Tutta la narrativa dello scrittore vicentino tradisce una interrogazione che, nel fondo, è cristiana e cattolica, anche se le pagine “scoperte” sono rare: come queste tratte dal finale di uno dei suoi libri più noti (Le Furie).

 

PIOVENE GUIDO (1907-1974)

 

Le Furie

Qui, verso il San Gottardo che chiamano monte ma è un colle, il paesaggio è rimasto intatto. È la vera natura prima nella sua veste uniforme di bosco basso: fughe di colli da ogni lato, qualche villaggio sparso che però non si espande e rimane una chiazza ferma di case con il campanile. Sentieri ingarbugliati, poche strade rudimentali che voltando a destra e a sinistra in grandi giri senza senso non rivelano dove vanno.

La strada che percorro, dalla parte del pendio boscoso, è listata di una roccia tra il grigio e il viola, fitta di occhi e di nicchie come una spugna. Questa roccia marina buca nei tratti erbosi, in scogli sforacchiati, in spunzoni lividi. Con il diffondersi del bosco l'autunno sembra più avanzato.

Dappertutto vedo del rosso, in punti netti, di corbezzoli, bacche, ovari di rosa canina, giunchi e rovi sanguigni, macchie larghe sugli alberi, arancione, corallo, bordò, ruggine accesa. Tanto rosso diffuso fa sembrare l'ora più tarda. Ogni luogo è così se stesso che mi dà la certezza di non esservi stato mai e di non averlo mai deformato con nessun ricordo.

Qui potrei incontrare chiunque tra quelli che non ho mai visto. Perfino Cristo, seduto su un sasso a una svolta. Non avrei nessuna sorpresa e saprei cosa dire. Direi:

“Nessuno ha colpa di questo mondo sorto dopo di te e dove io sono nato. È troppo vasto e troppo vuoto anche per la tua forza. L'ombra della croce lo copre solo in parte e il più resta fuori. È proprio come la proiezione di un'ombra in uno spazio senza fine, che arriva dove può allargandosi, ma. sempre più diluita finché svanisce.

“Insegnavi, nel mondo che era tuo, a salvare l'anima. In questo dove vivo è necessario farla, e nessuno sa come farla prima di esserci riuscito. So che si può essere gazze, piante acquatiche, spettri di persone esistite e non esistite;- sassi, sguardi inutilmente lucidi galleggianti sul vuoto e continuare a fingere di chiamarsi uomini. Il mondo delle anime decomposto emette servitù, terrori, rimorsi, staccati dal loro soggetto, che tornano su di lui, emissari sempre più stupidi di un mondo incomprensibile, non più volti ma assilli. Gli stormi delle Furie convulse e senza pace non sono ancora il peggio.

Peggiore è la seconda ondata, le nostre vere Furie senza dolore, il vuoto diventato l'unica percezione possibile, il passato dissolto per negarci d'essere stati anche quando credevamo d'essere, Giove stolido ed ebete, l'ebetudine fondamentale. Qui anche il suicidio diventa una metamorfosi esatta, un atto estremo di chiarezza che elimina la finzione umana per ridarci a quello che si è.

“La pratica dell'orrore ha distrutto l'inganno di possedere un'anima ricevuta in dono, che poteva sussistere nel mondo piccolo infantile quando .salivo questi colli a guardare la rappresentazione d'una nascita sempre eguale, la presentazione dei doni, sempre gli stessi, di pastori e di re a un bambino. Non in questa alluvione di ferocie e di annientamenti. Sono vissuto in bilico tra due versanti, una finzione che disintegra e una verità che brucia, e né l'una né l'altra sono idonee alla vita.

Ho imparato che avrò soltanto quello che saprò darmi. Il resto si trasforma subito in Furia. Temo i proprietari ansiosi di un'anima illusoria, perché ho sentito i loro denti, i loro veleni anestetici, la loro tristezza infettiva. Ho veduto il moltiplicarsi dei serpenti di pietra che hanno di vivo soltanto la bocca per mordere. I morti sono micidiali quando pretendono di esistere e propagano nevrastenia, misantropia, disperazione.

Quella proprietà illusoria si proietta, s'incarna e prolifera, in altre proprietà non meno illusorie. Genera la violenza per conservare, la prepotenza per annettere, la paura e la guerra. La respingo per non diventare assassino o suicida. Respingo l'ascetismo che dà assassini e suicidi virtuosi per cupidigia di essere possidenti più eletti. Mi esercito ai "no" pacifici più spietati della violenza.

“ Può darsi che io mi sbagli, ma tu hai meno di tutti il diritto di rimproverarmi se mi costringo a farmi un'anima a forza di strappi, di sfratti e di speranze acerbe. Meno di tutti un Dio potrebbe condannare una ragione che non mente a se stessa ”.

Questo ho pensato e l'avrei detto se avessi avuto ascoltatore. Ma l'uomo che ho incontrato davvero seduto a una svolta con un cestello ai piedi era soltanto un giovane contadino in cerca di funghi. Ho scambiato con lui due parole passando. Si è lagnato in dialetto di non trovare niente per colpa della siccità.