Pascoli è stato definito da taluni “ poeta di Gesù ”. E senza dubbio il Gesù mite, “ francescano ”, amico della natura e dei bambini, tutto amore e dolcezza, ha trovato in lui un cantore ispirato. Lo si veda nelle prime sei poesie, che costituiscono addirittura un Piccolo Vangelo. Un delizioso quadro del Natale ci offre la poesia In oriente; mentre quella intitolata In occidente ha una stupenda apertura lirica sulla nuova realtà del Cristianesimo, amico degli umili e degli oppressi, in contrapposto al morente, crudele paganesimo romano. Infine due gemme scelte tra i carmi in latino del Pascoli: il racconto della Crocifissione messo in bocca a un Centurione; e il finale della Scuola dei paggi, dove un ragazzo cristiano, Alessameno, prima accusato e osteggiato da un compagno, Careio, finisce per convertire quest'ultimo alla fede, tanto che entrambi andranno a morire per Gesù.

 

PASCOLI GIOVANNI (1855-1912)

 

Piccolo Vangelo

1) Sconforto

Gesù: - Per le città, per le castella

andava lungo il limpido Giordano,

predicando la sua buona novella.

 

E cui sul capo Egli imponea la mano,

e cui dicea la sua parola vera,

cieco, ossesso, lebbroso, ecco era sano.

 

Ed il dolore al suo passar non era

più. Ma gran pianto era al suo lento arrivo

Moveva a l'alba e si fermava a sera.

 

A sera stanco il figlio del Dio vivo,

come lavoratore, era, ma pago;

e s'assideva al tronco d'un olivo,

 

guardando al cielo. E subito il suo vago

occhio abbassava, ch'e' s'udiva intorno

come l'immenso mormorio d'un lago.

 

Ecco, e vedeva, al fine del suo giorno,

turbe infinite sotto il ciel vermiglio,

ch'attendean sua venuta o suo ritorno.

 

E giacevan nei solchi, sopra il ciglio

dei fossi, per le vie, pecore sparse

senza pastore. E tu gemevi, o figlio

 

di Dio: TROPPA È LA MESSE E L'OPRE SCARSE!

  1. L'allodola

Gesù: Guardate, disse ancor, li uccelli

del cielo; che non hanno essi le falci

per mietere, non hanno essi i marrelli

 

per seminare... E disse Giuda: Ai tralci

miei piluccano l'uva essi, ed il grano

ne le mie parche prima ch'io le falci.

 

E il Rabbi: O tu che il murmure lontano

del fiume credi chiocchiolio di gora

vicina; o tu per cui discesi in vano:

 

chiedi a la dolce allodola, che ad ora

ad ora per desio di miglior esca

non voglia alzarsi ad incontrar l'aurora;

 

chiedile che non s'alzi da la fresca

piaga del suolo che l'aratro ha franto!

Il poco ell’ ebbe, e non desia ch'e' cresca.

 

Poco sopra la terra ebbe, ma tanto

ebbe nel cielo; che lassù romita

contempla, e canta: e che è dunque il canto?

 

Il miele ch'è nel fiore de la vita.

 

  1. Il fiore

E seguitò: Nel fiore de la vita.

Che non è pianta, che non è vermena

che non si trovi al tempo suo fiorita;

 

o presso mormorante acqua di vena

o ne lo stagno tacito; per lande

o in solchi; sopra il fimo o ne la rena:

 

e la quercia che immensa l'ombra spande,

piccolo; e il fioraliso ch'ha lo stelo

sottile, porta il fiore suo più grande:

 

piccolo il pino, grande il grogo: e il melo

l'ha bianco e pure è la fuggevol cosa!

e il cardo, eterno e del color di cielo.

 

In verità! non è così ritrosa

vita, che il fiore al tempo suo non metta:

e da l'irsuto branco esce la rosa:

 

e tale è nuda e squallida e soletta

a li occhi nostri, sopra ignave zolle,

che a l'ombra de le stelle d'oro aspetta

 

d'aprir l'olezzo de le sue corolle.

L’ape

E disse ancora: De le sue corolle;

ch'ape non vide, ch'ape non desia:

l'ombre lei gode, ed essa: altro non volle:

 

essere volle sopra un'ara pia

come l'incenso de l'incensiere,

di cui l'opra s'adempie in vanir via.

 

Ma non mancano calici a cui bere,

ciò di cui; paziente anima umana, a te non piace che l'altrui piacere:

c'è la quercia che in aria s'allontana

e la viola che le resta al calcio,

e il fior d'assenzio e il fior di maggiorana.

 

E quale odore è mai del fior del tralcio!

odor che pare l'ombra del novello

vino che viene. E c'è l'amaro salcio.

 

In verità ti dico, anima: ornello

o salcio o cardo, ognuno ha sua fiorita;

amara o dolce; ma sol dolce è quello

che tu ne libi miele de la vita.

 

Il loglio

 

Era in patria Gesù; lungo le sponde

del suo lago; e ne' campi opere a schiere

mietean le spighe, ch'erano già bionde.

 

Egli vedeva; ma credea vedere

angioli bianchi, con mannelle in mano,

sparsi in un suo ceruleo podere.

 

Diceva: - È il regno mio, come se al piano

buon seme alcuno seminò; ma loglio

il suo nemico sparse poi tra il grano.

 

E, quando l'erbe vennero in rigoglio,

il servo, accorto dell'inganno muto,

disse al Signore: "Io roncherò"-"Non voglio:"

 

ma quando il mondo tutto avrò mietuto,

tu svella il grano: crescan ora insieme;

disse il Signore "Non col loglio irsuto

 

io dirò: "Ne' granai solo il buon seme,

angioli, riponete; e il loglio sia

gittato al fuoco, ove -si piange e freme!"

 

Uno, che un fascio avea di loglio: "Via,

al fuoco!" disse. Ed egli tra un pio suono

d'acque e di frondi: "che nol porti a mia

madre? ché per le sue tortori è buono."

 

Gesù

 

E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,

campagne sotto il mietitor rimorte:

il suo giorno non molto era lontano.

 

E stettero le donne in sulle porte

delle case, dicendo: Ave, Profeta!

Egli pensava al giorno di sua morte.

 

Egli si assise all'ombra d'una meta

di grano, e disse: Se non è chi celi

sotterra il seme, non sarà chi mieta.

 

Egli parlava di granai ne' Cieli:

e voi, fanciulli, intorno lui correste

con nelle teste brune aridi steli.

Egli stringeva al seno quelle teste

brune; e Cefa parlò: Se costi siedi,

temo per l'inconsutile tua veste.

 

Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:

- Il figlio - Giuda bisbigliò veloce

d'un ladro, o Rabbi, t'è costi tra' piedi:

 

Barabba ha nome il padre suo, che in croce

morirà. - Ma il Profeta, alzando gli occhi,

No, mormorò con l'ombra nella voce;

 

e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

 

In oriente

 

III

 

E un canto invase allora i cieli: Pace

sopra la terra! E i fuochi quasi spenti

arsero, e desta scintillò la brace,

 

come per improvvisa ala di venti

silenziosi, e si senti nei cieli

come il soffio di due grandi battenti.

 

Dio su la terra ”. Ed a ciascuno il cuore

bianca; e diceva: “Gioia con voi! Scese

tra loro, come un'alta esile croce,

i pastori guardando di sui monti,

e chi presso le tombe, onde una voce

uscia di culla, e chi presso le fonti,

 

Erano in alto nubi, pari a steli

di giglio, sopra Betlehem: già pronti

erano, in piedi, attoniti ed aneli,

onde un tumulto scaturia di foce:

e un angelo era, con le braccia stese,

sobbalzò verso il bianco angelo, e prese

 

via: per vedere il Grande che non muore,

come l'agnello che pur va carponi;

il Dio che vive tutto in sé, pastore

di taciturne costellazioni.

 

IV

Mossero: e Betlehem, sotto l'osanna

de' cieli ed il fiorir dell'infinito,

dormiva. E videro, ecco, una capanna.

 

Ed ai pastori l'accennò col dito

un angelo: una stalla umile e nera,

donde gemeva un filo di vagito.

 

E d'un figlio dell'uomo era, ma era

quale d'agnello. Esso giacea nel fieno

del presepe, e sua madre, una straniera,

 

sopra la paglia. Era il suo primo, e il seno

le apriva; e non aveva ella né due

assi: all'albergo alcun le disse: È pieno:

 

Nella capanna povera le sue

lacrime sorridea sopra il suo nato;

su cui fiatava un asino ed un bue.

 

Noi cercavamo Quei che vive... – entrato

disse Maath. Ed ella con un pio

dubbio": Il mio figlio vive per quel fiato...

 

Quei che non muore... - .Ed ella: Il figlio mio

morrà (disse, e piangeva su l'agnello

suo tremebondo) in una croce... - Dio..;

 

Rispose all'uomo l'Universo: È quello!

 

In occidente

 

III

 

Roma dormiva. Uno vegliava, un Geta,

gladiatore. Egli era nuovo, appena

giunto: il suo piede, bianco era di creta.

 

L'avea, col raffio, tratto dall'arena

del circo; e nello spoliario immondo

alcun nel collo gli apri poi la vena.

 

Rantolava; il silenzio era profondo:

il cader lento d'una goccia rossa

solo restava del fragor del mondo.

 

Ma d'uomini gremita era la fossa

in cui giaceva. All'occhio suo, tra un velo,

parea scoprirne e ricoprirne l'ossa.

 

Ed era solo, e l'uomo che col gelo

o pungea di sua cute, più lontano

gli era del più lontano astro del cielo:

 

più della terra sua, più del suo piano

lunghesso l'Istro, e de' suoi bovi ch'ora

sdraiati ruminavano pian piano,

e de' suoi figli ch'attendean l'aurora,

piccoli nella lor nomade cuna,

e del suo plaustro, ch'era sua dimora,

là fermo e nero al lume della luna.

 

IV

 

E venne bianco nella notte azzurra

un angelo dal cielo di Giudea,

a nunziar la pace: e la Suburra

 

non l'udiva; e nel tempio alto di Rhea

bandì la pace; e non alzò la testa

quell'uomo rosso ai piedi della Dea;

 

e vide un fuoco, e disse Pace; e Vesta

ardeva, e le Vestali al focolare

sedeano avvolte nella lor pretesta;

 

e vide un tempio aperto, e dal sogliare

mormorò, Pace: e non l'udì che il vento

che uscì gemendo e portò guerra al mare.

 

E l'angelo passò candido e lento

per i taciti trivi, e dicea, Pace

sopra la terra!... Udì forse un lamento...

 

Vegliava, il Geta. Entrò l'angelo: Pace!

disse. E nella infinita urbe de' forti

sol quegli intese. E chiuse gli occhi in pace.

 

Sol esso udì; ma lo ridisse ai morti,

e i morti ai morti, e le tombe alle tombe;

e non sapeano i sette colli, assorti,

 

ciò che voi sapevate, o catacombe.

 

Il centurione

 

“ ... Una volta, mentre mi trovavo a passeggiare in quel paese da cui i ricchi si fanno venire i profumi, ecco che presso la riva di un ameno lago, diritto sopra una navicella, tra cielo e mare, vedo uno... chi devo dire? C'era sul lido una folla grande di gente e quello parlava e li ammaestrava come un padre i figlioli. La sua voce, sospinta da una brezza leggera, toccava la riva come fa l'onda del mare che va e viene. Parlava cosi, sospeso nell'aria, come da un suggesto ceruleo. E pareva che la terra il mare il cielo e i cuori della gente, tutti fossero pacificati dalla blandizie di quel suo parlare. Stavano ad ascoltarlo mendichi di ogni specie, e uomini travagliati da pene, e madri piangenti, e schiavi dall'occhio torvo. E quello parlava e su quelle facce si distendeva un lume di consolazione ”. “ Che cosa diceva? ”. “ Io ero com'è naturale noi Romani, ignorante di quel linguaggio; ma una parola, una sola, tante volte la pronunciò, questa la potei imparare ”. “ Quale parola? ”. “La dirò ”.

“ Una volta, lo trovai seduto cosi come io ora fra voi, in mezzo a fanciulli. Le madri da tutte le parti gli portavano i piccolini perché almeno egli li toccasse, e da tutte le parti accorrevano per conto loro ragazzi già grandicelli come voi. E quello con la mano li accarezzava, e li abbracciava, uno per uno, tutti. I suoi compagni si adirarono con le madri e le rimproverarono o minacciavano; e il maestro o chi egli fosse, a calmare la loro collera. A un tratto, avvicinandomi io, come se uno spettro tacitamente fosse comparso loro davanti, ci fu un fuggi fuggi; e i ragazzi, impauriti dall'elmo e dalla spada, si rifugiavano in grembo al loro caro maestro. Che cosa era stato? Forse vedevano in me le tracce dell'antica strage? Mi fermo. E allora quella parola, l'unica che io conoscevo, con un suo triste suono ma dolce, venne alle mie orecchie...”. “Ma che cosa vuol dire quella parola? ” “ Oh, figlioli, niente, proprio niente che si addica a un soldato ”. “ Ma via, per piacere, che cosa? ” “Ve lo dirò ”.

“ Una volta, mentre io mi trovavo nella città che essi dicono sacra, mi percosse un insolito accorrere e fluttuare di gente. Da tutte le contrade si riversavano tutti in un medesimo punto, e tutti portavano nelle mani ramoscelli di pallido olivo. E poi, su quelle vie strette distendevano vestì e spargevano fronde e fiori e cantavano laudi, come quando da noi bianchi cavalli conducono un carro trionfale. Io non capivo le loro parole. E mentre ero li e mi domandavo, incerto, quel tumulto che cosa fosse o quella follia, ecco che, con grande stupore, vedo lui, quell'uomo, a cavallo di un'asina. Avanza adagio, sorride alla folla che gli fa festa. Tutti acclamano. Dietro l'asina, saltellando, viene il suo puledrino. E lui, perché il piccolino, tra quella turba non si spaventi e non si smarrisca, ogni tanto si volta, lo accarezza, gli tiene una mano sulla schiena. Io sono lì fermo e guardo. E l'uomo subito mi riconosce, e nel momento che mi passa davanti, come un soffio, mi mormora quella parola ”. “Ma quale parola? ”. “Ora ve la dico ”.

“ Non molto tempo dopo il primipilo mi aveva mandato su quell'altura che vi ho detto, su quella cima di colle al tutto rasa di alberi e di erbe, e dove quel giorno c'erano sì alberi... ma alberi senza radici. Insomma, io ero di guardia alle croci. Chi ci fosse appeso a ciascuna di quelle croci non m'importava niente. Il colle era pieno di grida e di vituperi. Venuta la sera, le grida, il fermento e tutta la feccia della città si dileguarono. La cupola d'oro del tempio più non splendeva ai raggi del sole. Volitavano intorno molte rondini come ora, o fanciulli; e mi rammento che rosee nubi ondeggiavano per il cielo. Mi pareva di essere ritornato al mio paese, in Ulubre, e di sentire, come in sogno, piangere mia madre. Non so perché, levo il capo. E chi credete, figlioli, chi credete che allora io abbia visto inchiodato a una delle tre croci? Lui, quello che chiamava a sé i fanciulli e gl'infelici. Pallidissimo era; e da quell'albero di morte, già sul punto di morire; a me, ministro di quella scellerata morte, disse una parola... ”. “Ma quale, padre, quale fu quella parola? ”. “ Pace ”.

Il centurione non disse di più. I nidietti di loto avevano accolto tutte le rondini, e i rondinini pigolavano al tepore delle ali materne. A quando a quando si udiva lontano il gracidio querulo delle rane. Qui il centurione come parlando tra sé, “veramente ”, disse “egli fu uomo giusto ”. La causa della morte era appesa in iscritto su la croce. Questo è il Re. Io guardavo stupito. Poi corse voce che egli avesse infranto il sepolcro. Ho da credere che ancora sia vivo? Dicono che nel luogo del supplizio si oda quella voce, come di uno che ammonisce, “ Pace ”. I fanciulli guardano attorno. Ora mai è notte e tutto è silenzio. Ed è l'ora di andare a dormire. Ma il figlio dell'esattore Albino non è soddisfatto. “Racconta ancora ”, dice “c'è un angolo al mondo dove noi non siamo penetrati? C'è qualcuno, Etrio, che noi non abbiamo vinto? ”.

La scuola dei paggi

La mattina il pretore al suo cospetto,

attorniato dai fanciulli in piedi,

fa venire Alessameno: - Tu sembri

un ragazzo per bene e di giudizio,

uantunque ti sappiam da un poco fatto

segno a una vaga diceria. Ma questa

or prende piede: la parete stessa

parla. Insomma si mormora, mio caro,

che, messoti con Cristo, offri devoto

una bestia gli incensi. - E che vedere

ci avrà un devoto - replica il fanciullo

con una bestia? - E io direi, nemmeno

con una croce. Ché la croce è fatta

per gl'infami assassini e per gli schiavi

riacciuffati. Venerar la croce

debbono i corvi. Taci? Or via, ragazzo,

pochi discorsi: tu ben sai che il nostro

signore e tuo cognome ha Pio, ma nome

Severo: avanti! maledici Cristo.

- Anzi lo benedico. - Ah manigoldo!

tu sai la legge. - Cristo è la mia legge,

e il mio signore è Dio. - Levati subito

dai fanciulli incorrotti. Andiamo. Il branco

l'avrò salvato. Portati lontano

la tua peste con te, mentre appestato

sei tu solo. - T'inganni: eccone un altro

- grida Careio; e strettosi al fratello,

tenendolo per man, seco si avvia.