(Da M. Scheler, Manoscritto del 1911-1912 ripreso nel più ampio saggio su Vorbilder und Führer [Modelli e capi], pubblicato postumo in Gesammelte Werke, vol. X: Schriften aus dem Nachlaß. 1: Zur Ethik und Erkenntnistheorie, a c. di Maria Scheler, Bern, Franke, 1957, pp. 269-288).

Max SCHELER (1874-1928)

Tra il sacro e il modello: Cristo, l'unico santo

La storia ci manifesta il suo più profondo significato non al raggiungimento del proprio acme o dello stadio finale - che lo spirito umano non sarebbe comunque in grado di afferrare senza l'aiuto della rivelazione - ma nei modelli dell'umanità, nel loro continuo affermarsi, nel loro ordine gerarchico; in essi ci vengono offerti i trampolini di lancio su cui l'uomo. attratto ed innalzato dai modelli sedimentati nella profondità della sua anima, avanza per raggiungere il fine più elevato: essere simile a Dio, come dice Platone, essere perfetto come il Padre, secondo le parole del Vangelo.

Non vi è alcun itinerario diretto verso la divinizzazione del singolo, come ha sovente sognato un'erronea mistica. Questa mediazione è stata peraltro negata nell'ambito della vita cristiana da quelle innovazioni religiose del mondo moderno che hanno inteso relativizzare l'esistenza dell'ideale della sequela adottato da Bernardo di Chiaravalle, da Francesco, da Tomaso da Kempen optando a favore di una fede nella salvezza dell'uomo fondata esclusivamente sul sangue versato da Cristo nel passato, cioè unicamente in conformità alle mute lettere del libro che ne riferisce. Eppure esistono davvero quella mediazione e quella piramide di modelli personali connessi l'uno all'altro a cui l'uomo si avvicina lentamente e per sentieri complicati onde realizzare il proprio sé, il suo “divieni ciò che sei”: lo fa perché attratto con forza dal tipo di modello avvertito come il più vicino ed elevato - quello che secondo la fede cristiana trova perfetto compimento nel Dio fatto uomo […].

La fede (o la mancanza di fede) nella totalità delle persone è la forma più elevata, più pura, più spirituale che si possa ipotizzare per l'efficacia del modello. La sequela personale avviene non in forma estrinseca - quasi in modo ripetitivo - ma a partire dal centro della vita spirituale della persona imitata: questo nucleo viene appreso grazie all'immedesimazione ed all'identificazione con gli atti in cui il modello personale esprime il proprio mondo spirituale. Solo a partire da questo atteggiamento si può parlare di sequela libera, perfettamente contrapposta all'involontaria imitazione di una copia. L'esempio più elevato è costituito dalla “sequela di Cristo” che è sempre una riproduzione, sia pur inadeguata ed unilaterale, della sua natura, del suo modo di essere, della sua persona nel profondo dell'anima di chi lo segua.

Paolo non si esprime in senso allegorico, ma reale quando coglie nella nostra rinascita la morte del vecchio Adamo ed una riformazione dello stesso nucleo centrale della nostra persona grazie all'azione del Salvatore: al posto del vecchio sé, scomparso nella morte, subentra Cristo “in persona”, cioè nell'essenza dell'identità personale, sicché possiamo essere veramente “divinizzati” e collocati ad un livello superiore, in un rapporto d'immediata prossimità di Dio analogo a quello avuto un tempo da Adamo. “Io vivo, ma non più io, bensì Cristo vive in me” (Gal 2,20) […].

Nella storia il santo originario si colloca in una misteriosa posizione di oscurità e penombra - in situazione del tutto diversa da quella dei geni, degli eroi e degli spiriti più importanti. In un certo senso è nascosto dall'immenso splendore emanato dalla sua natura. È difficile farsi strada verso di lui ove lo si consideri unicamente nella sua natura storica; ciò vale per Gesù, Budda, Maometto, Confucio e Laotse. Questo dato di fatto prova quanto misteriosa sia la vita promanante da queste persone.

Nella teologia cristiana, come peraltro in quella buddista, è estremamente difficile distinguere l'immagine del mito - ed in seguito quella del dogma - dalla figura storica reale. Sia negli orientamenti di carattere ortodosso che in quelli di tipo liberale ci si confronta ovunque con la domanda centrale: in che misura il santo è originariamente soggetto oppure oggetto della religione. Il santo originario non è mai, per colui che si metta alla sua sequela, “uno tra i tanti” - come possono invece essere i grandi geni o i grandi eroi: egli è sempre “l'unico”. È questa la particolare legge di natura eidetica che ne definisce la componente idealtipica […].

Nessuno ha espresso in termini così chiari questa realtà quanto Cristo stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”. Egli stesso è tutto ciò, la verità personificata di un fondamento personificato del mondo. Questa è l'essenza del cristianesimo. Cristianesimo significa anzitutto credere nella persona di Cristo che è “la via, la verità e la vita”, non quindi in un'idea (ad esempio credere all'idea che Cristo è il Figlio di Dio) - ma nella presenza eterna, centrale e viva di questa persona nel mondo e nella storia. Anche l'affermazione che “Cristo è Dio” vale unicamente in quanto essa esprime una testimonianza che lo stesso Cristo dà di se stesso (contro ogni errore degli gnostici). Il contenuto cui si rapportano l'intuizione, il sentimento e l'amore del santo si chiama “rivelazione”.

Se però la rivelazione è autorivelazione, allora il suo contenuto sarà per sua natura assolutamente perfetto. Questo contenuto non è soggetto ad alcuna ipotetica variazione, in senso diminutivo o maggiorativo, né ad arricchimento, a sviluppo o a progresso. La comprensione razionale del contenuto rivelato, così come essa si dà nei dogmi grazie alla Chiesa ed al suo Capo, è invece soggetta a variazione poiché i dogmi sono oggetto di assenso. E tanto più lo sono la sistematizzazione scientifica, l'interpretazione e le definizioni che la teologia dà dei concetti contenuti nei dogmi: come ogni altra “scienza” anche la teologia è soggetta ad un'evoluzione e ad un progresso, così come lo sono nell'ambito del sacro le forme della devozione (in analogia a quanto avviene per i valori tecnici ). Il contenuto dell'intuizione del santo si esaurisce nel comportamento del comprendere ed in una sempre più profonda immedesimazione col contenuto della singola intuizione […].

Si rifletta su un altro paradosso. Come i valori esistono solo nei beni, così il tipo del santo può esistere solo nella persona reale. Il santo come figura storico-positiva deve possedere anche una realtà storica specifica. Si tratta di una relazione eidetica. Sarebbe del tutto privo di senso negare l'esistenza storica di Gesù e continuare al con tempo a venerarlo come santo; in tal caso un' “idea” prenderebbe inevitabilmente il posto di una persona.

D'altro lato, non è nemmeno evidente che persino il Santo, inteso come soggetto di una sequela in cui il Santo sia immediatamente presente perché possedutone nella forma più perfetta e nella più evidente manifestazione, debba avere una qualche conoscenza della storia reale del Santo stesso: del luogo, del tempo, dell'ambiente e di tutte le varie circostanze che ne abbiano caratterizzato l'esistenza; è anzi possibile che il Santo possa sbagliarsi su tutte queste cose. È chiaro quindi che ogni scienza storica relativa a Gesù non ci insegna nulla circa il Santo che è Gesù stesso - proprio nulla […].