prodigio della loro formulazione si può capire che si ha da fare non con lo spirito umano transitorio, ma coù quello eterno ed assoliìto. In quelle tre domande infatti è come compendiata e predetta tutta la storia ulteflore dell'umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteraùno tutte le insolubili contraddizioni storiche dell'umana natura su tutta la terra...

Decidi Tu stesso chi avesse ragione, se Tu o colui che allora T'interrogava. Ricordati la prima domanda; se non la lettera, il senso era questo: “ Tu vuoi andare e vai al mondo con le mani vuote, con non so quale promessa di una libertà che gli uomini, nella semplicità e nella innata intemperanza loro, non possono neppur concepire, che essi temono e fuggono, giacché nulla mai è stato per l'uomo e per la società umana più intollerabile della libertà! Vedi Tu invece queste pietre in questo nudo e infocato deserto? Mutale in pani e l'umanità sorgerà dietro a Te come un riconoscente e docile gregge, con l'eterna paura di vederti ritirare la Tua mano e di rimanere senza i Tuoi pani ”. Ma Tu non volesti privar l'uomo della libertà e respingesti l'invito, perché, così ragionasti, che libertà può mai esserci, se l'ubbidienza è comprata con i pani? Tu obiettasti che l'uomo non vive di solo pane, ma sai Tu che nel nome di questo stesso pane terreno insorgerà contro di Te lo spirito della terra e lotterà con Te e Ti vincerà, e tutti lo seguiranno, esclamando:

“ Chi è comparabile a questa bestia? essa ci ha dato il fuoco del cielo! ”. Sai Tu che passeranno i secoli e l'umanità proclamerà per bocca della sua sapienza e della sua scienza che non esiste il delitto, e quindi nemmeno il peccato, ma che ci sono soltanto degli affamati? “ Nutrili e poi chiedi loro la virtù! ” ecco quello che scriveranno sulla bandiera che si leverà contro di Te e che abbatterà il Tuo tempio... Ma dispone della libertà degli uomini solo chi ne acqueta la coCol pane Ti si dava una bandiera indiscutibile:  l'uomo si inchina a chi gli dà il pane, giacché nulla èpiù indiscutibile del pane; ma, se qualcun altro accanto a Te si impadronirà nello stesso tempo della sua coscienza, oh, allora egli butterà via anche il Tuo pane e seguirà colui che avrà lusingato la sua coscienza. In questo Tu avevi ragione. Il segreto dell'esistenza umana infatti non sta soltanto nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui deve vivere, l'uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla terra, anche se intorno a lui non ci fossero che pani. Questo è giusto, ma che cosa è avvenuto? Invece di impadronirti della libertà degli uomini, Tu l'hai ancora accresciuta! .. e hai per sempre gravato col peso dei suoi tormenti la vita morale dell'uomo.

Tu volesti il libero amore dell'uomo, perché Ti seguisse liberamente, attratto e conquistato da Te. In luogo di seguire la salda legge antica, l'uomo doveva per l'avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene e che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine; ma non avevi Tu pensato che, se lo si fossé oppresso con un così terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la Tua immagine e la Tua verità? Essi esclameranno, alla fine, che la verità non è in Te, perché era impossibile abbandonarli fra ansie ed angosce maggiori di come Tu facesti, lasciando loro tante inquietudini e tanti insolubili problemi. In tal modo preparasti Tu stesso la rovina del Tuo regno, e non darne più la colpa a nessuno. Ma è questo intanto che Ti si offriva? Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l'autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza, e desti così l'esempio. Lo spirito sapiente e terribile Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: “ Se vuoi sapere se Tu sei figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo ”; ma Tu, udito ciò, respingesti l'offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giù. Oh, certo, Tu agisti allora con una magnifica fierezza, come Iddio, ma gli uomini, questa debole razza di ribelli, soIlo essi forse dèi? Oh, Tu comprendesti allora che, facendo un solo passo, un solo movimento per gettarti giù, avresti senz'altro tentato il Signore e perduto ogni fede in Lui, e Ti saresti sfracellato sulla terra che eri venuto a salvare, e si sarebbe rallegrato lo spirito sagace che Ti aveva tentato.

Ma, ripeto, ce ne sono forse molti come Te? E in verità potevi Tu ammettere, non fosse che per un momento, che anche gli uomini avessero la forza di resistere a una simile tentazione? E forse fatta la natura umana per respingere il miracolo e, in così terribili momenti della vita, di fronte ai più terribili, fondamentali e angosciosi problemi dell'anima, rimettersi unicamente alla libera decisione del cuore? Oh, Tu sapevi che la Tua azione si sarebbe tramandata nei libri, avrebbe raggiunto la profondità dei tempi e gli ultimi confini della terra, e sperasti che, seguendo Te, anche l'uomo si sarebbe accontentato di Dio, senza bisogno di miracoli. Ma Tu non sapevi che, non appena l'uomo avesse ripudiato il miracolo, avrebbe subito ripudiato anche Dio, perché l'uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l'uomo non ha la forza di rinunziare ai miracolo, così si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, foss'egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo. Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “ Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu ”. Tu non scendesti, perché una volta di più non volesti asservire l'uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l'ha per sempre riempito. di terrore. Ma anche qui Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché, per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi. Vedi e giudica, son passati quindici secoli, guardali: chi l'ai Tu innalzato fino a Te? Ti giuro, l'uomo è stato creato più debole e più vile che Tu non credessi!... Inquietudine dunque, tumulto e infelicità: ecco l'odierna sorte degli uomini, dopo che Tu tanto patisti per la loro libertà! Il Tuo grande profeta dice nella sua visione e nella sua parabola di aver visto tutti i partecipi della prima resurrezione e che ce n erano dodicimila per ciascuna tribù. Ma se erano tanti, vuoi dire che quelli erano più dèi che uomini.

Essi sopportarono la Tua croce, essi sopportarono diecine d'anni di vita famelica nel nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici; e certo Tu puoi appellarti con orgoglio a questi eroi della libertà, dell'amore libero, del libero e magnificò sacrifiao da essi compiuto in nome Tuo. Ma ricordati che erano in tutto appena alcune migliaia, ed erano per giunta degli dèi, ma i rimanenti? E che colpa hanno gli altri, gli uomini deboli, di non aver potuto sopportare ciò che i forti poterono? Che colpa ha l'anima debole, se non ha la forza di accogliere così terribili doni? Possibile che Tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è così, c e qui un mistero e noi non possiamo comprenderlo. E se c'è un mistero, anche noi avevamo il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non è la libera decisione dei loro cuori quello che importa, né l'amore, ma un mistero, a cui essi debbono ciecamente inchinarsi, anche contro la loro coscienza. E così abbiam fatto. Abbiamo corretto l'opera Tua e l'abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull'autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono così terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d'insegnare e di agire così? Parla! Forse che non amavamo l'umanità, riconoscendone così umilmente l'impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma però col nostro consenso? Perché mi guardi in silenzio coi Tuoi miti occhi penetranti? Va' in collera, io non voglio il Tuo amore, perché io stesso non Ti amo. E che cosa dovrei nasconderti?

Non so forse con chi parlo? Tutto ciò che ho da dirti, già Ti è noto, lo leggo nei Tuoi occhi. E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui, ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo più con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell'ultimo dono ch'egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l'opera nostra. Ma di chi la colpa? Oh, quest'opera èfinora sQltanto agli inizi, ma è cominciata! Ancora a lungo si dovrà attenderne il compimento e molto ancora soffrirà la terra, ma noi raggiungeremo la mèta, saremo Cesari, e allora penseremo all'universale felicità degli uomini... Sappi che io non Ti temo. Sappi che anch'io fui nel deserto, che anch'io mi nutrivo di cavallette e di radici, che anch 'io benedicevo la libertà di cui Tu letificasti gli uomini, che anch'io mi ero preparato ad entrare nel numero dei Tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, con la brama di “ completare il numero ”. Ma mi ricredetti e non volli servire la causa della fo]lia. Tornai indietro e mi unii alla schiera di quelli che hanno corretto l'opera Tua. Lasciai gli orgogliosi e tornai agli umili per la felicità di questi umili. Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carbòni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno più di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu. Domani Ti arderò. Dixi ”.

Ivàn si fermò. Egli si era accalorato e aveva parlato con fervore; quando poi ebbe finito, fece improvvisamente un sorriso.

Aljòs'a, che l'aveva sempre ascoltato in silenzio e verso la ~ne, in preda a straordinaria agitazione, molte volte aveva voluto interrompere il discorso del fratello, ma si era visibilmente trattenuto, si mise d'un tratto a parlare, come scattando:

- Ma... è un assurdo! esclamò, arrossendo. - Il tuo poema è l'elogio di Gesù e non la condanna... come tu volevi. E chi ti crederà là dove parli della libertà? E così, è forse così che va intesa? E quello il concetto che ne ha l'ortodossia? Quella è Roma, e neppure tutta Roma, sbaglio, sono i peggiori fra i cattolici, sono gli inquisitori, i gesuiti!... E un personaggio fantastico come il tuo inquisitore non può esistere affatto. Che cosa sono quei peccati degli uomini che egli ha presi su di sé? Chi sono quei detentori del mistero, che si sono addossata non so quale maledizione per la felicità degli uomini? Quando mai si son visti? Noi conosciamo i gesuiti, se ne parla male, ma sono forse come i tuoi? Non sono affatto così, sono tutt'altra cosa... Sono semplicemente l'armata romana per il futuro regno universale terreno, con l'imperatore, il pontefice romano, alla testa... ecco il loro ideale, ma senza nessun mistero e nessuna sublime tristezza... La più semplice brama di potere, di sordidi beni terreni, di asservimento... una specie di futura servitù della gleba, nella quale essi sarebbero i proprietari fondiari... ecco tutto quello che essi vogliono. Forse non credono nemmeno in Dio. Il tuo inquisitore con le sue sofferenze non è che una fantasia...

- Fermati, fermati! - rise Ivàn, - come ti sei scaldato! Fantasia, tu dici, sia pure! Fantasia, certo. Permetti però: credi tu davvero che tutto questo movimento cattolico degli ultimi secoli non sia in realtà che una brama di potere in vista soltanto di beni volgari? E forse padre Paisio che t'insegna così?

- No, no, al contrario, padre Paisio diceva una volta perfino qualcosa del tuo genere... ma era una ccsa diversa, certo, tutta diversa, - si riprese Aljòs'a.

- Informazione preziosa, però, nonostante il tuo “ tutta diversa ”. Io ti domando: perché i tuoi gesuiti e inquisitori si sarebbero collegati solo in vista di beni materiali e volgari? Perché non può incontrarsi fra di loro neanche un solo martire, tormentato da una nobile sofferenza e amante dell'umanità? Vedi: supponi che fra tutti questi uomini non desiderosi che di sordidi beni matenali se ne sia trovato anche uno solo come il mio vecchio inquisitore, che abbia mangiato anche lui radici nel deserto e si sia accanito a domare la propria carne per rendersi libero e perfetto, ma che però abbia in tutta la sua vita amato l'umanità: a un tratto ha aperto gli occhi e ha veduto che non è una gran felicità morale raggiungere la perfezione del volere, per doversi in pari tempo convincere che milioni di altre creature di Dio sono rimaste imperfette, che esse non saranno mai in grado di servirsi della loro libertà, che dai miseri ribelli non usciranno mai dei giganti per condurre a compimento la torre, che non per simili paperotti il grande idealista ha sognato la sua armonia... Dopo aver compreso tutto ciò, egli ètornato indietro e si è unito... alle persone intelligenti. Non poteva questo accadere?

- A chi si è unito, a quali persone intelligenti? -esclamò Aljòsva quasi adirato. - Essi non hanno né tanta intelligenza, né misteri o segreti di sorta... Forse soltanto l'ateismo, ecco tutto il loro segreto. Il tuo inquisitore non crede in Dio, ecco tutto il suo segreto!

- E anche se fosse così? Infine tu hai indovinato. E proprio così, è ben qui soltanto che sta tutto il segreto, ma non è forse una sofferenza, almeno per un uomo come lui, che ha sacrificato tutta la sua vita nel deserto per una grande impresa e non ha perduto l'amore per l'umanità? Al tramonto dei suoi giorni egli acquista la chiara convinzione che unicamente i consigli del grande e terribile spirito potrebbero instaurare un qualche ordine fra i deboli ribelli, “ esseri imperfetti e incompiuti, creati per derisione ”. Ed ecco che, di ciò convinto, vede come occorra seguire le indicazioni dello spirito intelligente, del terribile spirito della morte e della distruzione, e, all'uopo, accettare la menzogna e l'inganno, guidare ormai consapevolmente gli uomini alla morte e alla distruzione, e intanto ingannarli per tutto il cammino, affinché non possano vedere dove sono condotti, affinché questi miseri ciechi almeno lungo il cammino si stimino felici. E nota: l'inganno è compiuto in nome di Quello nel cui ideale il vecchio ha per tutta la sua vita così appassionatamente creduto! Non è questa un'infelicità? E anche se un solo uomo simile si fosse trovato alla testa di tutta quell'armata “ avida di potere in vista di soli beni volgari ”, non sarebbe sufficiente quest'unico perché si avesse la tragedia? Più ancora: basterebbe che ci fosse alla testa un solo uomo così perché si scoprisse, finalmente, la vera idea direttiva di tutta l'opera di Roma, con tutte le sue armate e i suoi gesuiti, l'idea suprema dell'opera stessa.

Te lo dico schietto, io credo fermamente che quest'unico non sia mai mancato fra quelli che erano alla testa del movimento. Chissà, ce ne sono stati anche fra i pontefici romani! Chissà, questo vecchio maledetto, che così ostinatamente e così a modo suo ama l'umanità, esiste forse anche oggidi sotto l'aspetto di tutta una schiera di vecchi consimili, e non già casualmente, ma perché esiste come un accordo, come una segreta alleanza, già da gran tempo stabilita per custodire il mistero, per salvaguardarlo dagli uomini sventurati ed imbelli, allo scopo di rendere costoro felici. Così è senza dubbio, e così dev'essere. Io immagino che perfino i massoni abbiano, fra i loro principi, qualcosa di analogo a questo mistero e che i cattolici odino tanto i massoni perché vedono in essi dei concorrenti, che spezzano l'unità dell'idea, mentre unico deve essere il gregge e unico il pastore... Del resto, difendendo il mio pensiero, io ho l'aria di un autore che non sopporta la tua critica. Ma basta di ciò!

Sei forse massone anche tu! - sfuggi ad Aljòs'a.

Tu non credi in Dio, - soggiunse, ma ormai con profonda amarezza. Gli parve inoltre che il fratello lo guardasse con fare canzonatorio. - E come termina il tuo poema? - domandò a un tratto, con lo sguardo a terra, - o è già terminato?

- Io volevo finirlo così: l'inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l'ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt'a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: Vattene e non venir più... non venire mai più... mai più! ”. E Lo lascia andare per “ le vie oscure della città ”. Il Prigioniero si allontana.

- E il vecchio?

- Il bacio gli arde nel cuore, ma il vecchio persiste nella sua idea.

FLAIANO ENNIO da 'Opere. Scritti Postumi' Bompiani 1988. Benché agnostico, ha un'intuizione di marca genuinamente evangelica. E proprio in riferimento alla 'disgrazia' di sua figlia disabile. Riassumo la situazione, perché non ho trovato il testo originale e cito a mente. (A.Cattaneo)

Un padre cammina per un viottolo tirandosi dietro la figlia sgangherata (elemento autobiografico). D'un tratto incontrano Gesù e il padre si rivolge a Lui così: "Non ti chiedo che la guarisca. Ti chiedo che la ami".