Guarigione del servo del centurione (Mt  8,5-13)

 

Gesù è a Cafarnao, l’umile villaggio di pescatori in cui abita Pietro. È il luogo in cui si sente di casa e dove “umanamente” si trova più a suo agio. Il lago di Tiberiade su cui il villaggio si affaccia, è spesso luogo di predicazione e di manifestazione della sua potenza taumaturgica.

Si avvicina a lui un centurione.  È un romano, è il nemico, rappresenta quindi la forza occupante, è lo straniero che invade la Terra Promessa, rendendola impura. È un militare, usa la forza repressiva contro ogni reazione di nazionalismo e tentativo di svincolarsi dal controllo di Roma ed è avvezzo agli ordini da eseguire e da impartire. È un pagano, lontano dalla Torah, uno straniero da schiavizzare al lavoro nei campi e di accudimento del bestiame (Cfr. Is 61,5-6).

Avvicinandosi a Gesù il centurione potrebbe usare la solita arroganza romana o la spavalderia del disprezzo verso gli ebrei, invece ha un atteggiamento del tutto insolito per un romano. Non dimentichiamo che l’autore di questo racconto è Matteo, particolarmente attento a sottolineare il rifiuto di Israele nei confronti di Gesù come Salvatore e di contro, il riconoscimento dell’incarnazione di Dio in lui da parte dei lontani. Lo stesso racconto iniziale dell’adorazione dei magi (Cfr. Mt 2,1-12) è emblematica.

 

Gesù presta tutta la sua attenzione al centurione, realizzando un insegnamento già impartito circa l’amore verso i nemici (Cfr. Mt 5,43-44), nei cui riguardi nessuna cultura coeva poteva accettarne i contenuti. Amare i nemici era un’assurda teoria, del tutto incomprensibile.

 

Il centurione si avvicina con aria umile, forse addirittura togliendo l’elmo e parla a Gesù del suo servo ammalato. Usa il termine pais che significa servo ma anche ragazzo e figlio, esprimendo quindi una relazione di affetto nei confronti del suo inserviente.  Questi è colpito da paralisi, la malattia ritenuta inguaribile e davanti alla quale nessun potere umano era in grado di sanarla. Era la malattia della disperazione come reale perdita di speranza di guarigione.

Gesù risponde con il verbo therapeuo, che significa curare e manifesta così l’intenzione di prendersi cura di lui, entrando nella casa di un romano, militare, pagano, impuro.

“Signore… non sono degno…” è la pronta risposta del militare. Con il vocativo kyrie egli esprime già una professione di fede, riconoscendo che Gesù è il Signore, mentre il “non sono degno” è il suo rispetto verso il codice di purità che impediva ai giudei di entrare nella casa di un pagano.

Il cuore suggestivo del racconto è nell’espressione che segue “dì soltanto una parola e il mio pais sarà guarito”. Per capirla a fondo occorre considerare il cuore del successo militare dell’esercito romano, costituito da una disciplina ferrea e soprattutto dalla pronta, totale ed incondizionata obbedienza. L’odine impartito andava eseguito immediatamente e totalmente, senza la minima obiezione e non c’era bisogno di verificarne l’esecuzione, era assurdo soltanto immaginare un ordine non eseguito. Con questa antropologia militare il centurione si rivolge e Gesù, con la certezza che il suo ordine sarebbe stato immediatamente eseguito e tornando a casa avrebbe senza alcun dubbio trovato il suo pais guarito.

 

È questo a causare la meraviglia di Gesù, il quale comprende l’orizzonte culturale in cui il centurione gli chiede “soltanto una parola” e condanna i figli del regno, i suoi connazionali, coloro che maggiormente dovrebbero avere quella fede. Li condanna alle tenebre, luogo oscuro dello sheol, l’assenza di ogni senso di vita; li condanna al pianto, immagine della disperazione e del rimorso; li condanna allo stridore di denti, immagine della rabbia (Cfr. Sal 37,12).

“Avvenga come hai creduto” è la risposta di Gesù. Il verbo episteuo è usato all’aoristo che in greco indica un’azione puntuale iniziata nel passato i cui effetti durano nel presente. La fede del centurione è quindi giunta a maturazione dopo un percorso iniziato in precedenza ed ora davanti al Figlio di Dio può esprimersi in pienezza.

Il servo è guarito immediatamente dalla potenza taumaturgica di Gesù, mossa dalla fede del centurione e dal suo amore verso il pais.

 

di Ferrario Fabio