Nella sua Vita di Gesù il grande scrittore francese (premio Nobel 1952) unisce in modo memorabile una perfetta ortodossia a una inquietudine tutta moderna, alla sottigliezza e profondità del romanziere abituato a scandagliare le coscienze.

 

MAURIAC FRANÇOIS (1885-1970)

 

La samaritana

Il momento della storia in cui siamo ci aiuta a penetrare questa misteriosa domanda che Gesù pose a se stesso e lasciò senza risposta: “Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà ancora della Fede sulla terra? ” Noi vediamo oggidì ciò che indubbiamente egli troverà: una preparazione alla fede, nel quasi-nulla di ogni credenza positiva, una straordinaria disponibilità dell'anima umana. Queste moltitudini spossate e senza pastore, il cui gregge invade i viali delle grandi capitali e che scalpicciano dietro delle orifiamme, dilapidano, al servizio di dottrine che appartengono al tempo, un tesoro di disinteresse e d'amore abbastanza grande per acquistare la vita eterna, il giorno in cui Colui che è la vita, apparirà e dirà: “Sono io, non temiate ”.

Ciò che, più di qualsiasi altra ragione, mi ha persuaso a osar di scrivere questa vita, è appunto il bisogno di ritrovare, di toccare in qualche modo l'Uomo vivente e sofferente, il cui posto rimane vuoto in mezzo al popolo; il Verbo incarnato, ossia un essere di carne, d'una carne simile alla nostra. Alcuni dei miei contraddittori (tra gli altri Edouard Dujardin) si meravigliano che io non provi come loro la tentazione di risparmiare a Gesù gli avvilimenti della vita carnale, per non accordargli che una vita puramente spirituale. Perché un Couchoud, un Dujardin, non sono già dei bestemmiatori né, per essere esatti, degli atei: essi non negano l'esistenza storica del Salvatore se non per assicurargli una vita indipendente da tutto ciò che limita, impiccolisce e umilia in lui il Dio.

Non solo una tale tentazione non mi ha mai sfiorato, ma su questo punto io sempre ho ceduto a un'esigenza del mio spirito che non si muove a proprio agio se non nel concreto. Devo confessarlo? Non avessi conosciuto il Cristo, “ Dio” sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso. Salvo il caso d'una grazia particolarissima, l'Essere infinito mi sarebbe stato inimmaginabile, impensabile. Il Dio dei filosofi e degli eruditi non avrebbe occupato nessun posto nella mia vita morale.

È bisognato che Dio s'immergesse nell'umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compiesse certi atti, perché io mi getti in ginocchio. Se il Cristo non avesse detto: “Padre nostro...” io non avrei mai avuto da me stesso il senso di questa filiazione; questa invocazione non sarebbe mai salita dal mio cuore alle mie labbra. Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che vedo, che a ciò che s'incorpora nella mia sostanza; ed è perciò che ho fede nel Cristo.

Tutti gli sforzi per diminuire in lui la condizione umana, si scontrano con la mia profonda tendenza; e certamente ad essa bisogna riferire la mia ostinazione a preferire al volto del Cristo-Re, del Messia trionfante, l'umile figura torturata che nella locanda d'Emmaus i pellegrini di Rembrandt riconobbero alla frattura del pane: il fratello nostro coperto di ferite, il nostro Dio.

Infine confesso di non essere mai entrato nella condizione di spirito - che io rispetto - degli uomini che si dichiarano appartenenti al Cattolicismo, pur rifiutandosi di credere al Cristo reale. Se io non credessi alla parola d'un certo uomo nato sotto Augusto e crocifisso sotto Tiberio, se tutta la Chiesa riposasse sopra un sogno o sopra una menzogna (medesima cosa ai miei occhi), i suoi dogmi, la sua gerarchia, la sua disciplina e liturgia si spoglierebbero per me d'ogni valore e anche d'ogni beltà: la sua beltà è lo splendore del vero. Se Gesù non fosse il Cristo, io non sentirei nelle cattedrali che un vuoto immenso. In caso di guerra i vetri istoriati di Chartres, la cui sorte rende con ragione inquiete le persone di gusto, mi interesserebbero meno del più umile soldato di seconda classe.

Un artista incredulo considera la nobile e illustre facciata che la Chiesa innalza dinanzi al mondo; egli ammira la nave di Pietro immutabile al disopra dei secoli. Ma ne dimentica le fondamenta: tante vite sacrificate, tanti olocausti. Da diciannove secoli, di generazione in generazione, la miglior parte dell'umanità si mette, di sua piena volontà, in croce, e vi rimane senza che nessuna beffa possa farnela discendere. Nessuna considerazione d'ordine morale, estetico o sociale, mi farebbe accettare questa crocifissione di tante creature, se Gesù di Nazaret non fosse il Cristo, il Figlio di Dio - s'egli non fosse esistito.

I conventi, i presbiterii (per non parlare che dei chierici e dei conventuali) non sono unicamente popolati d'anime liete, ricolme di consolazioni. E senza dubbio esse vi abbondano. Ma anche quelle godono d'una pace che non è la pace che il mondo dispensa. La loro gioia è il frutto d'una continua vittoria sulla natura - d'una penosissima vittoria.

E poi, ci sono gli altri, i fedeli che rimangono a mezza costa, che lottano, soccorrono, si rialzano, ricadono, si trascinano di nuovo su per l'erta rossa del sangue di quelli che li hanno preceduti. Tutti, peccatori e santi, hanno creduto a una parola, hanno confidato in una stessa affermazione: “ Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno ”. Gli uni e gli altri, i santi e i peccatori, nei loro momenti di dubbio e d'angoscia hanno gridato:

“Verso chi andremo, Signore? Tu possiedi le parole della vita eterna ”. Si guarderebbero bene dal fare ciò che hanno fatto i morti! Che importa a loro. la cenere di quelli che non hanno amato! No!, si tratta, per essi, di accettare una eredità nazionale, né di simulare la fede in leggende che gioverebbero alla conservazione di certe utili virtù.

Se, tanto per dire, fosse loro rivelato che il Figlio dell'Uomo non è il Figlio di Dio, essi non lo seguirebbero più, non abbraccerebbero più la sua croce, - fosse pure per la salvezza d'una certa civiltà, d'una certa cultura. Camminano dietro a lui perché egli ha detto: “lo sono il Cristo...” ed essi l'hanno creduto sulla parola.

E non mi si obietti che la speranza senza fondamento non manca d'essere la speranza; che i cristiani, se l'eternità non ci fosse, non lo saprebbero mai, e che infine il nulla non può turbare nessuno. Simile ragionamento vale per quelli che non hanno abbandonato il mondo se non quando, da lunga pezza, il mondo li aveva abbandonati; per quelli che offrono a Dio delle reliquie di cui nessuno vuol più sapere. Sì, quei là, nella scommessa a cui Pascal li invita, vincono di certo.

Ma per gli altri? Essi hanno del pari rinunciato a una realtà: la miserabile felicità umana esiste. L'amore non ci appare precario e derisorio, se non perché non è che una caricatura dell'unione divina. Se questa unione fosse una semplice lusinga, se le promesse eterne non avessero mai echeggiato nel mondo, questo triste amore sarebbe stato la perla d'inestimabile valore; al disopra della quale non vi sarebbe stato nulla, e a tutto si sarebbe dovuto rinunziare per acquistarla. Ma il Verbo si è fatto carne. La croce non è adorabile se non perché Egli vi è stato inchiodato. La croce senza il Verbo non sarebbe nulla più che una forca.

Ed è perciò che un credente, per quanto debole e sprovveduto si senta, ha il dovere di rispondere all'eterna domanda: “E voi, che dite voi di quest'uomo? ”Questo libro, così indegno del suo oggetto, non è che una risposta, tra mille altre: la testimonianza d'un Cristiano che sa che ciò che crede è vero.

Questo grand'albero cattolico non ci sembra così bello se non perché è realmente vivo, e malgrado tanti rami secchi gorgoglia di succhi, e il sangue di Cristo seguita a circolarvi, dalle radici ai minimi ramoscelli, e fino all'ultima foglia. Il Cattolicismo senza il Cristo sarebbe un guscio vuoto, curiosamente lavorato. Per .contro, che un maremoto distrugga i templi e i chiostri, i palazzi e le opere: nulla in realtà sarà distrutto, poiché resterà l'Agnello di Dio del quale io ho tentato di dare qui un'immagine infedele.

 

La samaritana

In quei giorni, delle divergenze sorsero fra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù. Giovanni battezzava presso Salim. Gesù non battezzava, ma non vietava ai suoi discepoli di farlo; ed essi attiravano più gente che il Battista. Questi s'ingegnava di placare i suoi con parole sublimi: "Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ode, gioisce grandemente della voce dello sposo. Quest'allegrezza è la mia... Conviene ch'egli cresca e io diminuisca".

E nondimeno il Figlio dell'uomo che gli lascia libero il campo. Gesù per ridursi in Galilea avrebbe potuto seguire il Giordano come nell'ultimo suo ritorno e come fanno tutti i Giudei preoccupati d'evitare la Samaria, regione disprezzata e maledetta da quando dei coloni assiri vi avevano introdotti i loro idoli. I samaritani avevan fatto peggio: avevano accolto un sacerdote ribelle, cacciato da Gerusalemme, e costui aveva eretto un altare sul monte Garizim.

Se Gesù seguiva questa strada, a traverso le messi di Samaria, era per incontrare un'anima, non certo meno macchiata né meglio disposta di tante altre; per lei, pertanto, e non per un'altra, egli si addentrava in territorio nemico. La prima venuta, alla lettera, la prima in cui si imbatterebbe, e della quale si servirebbe per conquistarne molte altre. Spossato, siede su l'orlo del pozzo che Giacobbe ha scavato, un po' prima di arrivare alla piccola città di Sichar. I suoi discepoli sono andati a comprar del pane, e aspetta che ritornino.

La prima anima venuta... Accade che è una donna. Gesù avrebbe avuto più d'una ragione per non rivolgerle la parola. Anzitutto non sta bene che un uomo parli sulla strada a una donna. E poi, egli è ebreo, e lei samaritana. E infine, lui che conosce i cuori e pure i corpi, non ignora chi è quella graziosa creatura.

Era l'Uomo-Dio che alzava gli occhi verso quella femmina. Lui, la Purità infinita, che non ha avuto bisogno di uccidete il desiderio sotto la sua forma bassa e triste, non è meno il desiderio incarnato. Egli vuole l'anima di quella donna con violenza. La vuole con quella avidità che non tollera né attesa né dilazione, immediatamente, nel medesimo istante e luogo.

Il Figlio dell'uomo esige il possesso di quella creatura. Ella ha un bell'essere ciò che è: una concubina, una donna che si è trascinata e voltolata per terra, che sei uomini hanno stretta nelle braccia, e colui che ora la possiede e con lei si gode non è suo marito. Gesù prende ciò che trova, raccoglie qualsiasi cosa, purché il suo regno arrivi. La guarda, e decide che oggi stesso ella si impadronirà di Sichar in suo nome e fonderà in Samaria il regno di Dio.

Un'intera notte gli è toccato faticare per catechizzare un dottore della legge, per fargli intendere che cosa significa morire e rinascere. La donna dei sei mariti capirà a tutta prima ciò che il teologo non ha afferrato. Gesù la squadra: egli non ha quel soprassalto, quella contrazione dei virtuosi dinanzi a una ragazza la cui massima occupazione è l'amore. Ma nemmeno indulgenza, né connivenza. È un'anima, la prima venuta, della quale si serve. Una freccia di sole attraversa un rottame, tra le immondizie, e la fiamma scaturisce, e tutta la foresta s'incendia.

La sesta ora. Fa caldo. La donna si sente chiamare. Quel giudeo le rivolge la parola? Ma sì! "Dammi da bere" ha detto. Immediatamente, civettuola e beffarda, risponde a quello sconosciuto in sudore.

“Come? Domandi da bere a me che sono samaritana?”

“ Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli t'avrebbe dato dell'acqua viva.”

Il Cristo brucia le tappe; questa parola è incomprensibile per la samaritana; ma egli è già penetrato come un ladro in quell'anima buia. Ciò che ella doveva provare era d'essere investita da ogni parte, e che lo sconosciuto di cui vedeva il viso molle di sudore e i cui piedi erano grigi di polvere, la occupava nell'intimo, la invadeva: e che quell'onda vivente era irresistibile. Interdetta, cessava di beffeggiare, e come tutte le donne si abbandonava subito a delle domande infantili .

“ Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo. Onde adunque avresti quest'acqua viva? Sei forse maggiore del nostro padre Giacobbe che ci diede questo pozzo, e ne bevve egli stesso, e i suoi figliuoli e il suo bestiame? ”

Gesù non ha tempo da perdere: con un impaziente spintone la immerge in piena verità. Dice:

“Chiunque beve di codest'acqua avrà ancora sete. Ma chi berrà dell'acqua ch'io gli darò non avrà giammai sete in eterno. E l'acqua ch'io gli darò diverrà in lui una fonte d'acqua zampillante in vita eterna. ”

Ogni parola del Signore dev'essere presa alla lettera... Gli è che molti hanno creduto essersi inebbriati di quell'acqua, e si sono ingannati, e non era quella di cui parla Gesù; poi che, avendo bevuto, hanno ancora sete. Nondimeno la donna rispose:

“Signore, dammi di codest'acqua acciocché io non abbia più sete e non venga più lì ad attingere. ”

“ Va', chiama tuo marito, e vieni qua. ”

Sempre lo stesso sistema per convincere i semplici: quello di cui s'è servito con Natanaele, quando gli aveva detto: "Ti ho visto sotto il fico". Rivelava loro d'un tratto la conoscenza ch'egli aveva della loro vita, o meglio il suo potere d'insediarsi in loro, di stabilirsi nel cuore dell'essere; ed è perciò che, quando la samaritana gli ebbe risposto: "Io non ho marito", egli replicò:

“Bene tu hai detto: non ho marito. Perché tu hai avuto cinque mariti, e quello che ora hai non è tuo marito: questo hai detto con verità ”.

La donna non apparteneva alla stirpe regale di Natanaele e di Simone, di quelli che subito cadono in ginocchio picchiandosi il petto. Non è anzitutto che una colpevole presa in flagrante delitto e che, per istornare l'attenzione di questo Rabbi troppo chiaroveggente, porta il dibattito sul piano teologico. Dopo aver balbettato: "Signore, io vedo che tu sei un profeta..." aggiunge precipitosamente:

“I nostri padri hanno adorato su questo monte, e tu, tu dici che è a Gerusalemme che conviene adorare...”

Gesù non si lascia trascinare: rimuove l'obiezione con qualche parola... Ma il tempo stringe: laggiù, ormai vicini, i discepoli stanno venendo con le provvigioni. Egli li sente parlare e ridere fra loro. Conviene tuttavia che il tutto si adempia al di fuori della loro presenza. La verità sarà dunque aperta in un tratto rapidissimo a quella poveraccia.

“L'ora viene, e già è venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità. Sono questi gli adora tori che il Padre richiede. Iddio è spirito, e coloro che l'adorano conviene che l'adorino in ispirito e verità. ”

E la samaritana:

“ Io so che il Messia ha, da venire e ch'egli annunzierà ogni cosa. ”

I passi dei discepoli risonano già sul sentiero: ormai non c'è più tempo. Per rivelare il grandissimo segreto che ancora non ha confidato a nessuno, Gesù sceglie quella donna che ha avuto cinque mariti e oggi ha un amante:

“Io lo sono, io che ti parlo. ”

E in pari tempo, una grazia di luce è data a quella miserabile, così potente che nessun dubbio potrebbe intaccarla: si, questo povero ebreo stanco che aveva camminato al sole e nella polvere, e che moriva di sete al punto di mendicare un po' d'acqua a una samaritana, era il Messia, il Salvatore del mondo.

Ella rimase impietrita finché non ebbe inteso avvicinarsi coloro ch'erano con quest'uomo. Allora lasciata la secchia si gittò a correre come chi gli ha preso fuoco il vestito, entrò in Sichar, radunò la gente a gran grida:

“ Venite a vedere un uomo che m'ha detto tutto ciò che io ho fatto!”

Si direbbe che il Cristo, seduto sempre sulla spalletta del pozzo, mentre i suoi apostoli gli porgono un pezzo di pane, stenti a rientrare nell'angusto universo ov'essi l'obbligano a vivere: "Maestro, mangia!" insistono. Ma l'Amor vivente, smascherato da quella donna, non ha ancora avuto tempo di ridivenire un uomo che ha fame e sete.

“ Ho da mangiare un cibo che voi non sapete. ”

Questa risposta discende pure da un altro mondo.

I poveretti si immaginano che qualcuno gli abbia portato una vivanda misteriosa. Egli guarda quegli occhi spalancati, quelle bocche semiaperte, e al di là, la messe di Samaria, nella luce abbagliante, le spighe che imbiancano; e al disopra delle spighe, teste che si muovono: la frotta di gente che la donna trae seco: tra cui, forse, il suo amante.

Gesù scende a terra, alfine; parla loro delle cose dei campi, ch'essi ben conoscono, fa loro comprendere che raccoglieranno ciò ch'egli ha seminato. Li ha già fatti pescatori d'uomini: ora, ecco, saranno mietitori di spighe umane.

Due giorni si trattenne fra i samaritani reietti, dando così ai suoi un esempio che invano sarà trasmesso al rimanente mondo. Perché se v'è una parte del messaggio cristiano che gli uomini abbiano rifiutata e respinta con invincibile ostinazione, è la fede nell'ugual valore di tutte l'anime, di tutte le razze, dinanzi al Padre che è nei cieli.