Le nozze di Cana (Gv 2,1-11)

 

Nella teologia del Vangelo di Giovanni ogni miracolo è un “segno” come lo è ogni gesto compiuto da Gesù in quanto rivelatore al popolo della sua divinità incarnata, a fronte tuttavia del rifiuto della Sua gente che non lo accoglie (Gv 1,11).

 

L’Evangelista apre il racconto con una collocazione temporale,  intendendo con “terzo giorno” tre giorni dopo l’incontro con il Battista a Betania e la chiamata dei primi discepoli.

Gesù si incammina verso Cana di galilea dove sua madre, parente dello sposo, sta aspettando lui ed i suoi discepoli alla festa del matrimonio.

Solitamente i festeggiamenti duravano sette giorni e le scorte di vino, elemento fondamentale per l’allegria e la festa, era garantito dal dono di nozze offerto dagli amici agli sposi. Un amico fidato dello sposo faceva da cerimoniere, in particolare come arbiter bibendi, ruolo riconosciuto già nell’ambito civile. A lui spettava il delicato compito di garantire la qualità e la quantità necessaria di vino per l’intera durata dei festeggiamenti.

Gesù arriva al villaggio di Khirbet Qana, situato a 15 chilometri a Nord di Nazaret, accompagnato dai discepoli Andrea, Filippo, Pietro Giovanni e Natanaele, originario di Cana. La loro vita povera non permise di offrire doni in denaro e questa è una probabile causa dell’insufficienza di vino, fatto che avrebbe alterato il cuore stesso dei festeggiamenti.

 

Si inserisce a questo punto il dialogo tra Gesù e sua madre, la quale fa presente al Figlio l’imbarazzo del parente e del suo matrimonio senza vino. La risposta di Gesù appare acida ed offensiva, tuttavia con l’espressione “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4) Gesù intende da un lato tenersi libero dalla interferenze famigliari nei confronti dell’adempimento della sua missione ma dall’altro lato l’Evangelista intende richiamare con il termine “donna” un’altra figura femminile, determinante ai fini della salvezza, presentata dal libro dell’apocalisse, al capitolo 12. Qui la donna è colei che partorisce il Messia e questi è subito rapito in cielo e sottratto al potere satanico incarnato nel drago che nulla può contro il Messia. La figura femminile di Ap 12 è descritta sullo sfondo di Gen 3 che presenta la donna e la sua discendenza messianica capace di sconfiggere l’antico tentatore, calpestandogli simbolicamente la testa.

L’appellativo “donna” usato da Gesù è pertanto di elevatissima statura teologica, riconoscendo in sua madre l’incarnazione del sostegno divino alla lotta contro il maligno. Essa è la personalità corporativa già presente nell’Antico Testamento con il compito di rappresentare il popolo di Israele e definita come “figlia di Sion”. È l’immagine della Chiesa che accoglie il suo Signore e custodisce i suoi figli affidatigli ai piedi della croce nella personalità altrettanto corporativa dell’apostolo Giovanni con le parole di Gesù morente “donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26).

Gesù non poteva permettere a sua madre l’intromissione nel disegno del Padre a Lui affidato, tuttavia la diplomatica insistenza della madre che rivolgendosi ai servi dice “Qualsiasi cosa vi dica fatela” (Gv 2,5) convince Gesù a compiere il primo dei suoi segni. In questo modo rimane inalterata l’assoluta signoria di Gesù e con essa il ruolo secondario di Maria.

Il segno è compiuto sulla linea della sostituzione di Gesù al vecchio culto che attraversa tutto il documento giovanneo. Gesù è il nuovo tempio, la nuova offerta, la nuova acqua, la nuova luce, il nuovo pane, tutti elementi fondanti del culto giudaico. Ora Gesù si sostituisce all’acqua della purificazione dell’antico rituale nelle sei giare di pietra, contenenti l’abbondanza della grazia divina con il totale di circa 700 litri di vino. Gesù è la nuova purificazione che avviene con il “suo” vino, che nell’ultima cena diventerà il suo stesso sangue che lava da ogni colpa ed apre la via alla salvezza.

I discepoli stessi compiono un profondo cammino di fede da quando sono stati chiamati (Gv 1,37) e ricevono la promessa della sua gloria (Gv 1,50) che vedono ora realizzata con l’inizio dei segni. È quanto condensa il versetto finale “egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).

 

di Ferrario Fabio