IL GIUSTO SOFFERENTE GLORIFICATO


Di Giorgio Zevini Biblista e docente- Università Pontificia Salesiana di Roma

 

I l mistero della sofferenza umana e la proclamazione della Risurrezione in Cristo trovano il loro punto di incontro quando si considera il rapporto che esiste tra la croce e la Risurrezione di Gesù. Il credente di ogni tempo, infatti, ha visto il culmine dello scandalo della sofferenza nel legno insanguinato del Golgota e con forza drammatica si è posto domande inquietanti: perché Dio non ha liberato Gesù dal supplizio della croce? Perché lo ha fatto morire come un malfattore? Perché ha permesso che il Figlio <<giusto» sperimentasse la sfida del dolore? Perché è intervenuto solo dopo la sua morte con l'evento della Risurrezione? Simili interrogativi si possono porre anche oggi circa il dramma del soffrire dell'uomo. A queste e ad altre domande i testi del Nuovo Testamento, specie i vangeli, hanno dato delle risposte che raggiungono un vertice nel quarto vangelo. Giovanni, infatti, ha colto e penetrato con maggiore chiarezza, la profonda unità esistente tra la croce e la gloria, tra il Cristo crocifisso e il Cristo glorificato (cf. Gv 20,20.27-29). Il Padre, nella vicenda terrena di Cristo, il Giusto sofferente, parla all'uomo e interviene, in crescendo, con il progressivo i tinerario umano e spiri tua le di Gesù di Nazaret, svelando che la Risurrezione e la gloria sono già nella sofferenza e nella croce.

 

 

La sofferenza umana è scandalo o mistero?

 

Spesso oggi, anche tra i credenti, si parla della sofferenza dell'uomo come problema da affrontare e risolvere con ragionamenti umani. Fondamentalmente la sofferenza non è un problema, bensì uno <<scandalo». Gesù stesso nella sua esistenza ha sentito e vissuto fino in fondo la realtà scandalosa della sofferenza, ne ha provato l'orrore, l'ingiustizia e l'inaccettabilità. Egli ha espresso tutto questo nel grido rivolto al Padre sulla croce: c<.Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). La sofferenza, in realtà, non è solo scandalo: per il cristiano essa è soprattutto <<mistero» che avvolge la vita secondo tre profili di interpretazione: come realtà che supera la mente umana e ogni tentativo di spiegazione esauriente della ragione; come realtà che abbraccia tutto l'essere dell'uomo nelle sue più profonde dimensioni esistenziali e lo impegna a prendere posizione; infine, come realtà che l'uomo deve decifrare nelle sue sfaccettature molteplici. Tale mistero, però, colto nella sua dimensione salvifico-cristi~na, vede coinvolto a un tempo Dio e l'uomo. E solo nella prospettiva del mistero pasquale di morte e di Risurrezione del Cristo che si trova una risposta al problema esistenziale del dolore umano. Sappiamo, in fatti, che la vita non è mai senza sofferenza e senza croce, perché la purificazione, la crescita e la conquista della vera libertà comportano dei distacchi dolorosi e di morte. Il cristiano, quindi, ha in sé una forza che lo sorregge nel suo cammino di vita, ed essa risiede non nella sofferenza stessa, ma nella logica di fede alimentata dallo Spirito che sgorga dal costato di Cristo (c( Gv 7,38; 19,34). È la persona di Gesù con la sua parola e la sua opera, come attestano i vangeli, che legittima la ricerca costante del senso vero della sofferenza umana e della croce. Gesù di Nazareth rappresenta, dunque, la massima rivelazione dell'uomo a se stesso e, di conseguenza, l'unica risposta al mistero della sua sofferenza (GS 22).

 

 

Due modi di affrontare la sofferenza di Cristo e dell'uomo

 

Per i vangeli sinottici, la storia umana di Gesù è illuminata dal senso dello Spirito (c( Mc 1,12) ed essa trova il culmine nella sua passione e nella sua morte. Dio parla al Giusto sofferente in un modo del tutto singolare, che noi chiamiamo il <<silenzio di Dio». Tale suo agire è così misterioso e straordinario da sfuggire ad ogni logica umana. È qui, allora, che l'uomo compenetrandosi di tale misterioso silenzio giudica più naturale e ragionevole seguire la strada della sofferenza che è l'immagine di Cristo redentore. A questo punto, però, è facile comprendere che un simile approccio al mistero di Cristo ci presenta un Dio povero, un Dio lontano dal suo vero volto divino. Non rimane, allora, altro da pensare che l'agire di Dio, che ritenevamo l'unico possibile, dischiude e contiene un altro orizzonte che coincide con il mistero del suo Figlio, una via che ci supera e ha caratteri diversi da quelli che l'uomo si attende. Tale progetto non è come il precedente che prescinde dalla collaborazione dell'uomo, ma al contrario esige la sua libera partecipazione e porta l'uomo ad agire, quale figlio, alla maniera di Dio. Esistono così due modi per superare la sofferenza dell'uomo: il primo segue l'istinto della sua natura mediante la soddisfazione dei suoi desideri; il secondo segue la logica divina che non guarda al tra n si torio, ma punta al cambiamento del cuore e al risultato vincente e finale. La logica che seguono i vangeli è la seconda. Lo Spirito di Dio è intervenuto sul Cristo sostenendo lo nella sua rinuncia alle passioni urnane e nella sua sofferenza come Salvatore. E Gesù ha accettato, senza condizioni, la volontà del Padre e vi ha obbedito sempre: <<Bisogna che il mondo riconosca che io amo il Padre e che opero come il Padre mi ha ordinato)) ( Gv 14,31 ; c( Mc 14,36;Mt26,39; Le 22,42). Per tale motivo Dio ha riempito il Figlio del suo amore. Gli ha fatto vivere tutti i momenti della sua vita terrena, anche i più dolorosi, perché ciò che è umano fosse riscattato da lui integralmente. ()gesto stile di agire di Dio vale anche per la vita di ogni uomo: Dio propone un cammino di salvezza che cambia l'intimo del cuore umano, e questi, obbedendo, è in grado di trasformare la radice del male nella logica divina.

 

 

Gesù sofferente e glorioso nella passione

 

Entriamo ora nel vangelo di Giovanni. Nel racconto egli evidenzia che Gesù si pone di fronte al mondo nella sua impotenza, ma per la fede, anche nella sua gloria. Giovanni elabora la sua prospettiva teologica valorizzando proprio questo aspetto singolare. La passione di Gesù è la risposta del mondo al suo insegnamento di vita che si conclude da parte degli uomini con un netto rifiuto; ma è pure la smentita alla falsità del mondo che rifiuta Cristo, l'unico vero vincitore. Egli, il solitario con il Padre e il solidale con gli uomini, ha risposte solo di autentico amore. Per Giovanni il Cristo della passione è il Cristo sofferente, ma è soprattutto il Cristo già vincitore in cammino verso la gloria del Padre. Affrontando questa tematica è utile riflettere su Gesù sofferente e glorioso nella passione prima evidenziando l'ambientazione e le tematiche fondamentali, poi presentando alcune scene significative del suo dramma finale. Giovanni con il racconto della passione ci pone davanti un testo più da contemplare che da narrare. Per il credente i capitoli 18-19 sono una grande visione unitaria e contemplativa, fatta di ascolto silenzioso e di preghiera adorante, da rivivere nella fede e nell'amore.

 


Ambientazione e tematiche fondamentali della passione

 

Per comprendere il racconto è necessario conoscere la chiave di lettura del testo che si muove su due livelli: quello della storia e quello della fede. Giovanni senza tradire il dato storico, anzi partendo da questo, ricompone i singoli fatti leggendoli nella fede alla luce del profon
do mistero che essi racchiudono. Se il mondo giudaico, infatti, condanna definitivamente il Messia, in realtà, è esso che viene sconfitto ed è il Cristo che lo giudica. Se la passione è il momento dell'umiliazione e della debolezza di Gesù, in realtà è qui che inizia il suo trionfo mediante la glorificazione del Padre. Il quarto evangelista nella narrazione della passione si riallaccia molto ai Sinottici, anche se si distingue da essi per alcuni tratti redazionali propri. Egli si rifa alla tradizione, ma elabora i dati in modo personale e originale e con una profondità teologica di sommo valore. Dall'insieme dei diversi episodi, a cui accennerò, alcuni temi teologici raggiungono il loro compimento. l temi principali che emergono sono: l'ora di Gesù, il giudizio, l'unità con i discepoli, il servizio, la sua glorificazione e la sua regalità. Il tema della regalità è certamente il principale e diventa il cardine attorno al quale si svolge l'intero processo che si concluderà con la crocifissione e la morte del Figlio di Dio. Il racconto, infatti, più che <<Compassione)) degli eventi finali di Gesù è <<Contemplazione)), e quindi, leggendo il testo, si è davanti a una comprensione teologico-spirituale della passione. Mi pare commento migliore per comprendere la visione teologico-contemplativa di Giovanni ricorrere alle parole di Mollat: <<Due parole testimoniano questo sguardo contemplativo posato su Gesù sofferente, l'una all'inizio, l'altra alla fine del racconto. Alla vigilia della passione, alcuni Greci, saliti a Gerusalemme per la Pasqua, chiedono di vedere Gesù. La richiesta viene trasmessa da Filipp? e Andrea e non è respinta. Gesù risponde: "E venuta l'ora nella quale deve essere glorificato il Figlio dell'Uomo" (12,23). Qgegli uomini arrivano giusto in tempo per vederlo nella sua gloria: egli si manifesterà pochi giorni dopo sulla croce. Alla fine della passione, Gesù è morto e un soldato gli trafigge il costato. L'evangelista precisa: "E chi vide lo attesta" ( 19,35 ). Egli ha visto il colpo di lancia dato dal soldato romano; ha visto aprirsi la piaga nel petto del Maestro e ne ha visto scaturire l'acqua e il sangue. Ha contemplato la ferita aperta; ha visto il segno di Dio, da cui è stata illuminata la sua fede; ne dà testimonianza "affinché voi pure crediate" (19,35). Con il profeta egli vede già lo sguardo degli uomini alzarsi verso il Crocifisso del Golgota: "Volgeranno gli occhi a colui che hanno trojì.tto" (19,37; Zc 12,10))).

 

Fatta questa ambientazione generale al tema della passione, entriamo nella narrazione per cogliere il messaggio che l'evangelista Giovanni intende trasmetterei. Vediamo subito che il racconto della passione di Gesù in Giovanni è diverso dai tre sinottici. Qyesti hanno un aspetto più drammatico rispetto a quello di Giovanni che è più contemplativo. I vangeli sinottici descrivono gli aspetti derisori e umilianti delle sofferenze di Gesù nella passione, elementi che, invece, sono assenti quasi totalmente nel quarto vangelo. Giovanni, infatti, omette volutamente glielementi affiittivi per porre maggiormente in rilievo quelli glorificanti: la dignità di Gesù, il suo coraggio e la sua totale libertà con cui si consegna alla passione e, di conseguenza, la consapevolezza della sua regali tà divina. Commenta giustamente Loisy: <<La passione è raccontata da Giovanni dal punto di vista della gloria di Cristo: è Gesù che viene glorificato nella morte». Anche i termini utilizzati come <<re» e <<regno», citati 15 volte nel racconto della passione, evidenziano l'intenzione positiva del racconto giovanneo. L'evangelista non nega la storicità degli eventi finali della vita di Gesù, ma, a differenza dei sin ottici, si sofferma privilegiando l'aspetto di regalità, di trionfo, di vittoria sulle forze del male, di valore salvifico, elementi tutti presenti nella passione e nella morte subita da Gesù Cristo.

 

 

Alcune scene significative della passione
a. La scena dell'arresto al Getsemani In Giovanni la cattura di Gesù al Getsemani costituisce l'inizio della passione. Il testo offre molte affinità con i sinottici (c( Mc 14,26.32; Mt 26,30.36; Le 22,39.47). Elementi comuni con la tradizione sinottica sono il luogo, i personaggi, il gesto violento di Pietro e il rimprovero di Gesù. A questi si aggiungono però differenze e tratti caratteristici a livello letterario e dottrinale, che consentono al quarto evangelista di porre in luce aspetti simbolici e teologici del tutto originali. Vanno notate, anzitutto, alcune omissioni significative quali il racconto dell'agonia di Gesù, il bacio di Giuda e la fuga dei discepoli nel momento dell'arresto. Per Giovanni è Giuda che conduce nell'orto i nemici di Gesù (18,3 ), mentre per Marco il traditore è uno dei tanti, mandati dai capi per arrestare Gesù (Mc 14,43).
Giuda, il traditore, <<conosceva bene il luogo, perché Gesù spesso si ritirava là con i discepoli» (v. 2), e ne aveva informato i capi dei Giudei. Gesù però lo aveva preceduto nel luogo, quasi cercando il suo incontro. I nemici pensano a una possibile rivolta da parte dei seguaci del Maestro e organizzano uno spiegamento di forze con soldati e guardie; ma, in realtà, il Cristo è lì che attende coloro che congiurano contro di lui per una <<breve e folgorante teofania» (Mollat), che manifesti ancora il suo amore appassionato per ogni uomo. Con sottile ironia l'evangelista ci presenta Giuda che venne con lanterne e torce. Il traditore ha preferito le tenebre alla luce che è venuta nel mondo (3,19): ha lasciato Gesù-luce per entrare nella notte fonda (13,30). Allora Gesù <<si fece avanti e chiese: Chi cercate?» (v. 4). La ricerca del Maestro può essere ambigua: si può cercarlo per essere con lui o per contrastarlo. Giuda e i nemici lo cercano per catturarlo; i discepoli, invece, lo cercano per possederlo. I capi delle guardie e dei soldati cercano <<Gesù il Nazareno !» (vv. 5.7) temendo che sfugga. Egli, invece, liberamente e volontariamente si presenta e si offre loro da sé: <<lo Sono!». Egli manifesta la sua identità e si rivela nella piena coscienza del suo essere Dio con la ripetuta espressione: <<lo Sono!» (vv. 5.6.8), che non va intesa come semplice <<formula di identificazione», ma come <<formula di rivelazione», come avvenne con Mosè: <<lo sono colui che sono» (Es 3,6). Egli va incontro alla passione come Figlio obbediente nella comprensione del disegno di Dio, Le parole <<lo Sono» hanno una tale potenza che i nemici e le forze del male indietreggiano e cadono a terra, davanti alla manifestazione del nome di Dio (cf Gv 18,6; Es 3,6.14; 9,16): colui che viene cercato a morte, è in realtà colui che guida la storia e il destino umano. E sant'Agostino commenta: <<Si impadroniscono di colui al quale prima neppure avevano potuto avvicinarsi, Egli era il giorno, ed essi le tenebre, e tenebre rimasero perché non ascoltarono l'invito "avvicinatevi a lui e sarete illuminati". Se si fossero avvicinati a lui in questo modo, lo avrebbero preso non per ucciderlo, ma per accoglierlo nel loro cuore» (In Johannem 112,6: PL 35, 1932). L'episodio dell'arresto nel quarto vangelo mette in risalto un Gesù solo, all'apparenza sconfitto e catturato. I suoi nemici potranno prevalere su di lui, ma solo in apparenza e per un breve tempo. Essi contribuiranno in realtà al suo cammino di gloria verso la croce che illuminerà gli uomini e li <<gUiderà alla verità tutta intera» ( 16,13 ).
b. La scena del processo romano davanti a Pilato Gesù nel processo fatto dai Romani usa tre volte l'espressione <<il mio regno» (18,36) e insiste sulla natura della sua regalità. La sua regalità non ha nulla da condividere con quella del mondo, anche se si estende a esso. Non è poli tica perché egli non si serve della potenza e non fa uso della forza di un esercito per difenderla; non è di origine mondana perché egli non è di questo mondo, ma è venuto in esso per salvarlo e riportar! o al Padre. La sua regalità trova la sua origine dall'alto, è divina e universale. Non è opera umana ma è dono di Dio e si manifesta nell'amore fatto servizio alla verità e alla vita. Pilato ora ha capito che il Nazareno si considera re, ma non secondo la mentalità corrente, e allora gli chiede una palese conferma: <<Dunque tu sei re?» ( 18,37a ), a cui Gesù risponde: <<Tu lo dici: io sono re f Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce!» ( 18,37b ). L'affermazione di Gesù contiene una grandezza che Pilato non comprende pienamente. Sì, Gesù è re, ma egli presenta la sua regalità collegata alla verità. Egli è il testimone di un Dio-amore; egli è il rivelatore della verità che conduce al Padre; inaugura il regno messianico, per cui <da verità di cui parla - commenta Apollinare di Laodicea -è la manifestazione di se stesso agli uomini e la salvezza che dona loro per mezzo della conoscenza che essi hanno in lui». Gesù è venuto nel mondo per compiere la missione avuta dal Padre, cioè dare testimonianza alla verità. A questa prima spiegazione Gesù aggiunge subito in che senso egli diventa re. Egli è re di <<chiunque è dalla parte della verità», ossia di ogni uomo che ascolta la sua parola, attraverso una continua e sincera ricerca, la interiorizza e la vive. Nessun uomo può sfuggire alla regalità di Cristo perché nessuno sfugge alla sua verità.

 

Pilato non ha compreso nulla né della regalità, né della verità, ma soprattutto non ha compreso di avere davanti a sé colui che è la Verità in persona. Per comprendere la regalità di Gesù e per divenire suoi discepoli occorre aver scelto la verità e non la menzogna. Qyeste due possibilità contrapposte, verità e menzogna, che sono davanti ad ogni uomo, nel racconto del processo vengono incarnate dai due personaggi che si fronteggiano: cioè Gesù e Pilato. Da una parte il Signore che si consegna pienamente nelle mani della verità e non si sottrae neppure per salvare la vita; dall'altra Pilato che invece rappresenta un potere politico che serve la verità, ma non oltre un certo limite, costituito dalla sua incolumità. Un potere che ritiene di avere valori più importanti da salvare. L'amore alla verità è un valore assoluto non subordinato, che deve avere la precedenza su tutto. Così alla fine del processo fatto dai Romani, Pilato conduce Gesù di fronte alla folla e dice: <<Ecce homo» (ecco l'Uomo!) (19,5). Gesù indossa i simboli della regalità: la corona, il mantello di porpora. Pilato crede di aver appagato la folla, presentando l'imputato in uno stato pietoso. L'esclamazione: <<Ecco l'uomo!», una frase che egli pronuncia senza valutare tutta la sua portata, ha per lui un significato chiaro: è l'espressione della commiserazione per Gesù. Per l'evangelista, però, il significato è più profondo: Pilato, senza saperlo, presenta Gesù come il <<Figlio dell'Uomo», l'Unico Giusto innocente. Un titolo cristologico che è il riconoscimento della sua dignità regale e divina.
c. La scena della crocifissione e morte di Gesù Gesù si avvia al Calvario <<portando la croce per sé» (19,17), cioè come strumento della sua vittoria. San Tommaso d'Aquino aggiunge: <<Cristo portò per sé la croce, e per gli empi era un grande ludibrio, ma per i fedeli un grande mistero. Cristo porta la croce come un Re porta il suo scettro come segno della sua gloria, della sua sovranità universale su tutti». Lo spettacolo della croce è un dramma che sorprende perché racconta di uno <<sconfitto» che invece è un <<vittorioso». Sorprende perché si tratta di uno spettacolo in cui appare tutta la malvagità dell'uomo, ma nello stesso tempo a p pare tutta la profondità e la forza del perdono di Gesù. Lo spettacolo della croce è un dramma che converte.

 

Le folle accorrono, guardano, comprendono e si battono il petto. Lo spettacolo della croce capovolge la vita: si comprende che la strada della vita non può essere che il dono. Qgando la croce è issata tra cielo e terra, Giovanni sottolinea che il suo innalzamento è l'ascesa di Gesù alla gloria. La croce piantata sul Golgota è il trono dove Gesù domina attraendo a sé ogni uomo. Da questo momento essa non è più segno di maledizione e di ignominia, ma lo strumento del suo trionfo. La croce di Cristo è il simbolo della sconfitta dell'odio mediante l'amore, il simbolo della vittoria della vita sulla morte. L'evangelista con questa scena sottolinea che Gesù è re e che la sua regalità si esprime nella verità e nel paradosso della croce. L'episodio poi della Madre di Gesù e del discepolo amato ai piedi della croce costituisce la scena centrale del brano della crocifissione e morte di Gesù al Calvario (19,16b-37). Dopo il dono di Gesù, fatto dalla croce, e l'accoglienza di Maria nella fede da parte del discepolo, <<da quell'ora il discepolo l'accolse come sua (Madre))) (v. 27b ): cioè, da questo momento in poi, si apre per i credenti un futuro ecclesiale che coinvolge direttamente tutti, anche il lettore, in un atteggiamento di accoglienza di Maria, come propria Madre e <<Madre delle membra di Cristo, che siamo noi)) (Agostino, De virginitate, 6: PL 40, 399). Il cammino di fede del discepolo ha in Maria un modello ideale. È con la sua fede che essa diventa la nostra genitrice spirituale rendendoci figli nel Figlio, come bene si esprime Origene: <<Non c'è alcun figlio di Maria, se non Gesù ... Egli dice a sua madre: "Ecco il tuo figlio" (e non già: "Ecco, anche questo è tuo figlio"), ciò equivale a dire: "()gesti è Gesù che tu hai partorito". Infatti chiunque è perfetto "non vive più"; ma in lui "vive Cristo"; e poiché in lui vive Cristo, quando si parla di lui a Maria si dice: "Ecco il tuo figlio", cioè CristO>> ( Origene, In evangeL Joan I, 23: SCh 120, 71-73). L'evangelista, infine, racconta la morte di Gesù ponendo in vista che egli ha tutto compiuto, ha condotto a termine l'opera che gli fu affidata dal Padre, ha terminato la sua vita terrena e ha portato al vertice la rivelazione, dando compimento alle Scritture. Egli, appena morto, effonde sangue ed acqua (19,34), cioè la vita e lo Spirito, i sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia: doni che derivano dalla sua
morte e ne indicano per noi il significato salvi fi co. Giovanni conclude il racconto della crocifissione dicendo che tutti volgeranno lo sguardo a Cristo trafitto e che la morte è vinta dalla Risurrezione. La croce non va mai dimenticata; essa è la memoria perenne della fede, come la Risurrezione non deve far dimenticare al discepolo la croce.
Conclusione Al termine della lettura di queste scene qualificanti della passione il lettore è in grado di comprendere come l'evangelista riveli gradualmente l'immagine e l'agire di Dio nei riguardi del Figlio che va alla croce, e come la gloria di Gesù si riveli già nella sua sofferenza. Essa è quella di ogni uomo: chiama direttamente in causa Dio ed è l'immagine che l'uomo si fa di Dio. ()gesta immagine però è molto diversa da quella che gli uomini suppongono. Sul Golgota, infatti, nel volto di Cristo la faccia di Dio si è sfigurata apparentemente per trasfigurarsi in un esodo che lo ha rivelato in tutta la sua gloria. Nella passione di Cristo e sul Calvario non c'è stato nessun silenzio di Dio, ma un intervento così grande e misterioso da sfuggire completamente alle attese degli uomini. Dio per l'evangelista ha parlato sempre nel Figlio e vi parla tuttora; ma veniamo rimandati alla gloria della sua Risurrezione. È questa gloria che permette al credente durante la passione di intravedere nell'apparente e tragica assenza di Dio il momento culminante della sua azione salvatrice per l'umanità. È nella Risurrezione che si manifesta ciò che era annidato nella vita di sofferenza del Cristo. L'evangelista Giovanni ci insegna che la Risurrezione e la gloria di Gesù non vengono dopo la morte, ma ne sono la conseguenza come opera di Dio. È la croce il culmine della volontà di Dio che ha investito la vita di Gesù. Se questo è vero per la persona di Gesù lo è anche in forza sua per ogni sofferenza umana patita. Dio, dunque, non si arrende alla morte ma conquista la vita eterna per la nostra salvezza. Il volto del Dio del Golgota è quello di un Dio di Amore senza confini che si dona per raggiungere tutti; è il volto di un Dio Verità che vuole solo la vita dei suoi figli in lui. Dio opera in tal modo e così deve operare e lottare ogni uomo convinto che la fedeltà possiede già in se stessa la ricompensa e la gloria.