ARCHEOLOGIA, STORIA E SINDONE

 

Di Pier Luigi Baima Bollone, Presidente onorario del Centro Internazionale di Sindonologia

 

La Sindone contiene le immagini di un crocifisso che non sono dipinte sul suo tessuto visto che mancano di contorni, di ogni traccia di pigmento visibile ad occhio nudo, di direzionalità del tratto come i com uni disegni e non sono neppure prodotte da una strinatura mediante una statua o un bassorilievo riscaldato perché non hanno le caratteristiche fisiche determinate dal danneggiamento delle azioni urenti. Anche recenti, suggestive e promettenti esperienze con luce laser, peraltro ancora alla fase iniziale della ricerca, sono riuscite ad agire soltanto su piccoli campioni di stoffa. Reperto autentico o contraffatto che sia, in ogni caso si tratta quindi di un originale irriproducibile con qualsiasi mezzo o sistema messo a disposizione dalla scienza moderna. Per tutte queste ragioni tutte le valutazioni scientifiche attuali sono orientate alla perentoria conferma della autenticità materiale così come d'altronde convergono a provare i risultati di oltre un secolo di ricerca specializzata. Tra questi vanno comprese numerose conferme archeologiche della ammissibilità di un lenzuolo funerario di crocifisso di epoca giudaica giunto fino a noi. Orbene, l'archeologia documenta che a Gerusalemme e dintorni i sepolcri dell'epoca finale del periodo detto del Secondo Tempio (538 a.C./70 d.C.), nei decenni di occupazione romana precedenti l'assedio e la distruzione della città da parte di Tito durante la prima guerra giudaica del 70 d.C. e negli anni immediatamente successivi, sono scavati nel tenero calcare della regione accentrati in alcune aree circoscritte e ben conosciute. Di solito sono tombe familiari che risultano essere state usate continuativamente per parecchie generazioni. Per lo più hanno un ingresso chiuso con un blocco rotondo di pietra, come quella di Gesù descritta dai Vangeli, oltre a un vestibolo che si apre su una o più camere sepolcrali nelle cui pareti sono scavati numerosi loculi. Il defunto è sistemato in uno di questi loculi, avvolto da un lenzuolo funerario. Qyi andrà inesorabilmente incontro alla distruzione delle parti m olli sino alla riduzione scheletrica. A colliquazione ultimata, le ossa saranno recuperare, unte con olio colorato e profumato e sistemate in una cassetta di calcare, tecnicamente detta ossuario, così da liberare ilioculo per collocarvi un nuovo cadavere.

L'esempio più noto è un gruppo di sepolcri di questo tipo che risalgono al periodo cosiddetto erodiano (ultimi decenni a.C) ma sono state utilizzate per tutto il l secolo d.C., scoperto nel 1968 a Giv'at ha-Mivtar, nei pressi di Gerusalemme, porta t o accidentalmente alla luce da un cantiere edilizio. Vengono ritrovati quindici ossuari contenenti le ossa di undici uomini, dodici donne e dodici bambini. Lo studio archeologico e antropologico prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la tomba e gli ossuari non solo provengono dall'epoca in cui Gesù predicò e fu ucciso, ma anche da un contesto simile a quello in cui egli visse. Risulta subito chiaro che un certo numero di soggetti non è deceduto per cause naturali: tre bimbi sono morti per fame e cinque a seguito di violenze, rispettivamente due per lesioni contusive, uno per perforazione cranica da parte di una freccia e due per carbonizzazione. Da ciò si deduce un tragico spaccato delle condizioni di vita dei giudei di Gerusalemme durante il periodo che va da Erode il Grande alla presa della città e la distruzione del Tempio da parte di Tito nel 70 d.C. Tutte le ossa presentano tracce di unzione rituale effettuata al momento della rimozione dei loculi e, perciò, a scheletrizzazione avvenuta, vale a dire a grande distanza dalla morte. In quelle dei soggetti deceduti per causa violenta l'operazione è stata eseguita con particolare attenzione, il che significa che, anche dopo anni, si conservava rispetto per il loro tragico destino. Uno degli ossari di Giv'at ha-Mivtar contiene le ossa di un adulto di ventiquattro-ventotto anni e di un bambino di tre-quattro in pessime condizioni di conservazione. Su una delle sei facce della scatola è scritto in aramaico «YHWHNNYHWHNN BN HGQy/b che parrebbe voler dire «Giovanni-Giovanni, figlio di Hgqwln. Le ossa dell'adulto, che dovrebbe chiamarsi Giovanni, mostrano un lungo chiodo che trapassa i calcagni, una scalfittura sul radio destro, la frattura molto frammentata della tibia e del perone di sinistra e la frattura obliqua della tibia destra. Alla prima valutazione si ritiene che la lesione del radio sia stata determinata dai movimenti dell'arto contro un chiodo infisso nello spazio interosseo e che quelle agli arti inferiori siano state provocate da un cruri.fragium. Si tratta, insomma, dello scheletro di un crocifisso, in realtà dell'unico crocifisso conosciuto, per giunta giudeo e solo di qualche anno posteriore a Gesù. Un'altra scoperta è avvenuta in anni più vicini. Tra il 2009 e il 2014 hanno fatto notizia i residui di tessuto funerario, di una sindone insomma, scavati in una tomba giudaica datata agli anni dell'occupazione romana di Gerusalemme, nell'area di Al<edalmà, che in aramaico significa «campo di sangue», luogo di memoria evangelica perché si tratta dell'appezzamento acquistato con i 30 denari pagati a Giuda Iscariota per il tradimento di Gesù e da questi restituiti ai sacerdoti dopo il proprio pentimento. Matteo (Mt 27,3-7) riferisce: «Allora Giuda -colui che lo tradì -vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d'argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: "Ho peccato, perché ho tra di to  sangue innocente". Ma quelli dissero: "A noi che importa? Pensaci tu". Egli allora, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: "Non è lecito metterle nel tesoro perché sono prezzo di sangue". Tenuto consiglio, comprarono con esse il "Campo del vasaio" per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo si chiama Campo di sangue fino al giorno d'oggi». Negli Atti degli Apostoli (At 1,18-19) si leggono le seguenti altre notizie: «Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è diventata nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Al<edalmà, cioè "Campo del sangue". Le due tradizioni non sono irriducibili. Con il prezzo del tradimento, che ripugna persino ai sacerdoti, questi o Giuda direttamente acquistano un terreno alla base o ai piedi di uno scoscendimento del terreno dove Iscariota può impiccarsi, o precipitarsi magari dopo o a seguito di impiccamento. Il toponimo del luogo ricorda la sua origine e venne utilizzato per la sepoltura degli stranieri. Al<edalmà è un'area argillosa alla confluenza delle valli del Cedrone di Ben Hi  nnom e contiene una ricca concentrazione di tombe scavate nella roccia risalenti al periodo finale del Secondo Tempio, tra il 470 a.C e il 70 d.C., molte delle quali all'epoca dell'occupazione romana. Nel novembre del1998 fu esaminato un complesso tombale che era stato in precedenza saccheggiato da cercatori clandestini che però avevano risparmiato un loculo intatto. Si trattava della sepoltura primaria ancora sigillata di un soggetto deceduto tra il 95 a.C. e il 53 d.C. I resti appartenevano a un maschio lebbroso e tubercoloso senza rapporti di parentela con i resti che si trovavano in alcuni ossuari ancora nella tomba. Le malattie di questo personaggio possono spiegare perché non si era proceduto, a putrefazione avvenuta, alla ricomposizione secondaria delle ossa. Sul cranio dellebbroso, ricoperto di capelli corti e neri ben curati, aderiva un rammento di tessuto di lana delle dimensioni di cm 16 x16. L'analisi della sepoltura e dei caratteri del frammento di tessuto ha indotto OrifShamir, curatore dei materiali organici della lsrael Antiquity Autority in un convegno tenutosi a Bari nel settembre del2014, a mettere in evidenza le differenze tra questo e altri campioni di tessuto sepolcrale di epoca romana rinvenuti in Israele, ma anche altrove come in Nubia, con il tessuto della Sindone. O!!ella che enfaticamente è stata definita come «Sindone di Akedalmà» è in lana anziché in lino: si tratta di un tessuto a tela, e la torci tura dei fili con cui è intessuta è antioraria, per cui secondo la sua valutazione si tratterebbe di una produzione straniera, di verosimile origine occidentale in stridente contrasto con il fatto che gli altri tessuti sepolcrali da lui citati sono tutti materiali già usati e di reimpiego. Poiché sappiamo dai vangeli - che lo notano proprio per l'eccezionalità del fatto-che quella del sepolcro era una produzione tessile di lino e di gran pregio, le osservazioni di Shamir si riflettono in una credibilità della Sindone. Si aggiunga che l'esperienza degli studi sui reperti della tomba di Akedalmà e sugli altri campioni tessili da varie località citate da Shamir conferma che l'esistenza di una sindone richiede che il cadavere che vi era contenuto sia stato rimosso in brevissimo tempo, prima dell'inizio dei fenomeni putrefattivi o che si siano verificate altre circostanze eccezionali. La Sindone di Torino è pressoché completa in tutta la sua estensione originaria e contiene le impronte di un cadavere, ma questo non stupisce certo perché conosciamo alcuni altri anche se rarissimi reperti di questo genere da Antinoopolis, altre località antiche ma anche esempi moderni come nella sepoltura del santo monaco maronita YoussefMaklouf delmonastero di Saint-Maroun-d'Annaya in Libano e di un paziente caraibico deceduto per cancro del pancreas in Inghilterra in un ospizio di Thorton nel Lancashire nel1981. Dal punto di vista dell'archeologia tessile la Sindone mostra una tessitura «a spina di pesce» che ha corrispondenza addirittura con reperti preistorici, dalla stazione neolitica di Robenhausen sul lago Pfaffikon vicino a Zurigo, e poi ancora nell'Antiquarium di Pompei, nelle tombe gallo-romane di Martres-de-Veyne, presso Clermont-Ferrand, in quelle di Schillerplatz a Magonza, e in Cina all'epoca della dinastia Han. Dal1971 al1974l'Università giapponese di Kokushikn, durante campagne di scavo ad al-Tar in Iraq, a un'ottantina di chilometri da Babilonia, reperta 1.500 campioni di tessuto. Ne analizza 120: otto di questi in lana hanno struttura a spina di pesce. L'analisi al carbonio radioattivo li colloca al140 a.C. con uno scarto di un centinaio di anni. Nel Museo Archeologico di Bolzano sono conservati due gambali da montanaro rinvenuti nel 1994 a Vedretta di Ries in Trentina-Alto Adige. Risalgono all'Età del Ferro, tra l'VIII e il V secolo a.C. Qgesti reperti provano che la tecnica della tessitura a spina di pesce è precedente all'era cristiana e ubiqui taria in tutte le aree preistoriche, protostoriche e storiche, così che l'accettabilità tecnica del tipo di tessitura della Sindone è fuori discussione. Pochi dei precedenti conosciuti sono però di lino. L'unico altro di questa fibra vegetale con tessitura spigata simile alla Sindone, ma molto più semplice, è la tela di un dipinto attribuito al pittore fiammingo Maerten de Vas (1531-1603) che rappresenta l'Ultima Cena e che risale alla seconda metà del XVI secolo. Sono note antiche produzioni tessili di dimensioni perfino di molto su perio ri a quelle della Sindone. La realtà è che nell'antichità esistevano telai di grandi dimensioni. Nella fortezza giudaica di Masada sul Mar Morto, dove nessuno era più salito dopo la conquista romana del 74 d.C., è stato ritrovato un telaio della lunghezza di cm310,e numerosi campioni di lino. Si pensa che le pezze tessute da telai di questo tipo venissero tagliate in tre stiscie di circa un metro e in una quarta di dieci centimetri. La striscia da un metro con la cimosa poteva essere unita con la striscia minore pure essa con cimosa dell'altro lato, attenendosi così un manufatto più resistente di particolare valore: in effetti la Sindone presenta una cimosa in corrispondenza di entrambi i lati lunghi e una cucitura continua a una decina di centimetri da uno di questi. Si tratta di una cucitura in continuo caratteristica detta «a falso orlo>> riferibile a un particolare tipo di artigianato tessile di cui è conosciuto un unico altro esemplare in un frammento di tela rinvenuto anch'esso proprio a a Masada. Qyanto alla provenienza geografica, anche se il sostantivo «sindone» pare riferirsi alla valle dell'Indo almeno come modello tessile, in epoca storica il lino veniva coltivato in grande quantità nella valle del Giordano.

A differenza della grande maggioranza degli antichi reperti tessili tessuti con filati di lino in senso antiorario, tecnicamente a «S», numerosi campioni in Medio Oriente e anche in Giudea mostrano fili ritorti in senso orario, e quindi a «Z» e a questa categoria appartiene la Sindone. A questi reperti si aggiunge una conferma numismatica di significato perentorio. Le prime rappresentazioni di Cristo come noto sono immagini simboliche che compaiono come incisioni su lapidi o pitture nelle catacombe. Dalla fine del secondo secolo viene utilizzato un vasto repertorio tra cui l'ancora, la croce, la colomba e il pesce, che ha un particolare significato. Infatti in greco pesce è txeuç, acronimo che sta per Gesù Cristo figlio di Dio. Presto compaiono raffigurazioni più complesse derivate dall'arte pagana come il fanciullo ricciuto, il giovane pastore con l'agnello o il solo agnello che assumono un valore spirituale. Nel 691-692 si tiene a Costantinopoli un Concilio della Chiesa fortemente voluto dal giovane imperatore bizantino Giustiniano II ( 685-695 ), conosciuto come Trullano perché si tiene nella sala a cupola del Palazzo Imperiale o sala del Trullo, o anche Qyinisesto, che si pone tra il quinto e sesto Concilio Ecumenico. Il canone 82 del Concilio Trullano dispone un netto distacco con l'arte paganegginte fino ad allora in auge. Per la prima volta viene emanata la direttiva che Gesù Cristo debba essere rappresentato in forma e sembianze umane, e non con simboli e allegorie come fino ad allora, af-. finché si awerta la profondità dell'umiliazione del Dio incarnato e se ne ricordi la vita terrena, la passione, la morte al fine della redenzione del mondo. Da questo momento l'arte paganeggiante viene lasciata alle spalle. Dietro i principi spirituali proclamati dal canone 82 si cela indubbiamente la volontà politica di propagandare l'idea della diretta discendenza del potere imperiale da quello divino e di qui la sua legi ttimazione alla gestione dello Stato. In ossequio a tali disposizioni conciliari Giustiniano II fa rappresentare per la prima volta con impressionante realismo il busto di Gesù sia sul solido, che è la moneta d'oro corrente in tutto l'impero, sia sul semisse e sul tremisse, che sono rispettivamente la metà e la terza parte del solido, nonché su alcune monete d'argento. Su queste monete viene rappresentata un'immagine con tutte le caratteristiche del volto della Sindone. Le proporzioni non solo sono conservate ma corrispondono esattamente a quelle del volto sindonico. Si vedono lunghi capelli dietro la spalla destra e davanti alla sinistra, con un ciuffetto in mezzo alla fronte e la barba divisa in due punte. Inoltre la mano di Gesù mostra in mal ti coni sol tanto quattro dita lunghe, proprio come sulla Sindone. La letteratura specializzata sulla Sindone è andata molto avanti nella ricerca della somiglianza tra i due volti. Con tecniche sofisticate di sovrapposizione in luce polarizzata sono stati incredibilmente identificati oltre cento punti di congruità ed è stata ribadita l'esistenza di un grandissimo numero di punti di somiglianza. Le scritte su queste monete, in termine tecnico le legende, intorno al volto di Gesù recanoCristus rexRegnantium, Cristo Re dei Re e sul rovescio dove è raffigurato Giustiniano, Servus Christi., Servo di Cristo. Inoltre Giustiniano indossa la lora, una lunga tunica impreziosita ai bordi da inserti di oreficeria, che era stato l'abito ufficiale dei consoli romani e che l'imperatore indossava soltanto per i riti di Pasqua. Tutto questo conferma l'interpretazione che con la rappresentazione del volto di Cristo della Sindone l'imperatore voglia presentarsi come regnante voluto da Dio. Qyanto poi al fatto che le monete di Giustiniano II del secondo regno (705-711) rappresentino un diverso volto di Gesù giovanile e imberbe, costituisce solo il momentaneo emergere di una diversa tradizione iconografica. Infatti le caratteristiche morfologiche e biometriche del sacro volto che compaiono sulle monete degli imperatori successivi, quando i tempi lo consentiranno, riprendono il volto della Sindone e non quello giovanile. Dopo la morte dell'ultimo grande iconoclasta Teofilo (842), sale al trono Michele III (842-867) con la reggenza della madre Teodora, vedova di Teofilo, che pone fine alla lotta contro le immagini. La zecca di Costantinopoli riprende a coniare un solido d'oro che al diritto reca il volto di Gesù con le caratteristiche di quello della Sindone e al rovescio Michele con la madre, e poi un solido e un semisse con il busto di Cristo e al rovescio i l giovane imperatore, Basilio I il Ma cedo ne, augusto dall'867 all'886. Gli imperatori ancora successivi rappresentano Cristo in trono con il piede destro più piccolo e in posizione viziata. Si tratta del riscontro visivo del contenuto di una leggenda che vuole Gesù zoppo. Essa però non ha alcun precedente nei testi, nei documenti o nel le rappresentazioni. L'unico confronto utilizzabile ma persuasivo è quello con l'asimmetria degli arti inferiori che si osserva sulla Sindone ave la rigidità cadaverica li ha fissati nell'assetto che avevano assunto durante l'inchiodamento in croce. In sintesi, oggi non è più soltanto verosimile ma veramente attendibile che alla fine del VI secolo si sia preso come modello per diffondere e pubblicizzare il volto di Cristo quello della Sindone che consentiva di presentarlo con precisi caratteri di identità. Qyanto alla storia della Sindone prima di allora abbiamo elementi di natura congetturale. Esistono infatti numerose leggende sulle vicende della Sindone nei secoli precedenti e in particolare la tradizione nota come Dottrina di AddaL incentrate su di un favoloso ritratto di Cristo, miracoloso o meno, in qualche modo passato da Gerusalemme a Ed essa in Mesopotamia, l'attuale città turca di Urfa. Nel recente Congresso <<L'immagine di Cristo. Provenienza e origine in Oriente e Occidente» tenutosi a Wurzburg dal 16 al 18 ottobre 2014, è stata affrontata la questione se ci siano indizi documentali concreti di un effettivo passaggio della Sindone da Gerusalemme a questa città. Si è considerata plausubile la supposizione che i teli dal sepolcro siano stati conservati nella cerchia di persone che erano state attorno a Gesù ed è stato rilevato che in un testo non canonico dell'apostolo Giacomo si afferma che egli fu in contatto con un missionario di Ed essa a nome Adda i. Si va più sul concreto nei secoli successivi. Numerosi documenti bizantini provano che l'immagine coservata ad Edessa, detta Mandylion, sarebbe stata in realtà una lunga produzione tessi le ripiegata su se stessa i n maniera da mostrare soltanto il volto.

Si comprende facilmente l'interesse degli imperatori di Bisanzio a ottenere il Manqylion, che la tradizione religiosa e popolare ritenevano essere l'unica vera effigie del volto di Gesù. Essa i n fatti avrebbe fornito la più grande prova del riconoscimento divino del loro potere. Per questo Romano I Lecapeno (920-944), eseguita un'accurata indagine per accertare se le notizie sul sacro oggetto corrispondessero alla realtà, esercì ta pesanti pressioni poli ti che perché gli venga consegnata questa immagine. Poiché non la ottiene, ordina a Giovanni Cur

cas, il suo miglior generale, di impadronirsene con la forza. Ed essa si vede costretta a cedere e si arrende subito. A quanto risulta, le autorità islamiche ottengono in cambio del Manqylion, la liberazione di 200 prigionieri arabi e una somma di 12.000 <<argentei». Il trasferimento della sacra immagine a Costantinopoli awiene con grande pompa. 1115 agosto 944 giunge alle porte della capitale nel tripudio generale. Trova in attesa la famiglia imperiale, la corte e una gran folla che festeggia l'Assunta. Segue il solenne trasporto a un santuario dedicato alla Madonna. L'indomani, 16 agosto, si svolge una solenne processione. Manca l'imperatore Romano che si è ammalato ed è a letto, ma alla testa del corteo ci sono i suoi figli, il patriarca Teofilatto, il senato e il clero. Lungo tutto il percorso si odono musiche e canti, sfavillano luci e si brucia incenso. Il corteo entra in città attraverso la Porta d'Oro dove l'immagine viene mostrata alla folla. Dopo l'astensione la processione riprende, si snoda all'interno del palazzo imperiale e giunge alla chiesa della Theotokos detta del Pharos, dove il Mandylion viene definitivamente collocato. Qui è con servato fino al saccheggio della città da parte delle forze militari della IV crociata nel1294. La presenza di un oggetto identificabile come la Sindone a Costantinopoli a cavallo tra il primo e il secondo millennio trova riscontro in numerosi documenti. Alla fine del XIII secolo si avvicinano i giorni di questo saccheggio della città da parte dei latini della IV crociata. L'armata si organizza e parte da Venezia. Sensibile alle pressioni della Serenissima, invece di seguire il proprio obiettivo, che è il centro del potere arabo in Egitto, dapprima riconquista Zara e poi si dirige a Costantinopoli che viene stretta d'assedio. I crociati si impadroniscono della città una prima volta il 17 luglio 1203 e una seconda il 12 aprile 1204, quando compiono il saccheggio sistematico di ogni bene. Tra l'uno e l'altro attacco i crociati sono acquartierati a Galata, sulla sponda opposta del Corno d'Oro ma viene loro concesso di entrare in città quando sono in libera uscita. Tra i cavalieri francesi c'è Robert de Cl ari che proviene dalla Piccardia. È un facilone che non ha fatto fortuna. Ci lascia tuttavia un'opera che ha per titolo: L'histoire de ceux qui conquirent Constantinople e cioè: La storia di coloro che conquistarono Costantinopoli. È un racconto degli episodi della crociata e contiene una pittoresca descrizione della città, con i suoi palazzi, le sue chiese, i tesori e gli oggetti sacri che Robert ha visto da vicino. Ricorda anche le reliquie della passione e al termine del racconto scrive: <<C'è un altro monastero chiamato Santa Maria delle Blacherne, dove stava la Sindone in cui fu awolto nostro Signore che ogni venerdì si alzava tutto dritto, così che se ne poteva vedere bene la figura ... » aggiungendo che <<nessuno, greco o francese che fosse, venne mai a sapere cosa accade di questa Sindone,quando la città fu presa».

Le notizie di Robert de Clari corrispondono al fatto che da un paio di secoli la residenza imperiale è stata trasferita dall'altra parte della città, dalle sponde del Mar di Marmara alla punta del Corno d'Oro. Da esse si desume che tra l'estate del1203 e la primavera successiva nella chiesa delle Blacherne aweniva regolarmente l'astensione settimanale di un Len

zuolo che mostrava non solo il volto, ma l'immagine dell'intero corpo di Gesù che veniva sollevato. Il luogo forse non è sospetto come si credeva fino a pochi anni addietro. Va considerato infatti che nella chiesa delle Blacherne ogni venerdì aweniva una sorta di prodigio artificiale. Un certo tela, che nascondeva in parte un'icona della Vergine e del Bambino, si sollevava spontaneamente scoprendola tutta. Non c'è più notizia di tale rito dopo gli inizi del 1200e l'esposizione settimanale di una Sindone sembrerebbe uno stratagemma per appagare le attese dei fedeli. Numerosi sigilli bizantini dell'epoca contengono l'immagine della Theotokos che mostra il bambino e talora il volto del Redentore. Con tutto ciò l'unica realtà certa è che con il saccheggio di Costantinopoli il Lenzuolo sparisce senza lasciare traccia. L'orientamento di non pochi studiosi è quello di identificare effettivamente la Sindone con il Mandytion e di proporre numerose possibilità di connessione per spiegarne il passaggio da Costantinopoli in Europa, dove certamente compare nel1353 a Lirey, nella regione francese Champagne. Non deve meravigliare il fatto che quasi tutte

le ipotesi avanzate ruotino attorno a un gruppo di famiglie della migliore nobiltà francese e dei loro feudi perché erano esse che avevano in mano la gestione di imprese commerciali e militari verso l'est del Mediterraneo e l'Impero Latino di Costantinopoli, anche detto Impero Latino d'Oriente, che fu il risultato della IV crociata e della presa di Costantinopoli nel1204, per rimanere in vita sino al1261, anno della riconquista bizantina. Il concilio ecclesiastico di Troyes del1128 che sancice il riconoscimento ufficiale dell'Ordine Templare da parte della Chiesa e impone loro la regola di Bernardo da Chiaravalle (1091-1153) si svolge in Champagne, vale a dire negli stessi luoghi dove nasce il primo romanzo scritto da Chrétien de Troyes (11351190) in cui si parla del Graal e che dà origine all'intero genere letterario delle Chanson des gestes, il ciclo epico-cavalleresco medievale, e da dove proviene Hugues de Payns, fondatore e primo gran maestro templare. Nel capitolo del 24 luglio 1307 a fronte dell'incombente e palpa bile pericolo di tempi così agitati si decide di trasferire la Sindone nella Champagne ave si poteva contare proprio su questa rete di parentele con la nobiltà e gli amministratori della regione.

L'ipotesi che la Sindone sia venuta in qualche modo nelle mani dei Templari che l'hanno coservata e adorata fino allo scioglimento (nel1312) dell'ordine che ha dominato per un quarto di secolo, non è più tenuta in particolare conto. Sappiamo comunque con certezza che la Sindone, quella che oggi si conserva a Torino, compare nel 1353 a Lirey nella diocesi de Troyes nelle mani di Geoffroyde Charny(1305-1356), fedelissimo del proprio re Giovanni il buono, riconosciuta autorità in fatto di questioni cavalleresche, autore di un fortunato poema su questo argomento, deceduto eroicamente alla battaglia di Poi tiers del19 settembre 1356 alla quale partecipa come portatore dell'orifiamma, l'insegna del re al quale fa scudo con il proprio corpo. Alcuni documenti degli anni che vanno dal 1343 al 1356 indicano che Geoffroy de Charny fonda una chiesa nel proprio feudo a Lirey, nella diocesi di Troyes a soli 20 chilometri da questa città e le assegna una collegiata di sei canonici.

La Sindone verrà esposta nella chiesa di Lirey con grande richiamo di folla. Resterà nelle mani dei discendenti Charny fino a Margherita, l'ultima della casata, che, dopo circa un secolo, nel 1453-1454 viene a trovarsi a Ginevra. È allora documentata l'ulteriore trasmissione al duca Ludovico di Savoia a titolo verosimilmente oneroso, l'ininterrotto passaggio per linea ereditaria ai suoi discendenti che prendono a indicarla come validazione divina della propria legittimità al trono e a ostenderla pubblicamente in occasione delle nozze dei primogeniti. La Sindone segue le tormentate vicende della famiglia Savoia e viene riposta nella Cappella appositamente costruita all'interno del palazzo ducale di Chambéry. La notte di Santa Barbara del 1532 un incendio dell'edificio le arreca gravi danni richiedendo riparazioni che saranno eseguite dalle suore Clarisse della città che applicano il lenzuolo su di una tela di supporto e occultano i danni con numerose toppe. Nel1578 il Duca Emanuele Filiberto, che da alcuni anni ha trasferito la capitale del ducato a Torino, vi fa trasportare la Sindone con il pretesto di voler abbreviare il percorso che san Carlo Borromeo compie a piedi da Milano per venerarla in ringraziamento votivo per la fine della peste in Lombardia. Da allora la Sindone sarà sempre a Torino tranne che per due momentanei allontanamenti precauzionali all'epoca dell'assedio del 1706 e del secondo conflitto mondiale. Resta in possesso dei Savoia fino a Umberto II, quarto e ultimo re d'Italia, che alla propria morte avvenuta nel 1983la lascia in eredità al Pontefice. Da allora la Sindone è gestita dalla Chiesa che ne ha curato le astensioni pubbliche del1998, 2000 e 2010, l'astensione televisiva in mondovisione di Sabato Santo 30 marzo 2013 con un messaggio di papa Francesco, curato gli accorgimenti indispensabili per la conservazione ottimale e il restauro conservativo del 2002 che l'ha liberata dalle toppe e sostituito la tela di supporto. L'esegesi più recente ha dimostrato che non esiste alcuna discrepanza tra i dati che emergono dallo studio del Nuovo Testamento e quelli dalla Sindone, che si presenta oggi come documento iconografico della Passione e Crocifissione di Gesù come messo in particolare rilievo dalla traduzione ufficiale della CEI del 2008. La Sindone <<è un telo sepolcrale che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio ... Da quel momento Gesù rimase nel sepolcro fino all'alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l'immagine di com'era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo) ...