Se la Pasqua della sofferenza cade di venerdì

Dal “Corriere” 13 aprile 2001

 

LERNER GAD (giornalista, vivente) Il crocifisso

 

Vivendo felicemente fra i cristiani, fin da bambino mi sono dovuto confrontare ogni giorno con l’immagine del Gesù crocifisso cui si rivolgevano le preghiere dei compagni di scuola.

Gli arti deformati dal supplizio, il sangue intorno ai chiodi, la nudità piagata, la corona di spine provocavano in me un turbamento e uno sconcerto che si potrebbe tradurre in una domanda: come è possibile che la più diffusa religione del pianeta, la fede cristiana dell'amore e della misericordia, assuma come simbolo un tale orribile strumento di tortura? Oggi so che un'obiezione simile veniva avanzata dai pagani per irridere alle prime comunità cristiane (cruces iam non sunt adorandae sed subendae). A sua volta il Corano rifiuta l'idea stessa della crocifissione di Gesù, affermando che un uomo reso simile a lui l'avrebbe sostituito sul Calvario, perché il Signore non poteva consentirne il martirio. Ma nel giorno in cui i cristiani piangono la morte di Dio è forse lecito riproporsi senza irrisione la domanda su quel simbolo inquietante, adorato da un terzo della popolazione mondiale. Se non altro perché la croce ha assunto centralità nel culto solo tre secoli dopo la morte di Gesù e assai più tardiva e controversa sarebbe stata la raffigurazione del crocefisso: dapprima con gli occhi aperti, divino e vincente sulla sofferenza (come permane nell'ortodossia); solo poi umiliato e derelitto, con gli occhi chiusi dell'uomo che muore.

Mi si conceda allora la reminiscenza infantile di certi venerdì santi in cui la televisione cominciava ad amplificare l'enigma di un lutto esibito talora perfino in forme macabre: processioni di incappucciati, penitenti volontari con le schiene e le gambe insanguinate, rappresentazioni iper realistiche dell'agonia di Gesù. Come negare, pur con il dovuto rispetto per la fede, l'effetto vagamente minaccioso che tali manifestazioni potevano esercitare? Forse perché al già terribile dramma della pubblica esecuzione commemorata si sommava implicita l'accusa di deicidio, non ancora contraddetta dal Concilio Vaticano II.

Un mio coetaneo ebreo Stefano Caviglia ha raccontato di recente su “Sette” che per tutta la durata delle preghiere mattutine la maestra gli imponeva di stare con le braccia allargate, a simulare il gesto della crocifissione. Acqua passata, per fortuna.

Ma tuttora chi osserva dall'esterno il ciclo della Pasqua cristiana ha la sensazione che il venerdì della morte dì Dio prevalga nella devozione popolare sulla domenica della sua resurrezione. L'esaltazione del dolore pare sommergere l'idea stessa della redenzione che pure dovrebbe scaturirne. La crocifissione viene celebrata così come esperienza umana. Non a caso gli artisti solo di rado si sono cimentati col Gesù redivivo accanto al sepolcro vuoto, o col Gesù dell’Ascensione.

Prevale nell'iconografia un Gesù sempre più uomo agonizzante sulla croce. Allo stesso modo i fedeli, con lo scorrere dei secoli, si ispirano a un Gesù sempre più uomo.

- E allora di fronte a quello che rischia di configurarsi nella devozione popolare come l'ultimo sacrificio umano, viene da chiedersi se così concepita la passione di Gesù non contraddica la Genesi. Forse che il Signore non aveva fermato la mano di Abramo, pronto a sacrificargli l'unico figlio Isacco? Non aveva imposto il superamento dei sacrifici umani? D'accordo, furono gli uomini, e non certo Dio, a condannare Gesù. Ma poteva Egli desiderare che un uomo, il Cristo debole e sofferente dell’iconografia cattolica del secondo millennio, si immolasse sulla croce? Una Pasqua incentrata sul venerdì santo è una Pasqua che celebra piuttosto il dolore umano che non l'onnipotenza divina. Forse di qui trae origine il turbamento suscitato non dalla dottrina cristiana, ma dalle forme devozionali che storicamente ha assunto.

- Come è noto la croce sarebbe divenuta emblema fondamentale della fede cristiana e dell'impero romano nel 340, per opera di Costantino. E' allora che s'impone come simbolo universale di una religione destinata a diffondersi nei cinque continenti e a proporsi come civiltà mondiale.

Il sacro legno diviene cioè al tempo stesso oggetto di adorazione e vessillo alternativo. Un simbolo d'amore supremo impiegato però anche in battaglia contro altri popoli, altre fedi altre civiltà. Non è fuori luogo ricordare l'ambivalenza della croce proprio nel giorno in cui si celebra il suo significato originario. Tale ambivalenza, infatti, racchiude in sé il dolore del mondo, il bene e il male supremi. Per questo nel venerdì santo hanno potuto convivere preghiera appassionata e minacciosa inquietudine.