Quanto profondo fosse, nel grande scrittore russo (premio Nobel 1958), il ricordo ispiratore e incitatore di Gesù si rileva, nel suo capolavoro, prima dalla pagina di prosa che riportiamo, poi dalle poesie che l'autore attribuisce al protagonista, Zivago.

 

PASTERNÀK BORIS LEONIDOVIC (1890-1960)

Miracolo // Giorni cattivi // Maddalena // L’Orto del Getsemani

 

Ho detto che bisogna essere fedeli a Cristo. Mi spiego meglio. Voi non capite che si può essere atei, si può non sapere se Dio esista e per che cosa, e nello stesso tempo sapere che l'uomo non vive nella natura, ma nella storia, e che, nella concezione che oggi se ne ha, essa è stata fondata da Cristo, che il Vangelo è il suo fondamento. Ma che cos'è la storia? È un dar principio a lavori secolari per riuscire a poco a poco a risolvere il mistero della morte e in avvenire superarla. Per questo si scoprono l'infinito matematico e le onde elettromagnetiche, per questo si scrivono sinfonie. Ma non si può progredire in tale direzione senza una certa spinta. Per scoperte del genere occorre una attrezzatura spirituale e, in questo senso, i dati sono già tutti nel Vangelo. Eccoli. In primo luogo, l'amore per il prossimo, questa forma suprema dell'energia vivente, che riempie il cuore dell'uomo ed esige di espandersi e di essere spesa. Poi le ragioni essenziali dell'uomo d'oggi, senza le quali egli non è'pensabile, e cioè l'ideale della libera individualità e della vita come sacrificio.

Tenete conto che oggi ciò è ancora straordinariamente nuovo. Gli antichi non avevano storia in questo senso. C'era allora l'infamia sanguinaria di crudeli Caligola, scavati dal vaiolo, i quali neppure sospettavano quanto sia mediocre ogni atto di asservimento. C'era la pomposa, morta eternità dei monumenti di bronzo e delle colonne marmoree. Solo dopo Cristo, i secoli e le generazioni hanno respirato liberamente. Solo dopo di lui, è cominciata la vita nella posterità e l'uomo non muore più per istrada sotto un muro di cinta, ma in casa sua, nella storia, nel culmine di un'attività rivolta al supera. mento della morte; l'uomo muore interamente dedito a questa ricerca.

 

Miracolo

Andava da Betania a Gerusalemme,

oppresso anzi tempo dalla tristezza dei presentimenti.

Un cespuglio prunoso sull'erta era riarso,

su una vicina capanna il fumo stava fermo,

l'aria era rovente e immobili i giunchi

e immota la quiete del Mar Morto.

 

E nella sua amarezza che contendeva con quella del mare,

andava con una piccola folla di nuvole

per la strada polverosa verso un qualche alloggio,

in città, all'incontro coi discepoli.

 

E così immerso nelle sue riflessioni

che il campo per la melanconia prese a odorare d'assenzio.

 

Tutto tacque. Soltanto lui là in mezzo.

E la contrada s'era abbattuta nel sonno.

Tutto si confondeva: il calore e il deserto,

e le lucertole e le fonti e i torrenti.

 

Un fico si ergeva lì dappresso

senza neppure un frutto, solo rami e foglie.

E lui gli disse: “A cosa servi?

Che piacere ne ho della tua rigidità?

 

Io ho sete e desiderio, e tu sei uno sterile fiore,

e l'incontro con te è più squallido che col granito.

Oh, come sei increscioso e inutile!

Resta così, dunque, sino alla fine degli anni. ”

Per il legno passò il fremito della maledizione

come la scintilla del lampo nel parafulmine.

E il fico fu ridotto in cenere.

 

Avessero avuto allora un attimo di libertà

le foglie, i rami, le radici e il tronco,

le leggi della natura sarebbero potute intervenire.

Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.

Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,

fulmineo ci raggiunge di sorpresa.

 

Giorni cattivi

Quando nell'ultima settimana

venne a Gerusalemme,

gli osanna gli risuonavano incontro,

dietro gli si affrettavano con rami.

 

Ma poi, giorni sempre più foschi e crudeli

da non raggiungere i cuori con l'amore,

i sopraccigli corrugati a sprezzo,

ed ecco l'epilogo, la fine.

 

Con tutta la loro pesantezza di piombo

i cieli si coricarono sui cortili.

I farisei cercavano le prove

strisciandogli dinanzi come volpi.

 

E dalle cupe forze del tempio

fu dato in giudizio alla feccia,

e lo maledirono con quell'ardore

di quando prima lo esaltavano.

 

La folla, là d'intorno,

spiava dai portoni,

s'accalcava in attesa dell'esito

sospinta e risospinta.

 

E un bisbiglio si propagò lì vicino

e dicerie da molte parti.

 

E la fuga in Egitto e l'infanzia

già ricordavano come un sogno.

 

Ricordavano il pendio maestoso

del deserto e quel dirupo

da dove satana l'aveva tentato

con una potestà universale .

 

E il banchetto di nozze a Cana,

e la tavola attonita del miracolo,

e il mare su cui nella nebbia,

come su terra, era andato alla barca.

 

E l'affollarsi dei poveri nella capanna,

e la discesa con la candela nel sotterraneo

che a un tratto s'era spenta atterrita

quando il re suscitato si levò...

 

Maddalena

I

È appena notte ed ecco qui il mio demone,

l'espiazione per il mio passato.

Vengono e il cuore mi succhiano

i ricordi della dissolutezza,

quando, schiava dei capricci maschili,

ero una stolida ossessa

e la strada era il mio asilo.

 

Rimangono pochi minuti,

poi verrà un silenzio di sepolcro.

Ma prima che i minuti trascorrano,

la mia vita, arrivata all'orlo,

come un vaso d'alabastro

infrango dinanzi a te.

 

Oh, dove mai sarei adesso,

Maestro mio e mio Salvatore,

se durante le notti accanto al tavolo

non mi aspettasse l'eternità,

come un nuovo cliente, adescato

da me nella rete del mestiere.

 

Ma spiega cosa vuol dire peccato

e morte e inferno, e fiamma e zolfo,

quando sotto gli occhi di tutti,

con te, come un pollone a un tronco,

mi sono congiunta nella mia angoscia senza fine.

 

Quando, Gesù, poggiati

i tuoi piedi alle mie ginocchia,

apprendo forse ad abbracciare

la trave quadrangolare della croce.

e, nello smarrimento dei sensi, sul tuo corpo

mi precipito preparandoti al seppellimento.

 

II

 

Prima delle feste la gente fa le pulizie.

In disparte da tutto il tramestio,

io lavo con l'unguento dell'anfora

i tuoi purissimi piedi.

 

Frugo e non trovo i sandali.

Non vedo nulla per le lagrime.

Sugli occhi in un velo mi sono ricadute

le ciocche dei capelli disciolti.

 

Sul lembo della sottana ho posto i tuoi piedi,

li ho bagnati di lagrime, Gesù,

ho intrecciato intorno a loro il filo di perle,

nei capelli li ho nascosti come in un burnus.

Vedo il futuro così nitidamente

come se tu l'avessi fermato.

Mi sento adesso di presagire

con fatidica chiaroveggenza di sibilla.

 

Domani cadrà la tenda nel tempio,

ci raccoglieremo in gruppo appartati,

e vacillerà la terra sotto i piedi

mossa forse a pietà di me.

 

Si ricomporranno le file della scorta,

e cominceranno a muoversi i cavalieri.

Come tromba d'aria, sopra la testa

verso i cieli si tenderà questa croce.

 

Mi getterò ai piedi della crocifissione,

mi gelerà il cuore, mi morderò le labbra.

A troppi per un amplesso le braccia

tu allargherai alle estremità della croce.

 

Per chi al mondo tanta: ampiezza,

tanto tormento e così grande forza?

Tante anime e vite sono al mondo?

Tanti i luoghi abitati e i fiumi e i boschi?

 

Ma trascorreranno tre giorni tali

e getteranno in tanto vuoto,

che in questo terribile frattempo

sarò diventata matura per la resurrezione.

 

L'Orto del Getsemani

 

Lo scintillio di lontane stelle un'indifferente

luce gettava alla curva della strada.

La strada aggirava il Monte degli Ulivi,

giù, sotto di lei, scorreva il Cedron.

 

Il prato a metà s'interrompeva.

Dietro cominciava la Via Lattea.

Canuti, argentei ulivi tentavano

nell'aria passi verso la lontananza.

 

In fondo c'era un orto, un podere.

Lasciati i discepoli di là dal muro,

disse loro: “L'anima è triste fino alla morte,

rimanete qui e vegliate con me. ”

 

E rinunciò senza resistenza,

come a cose ricevute in prestito,

all'onnipotenza e al miracolo,

e fu allora come i mortali, come noi.

 

Lo spazio della notte ora pareva

il paese dell'annientamento e dell'inesistenza.

La distesa dell'universo disabitata,

e soltanto l'orto un luogo capace di vita.

 

E guardando quei neri sprofondi,

vuoti, senza principio e fine,

perché quel calice di morte via da lui passasse

in un sudore di sangue pregò il padre suo.

 

Lenito dalla preghiera lo spasimo mortale,

tornò al di là della siepe. Per terra

i discepoli, vinti dal sonno,

giacevano nell'erba lungo la strada.

 

Li destò: “Il Signore vi ha scelti a vivere

nei miei giorni, ed eccovi crollati come massi.

L'ora del figlio dell'uomo è venuta.

Egli si darà in mano ai peccatori. ”

 

E aveva appena parlato che, chissà da dove,

ecco una folla di servi, una turba di schiavi,

luci, spade e, davanti a tutti, Giuda

col bacio del tradimento sulle labbra.

 

Pietro tenne testa con la spada agli sgherri

e un orecchio a uno di loro mozzò.

Ma sente: “Non col ferro si risolve la contesa,

rimetti a posto la tua spada, uomo.

 

Pensi davvero che il padre mio di legioni alate

qui, a miriadi, non m'avrebbe armato?

E allora, incapaci di torcermi un capello,

i nemici si sarebbero dispersi senza lasciar traccia.

 

Ma il libro della vita è giunto alla pagina

più preziosa d'ogni cosa sacra;

Ora deve compiersi ciò che fu scritto,

lascia dunque che si compia. Amen.

 

Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabola

e può prendere fuoco in piena corsa.

In nome della sua terribile grandezza

scenderò nella bara fra volontari tormenti.

 

Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò;

e, come le zattere discendono i fiumi,

in giudizio da me, come chiatte in carovana,

affluiranno i secoli dall'oscurità.”